Uomini meccanici e matrimoni interplanetari

La straordinarissima avventura del cinema muto italiano di fantascienza

Il saggio passa in rassegna, sulla base di ricerche d'archivio testimoniate dalla filmografia, la presenza della fantascienza nel cinema muto italiano. Purtroppo in parte perduta e normalmente trascurata, questa protofantascienza comprende anche produzioni di grande impegno. Dai viaggi fantastici alle avventure e disavventure di scienziati, da mostri e automi alla guerra aerea, dalle farse comiche al consistente contributo del cinema futurista, emerge un corpus consapevole il cui sviluppo riprende solo a partire dalla fine anni 50.

di Paolo Bertetti

Paolo Bertetti svolge attività didattica e di ricerca presso l'Università di Siena. E' autore di diverse pubblicazioni sul cinema, la fantascienza e l'immaginario di massa, oltre che di studi di teoria e analisi semiotica.  Nell'ambito fantastico ha curato con Carlos Scolari Lo sguardo degli Angeli. Intorno e oltre Blade Runner (Torino, Testo & Immagine, 2002) e ha scritto Conan il mito. Identità e metamorfosi di un personaggio seriale tra letteratura, fumetto, cinema e televisione (Pisa, ETS, 2011). Il suo libro più recente è Il racconto audiovisivo. Teorie e strumenti semiotici (Torino, Cartman, 2012).

1. Pre-fantascienza e cinema fantastico in Italia all'epoca del muto

Negli ultimi anni, grazie ad una serie di studi, mostre e iniziative editoriali,1 si è incominciato a riscoprire come, ben prima dell'introduzione in Italia della science fiction americana, avvenuta com’è noto nel 1952 con l'uscita nelle edicole di Scienza Fantastica e, pochi mesi dopo, di I romanzi di Urania, e prima che lo stesso termine “fantascienza” venisse coniato da Giorgio Monicelli, fondatore e direttore della collana mondadoriana, vi fosse in terra italiana una produzione letteraria non episodica, e anzi alquanto consistente, su argomenti che oggi potremmo definire fantascientifici; una produzione, tra l'altro, talvolta anche qualitativamente non meno interessante della coeva produzione in lingua inglese.

Si è così delineato almeno un primo profilo, certo ancora provvisorio, di una tradizione autoctona, con i suoi temi ricorrenti, i meccanismi editoriali, i contenuti ideologici. Del tutto da esplorare invece la coeva produzione cinematografica la quale, specie nell'età del muto, riserva non poche sorprese. Certo non si ignora come vi siano alcune pellicole “eccentriche” come L'uomo meccanico di André Deed (1921), Un matrimonio interplanetario di Enrico Novelli (Yambo, 1910), o un pastiche verniano come Le straordinarissime avventure di Saturnino Farandola di Marcel Fabre (1913), ispirato all'omonima opera di Albert Robida. Ma che vi fosse all'epoca una produzione relativamente consistente di “fantastico scientifico”, con una serie abbastanza variegata di temi, invenzioni narrative e persino filoni ben identificabili, è idea ancora inesplorata. Si tratta del resto di una realtà della quale è difficile dare contorni precisi, vista la quantità assai esigua delle pellicole sopravvissute (o, quanto meno, al momento conosciute), la difficile reperibilità di alcune di esse e la necessità conseguente di dover ricorrere essenzialmente a materiali di archivio: recensioni dell'epoca, volantini pubblicitari, materiali promozionali, programmi di sala, fotografie ecc. (cfr. i fondamentali repertori di Martinelli e Bernardini). In questo senso, quello che qui si presenta è soltanto un quadro generale, mirante a individuare alcuni punti fermi e delineare temi e figure maggiormente ricorrenti, un primo tassello di una ricerca più ampia ed esaustiva al momento soltanto agli inizi.

Com’è noto, gli anni immediatamente precedenti la Prima Guerra Mondiale costituiscono quella che viene detta “L'età dell'Oro” del cinema italiano, per quantità di pellicole prodotte e per diffusione internazionale (v. le panoramiche generali nei volumi di Brunetta). In un mercato non ancora dominato dalla macchina produttiva hollywoodiana, film prodotti a Torino, a Roma e, in misura minore, a Milano e a Napoli erano esportati con successo in tutto il mondo, Stati Uniti compresi. Se i generi di maggior successo erano i cortometraggi comici e, in un secondo tempo, il film di ambientazione storica o mitologica (si pensi a Gli ultimi giorni di Pompei di Mario Caserini ed Eleutero Ridolfi [1913] o a Cabiria di Pastrone [1914]), i drammi realisti e gli adattamenti dei classici della letteratura, nella varietà di generi frequentata dalle case produttrici non mancava, come si è detto, un filone fantastico, seppure minoritario, erede, secondo la lezione di George Méliès, delle fantasmagorie e degli spettacoli illusionistici. Tale produzione era debitrice da un lato a un immaginario “alto”, che andava dalla mitologia classica, al fantastico letterario ottocentesco, fino alla stessa Commedia dantesca2 , dall'altro alla letteratura fantastica popolare la cui presenza nelle pubblicazioni dell'epoca appare ormai ben documentata.3

Premesso che è spesso difficile farsi un idea dei reali contenuti delle pellicole, è certo che i film fantastici (in senso lato) erano più frequenti di quanto comunemente si creda. C'è da pensare anzi che il "fantastico" fosse un vero e proprio genere, riconosciuto come tale anche dai critici sui giornali e persino dalle case produttrici, le quali usavano talvolta tale dicitura nei loro cataloghi per etichettare alcune pellicole.

Da un primo spoglio dei materiali d'archivio, a partire da quelli raccolti nella monumentale serie di volumi curata da Valerio Martinelli e Aldo Bernardini sul cinema muto italiano, io ho identificato almeno un'ottantina di film che presentano elementi fantascientifici; e spesso si tratta non soltanto di semplici “elementi”. La dicitura “fantastico verisimile”, riscontrata più volte nei critici dell'epoca,4  sembrerebbe applicarsi a tutta una serie di film a base scientifica o para-scientifica, il che parrebbe indicare un filone già riconoscibile.

L'impressione è che nel cinema, almeno da quando nei primi anni '10 si sviluppa una produzione di più ampio respriro narrativo, la percezione dei generi non fosse dissimile da quella che si ricontrava in riviste popolari dell'epoca come La Domenica del corriere, Il Giornale illustrato dei viaggi, il Romanzo Mensile e, poco più tarda, Il romanzo di avventure edito da Sonzogno, che spesso presentavano racconti di autori stranieri, ma anche italiani, definiti “fantastici”. Come avverte Fabrizio Foni bisogna prendere tale aggettivo in senso abbastanza ampio, visto che il termine appare spesso utilizzato anche per indicare narrazioni semplicemente avventurose.  Bisogna considerare che la distinzione tra i generi non era così netta, e, a sua volta, quando nelle fonti dell'epoca si parla di film di avventura non dobbiamo pensare soltanto all'avventura esotica: nella percezione dell'epoca erano film d'avventura, ad esempio, anche i film di spionaggio, i gialli d'azione o il film aviatorio; e spesso erano presenti elementi fantastici. Lo stesso, del resto, accadeva per le riviste di narrativa popolare esaminate da Foni.

Il filone dell'avventura esotica, come è noto, si intrecciava spesso con quello delle curiosità e dei misteri (pseudo-)scientifici:  non meno che i racconti avventurosi, gli articoli sensazionalistici e i resoconti di viaggio in paesi lontani (che con le avventure coloniali si affacciavano all'esperienza quotidiana delle grandi masse) perpetuavano e arricchivano un immaginario sensazionalistico fatto di misteri della natura, esseri mostruosi, ma anche di mondi e civiltà perdute (Foni 24-28). Esemplare a riguardo è il tema della Grande Scimmia e della bella fanciulla, ben attestato, assai prima del King Kong di Ernest B. Schoedsack e Merian C. Cooper (1933), non soltanto nelle cronache sensazionali e nei racconti delle riviste popolari italiani dell'epoca, ma anche in un film come La bella e la bestia di Umberto Fracchia (1919), nel quale un mostruoso ma mansueto scimmione proveniente dall'Oriente viene schiavizzato per lavori pesanti, fino a quando non si ribellerà per salvare da un infelice matrimonio forzato la bella figlia del suo padrone, unica persona che lo aveva sempre trattato bene. Sorprende invece la totale assenza, del tema delle civiltà e dei mondi perduti: le opere di H. Rider Haggard e Arthur Conan Doyle non sembrano affatto aver suscitato la fantasia degli sceneggiatori, nonostante fossero ben conosciute e apprezzate dai lettori italiani dell'epoca, che potevano leggerle sulle pagine del Romanzo mensile edito dal Corriere della Sera.

2. Dalla Luna a Orione

Pioniere del cinema fantastico italiano si può considerare Gaston Velle, un operatore e regista francese che aveva già lavorato per i Fratelli Lumiére e per la casa di produzione Pathé, presso la quale aveva diretto numerosi cortometraggi, anche fantastici. Velle venne chiamato in Italia nel maggio 1906 come direttore artistico della CINES, società di produzione cinematografica fondata a Roma un paio di mesi prima, e portò con sé gli scenografi Dumesnil e Vasseur e l'operatore André Wenzel, specialista in trucchi (Bernardini Velle; Redi 19-21), che già avevano lavorato con lui alla Pathé. Con questo staff tecnico girerà tra il 1906 e il 1907 una serie di film spesso fantastici, tra i quali anche Viaggio a una Stella, rifacimento (per non dire auto-plagio) di un Voyage autour d'une étoile da lui girato quello stesso anno per la Pathé. Nel cortometraggio, evidentemente ispirato al Voyage dans la lune e a La Lune a un metre (1898) di Méliès il tema del viaggio nello spazio viene declinato in maniera fiabesca e surreale, molto più vicino alle féerie (le operette fantastiche francesi di fine ottocento, che spesso presentavano numerosi trucchi e grandi illusioni sceniche) che non alla moderna fantascienza. Nella breve pellicola un vecchio astronomo, scrutando il cielo con il suo telescopio, vede una fulgida luna sulla quale è distesa una bellissima donna di cui si innamora. Su suggerimento di un suo aiutante, si fa chiudere in un'enorme bolla di sapone dentro la quale vola attraverso lo spazio. Giunto sulla stella, il terrestre viene accolto festosamente dalla regina e dalle sue cortigiane, con canti e danze. Ma Giove, irato per la sua intrusione lo riscaglia sulla Terra. L'astronomo però, usando il suo ombrello come paracadute, riuscirà a ritornare incolume sul nostro pianeta, atterrando direttamente nella tinozza d'acqua che la sua domestica usa per sciacquare i panni in terrazzo.

Il film segue assai da vicino l'originale francese, non solo nella trama, ma anche nelle scenografie e nei trucchi. Diverso è tuttavia il finale; nel film francese, infatti, il destino punisce l'ardire dell'astronomo: il suo volo viene deviato da una folata di vento finisce infilzato su un parafulmine.

Il film di Velle è un buon esempio dell'internazionalismo del cinema italiano dell'epoca: non soltanto i film erano distribuiti in tutto il mondo, ma frequente era il ricorso ad attori, tecnici, operatori e registi stranieri, cosa che favoriva anche la circolazione di modelli letterari e iconografici. Si tratta di una caratteristica che, secondo Antonio Costa (23-25), contraddistingue tutta la produzione fantastica del cinema muto italiano – seppur accompagnata da altre componenti assai più legate alla tradizione culturale nazionale – e che, come vedremo, sarà particolarmente rilevante nello sviluppo del cinema fantastico scientifico italiano, che vede alcune delle sue opere maggiori firmate da attori-registi d'oltralpe come André Deed e Marcel Fabre.

Se il film di Velle declina il viaggio spaziale nei toni della favola, il primo film italiano a vocazione propriamente fantascientifica è probabilmente Un matrimonio interplanetario, cortometraggio di 13 minuti del 1910, che vede alla regia il disegnatore e scrittore Enrico Novelli (noto anche con lo pseudonimo di Yambo), autore di numerose opere avventurose e per ragazzi, alcune delle quali affrontavano temi decisamente fantascientifici. Proprio a una di queste, il romanzo La colonia lunare (1908), è probabilmente ispirata la pellicola: in esso, infatti, già apparivano delle nozze celebrate sul nostro satellite. Tuttavia, come osserva Denis Lotti, autore di un bello studio al riguardo, a differenza del romanzo, che tendeva a una rappresentazione tendenzialmente verosimile della colonizzazione del nostro satellite, nel film prevale, come già per Velle, un registro comico e onirico sul modello di Méliès: “La sorpresa riservata allo spettatore […] non sta tanto nella trama, annunciata fin dall'eloquente titolo e infine confermata, quanto nelle stupefacenti vedute spaziali e nelle improvvise (e inquietanti, anche se inoffensive) apparizioni aliene” (Yambo 125-26).

Proprio con la visione di un mondo alieno si apre il breve film: è il pianeta Marte, che l'astronomo terrestre Aldovino sta esplorando con un potente telescopio la superficie del pianeta Marte; qui vede le città dei marziani, dalle particolari architetture sferiche. Osservando l'interno di una casa, scorge la bellissima Yala e se ne innamora. Con una sorta di messaggio telegrafico fatto di lettere che si animano e si spandono nell'aria, perdendo il loro senso compiuto (e che, secondo alcuni, potrebbero aver ispirato le parolibere marinettiane [Lotti, Yambo 140]) chiede al padre della ragazza marziana il consenso per il matrimonio;  questi gli risponde che acconsentirà alle nozze soltanto se sarà in grado di volare fino alla luna, dove dopo un anno esatto egli sarà ad attenderlo con la futura sposa. Spinto dall'amore, Aldovino si lancia nell'impresa apparentemente impossibile e, costruita una navicella, si lancia nello spazio spinto, come nel romanzo di Verne, da un mortaio, arrivando sul nostro satellite giusto in tempo per l'appuntamento.

Nati sulla scia del Viaggio sulla luna di Méliès, questi due film rappresentano tuttavia un unicum nella produzione cinematografica italiana, la quale sembrò negli anni successivi disinteressarsi completamente dei viaggi sugli altri mondi, e ciò nonostante nella produzione letteraria popolare il tema non fosse affatto infrequente, basti pensare a Dalla terra alle stelle di Ulisse Grifoni (1897). Occorre comunque notare che anche in ambito internazionale, passato il momento degli epigoni di Méliès,5  il tema fu assai poco frequentato, almeno fino all'apparizione di due classici come Aelita (1924) di Jakov Aleksandrovič Protazanov e Una donna sulla luna (1927) di Fritz Lang. A quanto ci risulta, nel cinema italiano il tema ritorna soltanto un'altra volta, in un film di animazione del 1921, Un viaggio nella luna, diretto da Gino Zaccaria per la Lilliput Film di Roma. La pellicola, purtroppo perduta, raccontava un viaggio interplanetario compiuto in sogno da un giocattolo e utilizzava come attori piccole marionette di legno, ideate da Armando Papò, pioniere italiano dell'animanzione, e realizzate Federico Lucchini, animate con una tecnica simile a quella perfezionata negli anni '50 da Jiří Trnka. Questa la suggestiva descrizione riportata da una rivista dell'epoca: “Scintillio di stelle entro profondità azzurre solcate a volte dal rapido passaggio di lontani pianeti di fuoco che rotolano per l'etere infinito. Saturno, le nebulose di Andromeda e di Orione, le costellazioni tutte, passano sullo schermo in una stupenda teoria”.6  

Come si vede, il tema del viaggio negli altri mondi è ancora una volta declinato nell'ambito dell'onirico e del fiabesco, piuttosto che in quello dell'anticipazione tecnologica. Del resto, come osserva Riccardo Valla (Il viaggio), anche nella letteratura del periodo – e non soltanto in Italia – la  rappresentazione del viaggio spaziale era ancora debitrice di un immaginario almeno in parte tradizionale, che riproponeva fantasiose metafore, piuttosto che della realtà scientifica allora conosciuta. Questo può essere forse uno dei motivi del limitato interesse verso il tema: in un periodo in cui le nuove scoperte scientifiche e le invenzioni che in quegli anni si susseguivano alimentavano un clima di esaltazione tecnologica e la nascita del mito modernista della tecnologia, appariva forse più interessante mettere in scena traguardi scientifici più verisimili e a portata di mano (e, insieme, inquietudini e paure più vicine), magari usandoli come spunti per storie d'avventura o, perché no, per riderci sopra.

3. Scienziati e inventori

In effetti, la figura dell'inventore (così come quelle del medico o dello scenziato), appare spesso nei film del periodo: il più delle volte però l'invenzione, la scoperta scientifica o l'esperimento sono soltanto l'occasione per l'ennesimo film a trucchi o per una serie di gag comiche.

Spesso l'invenzione è una polvere o una medicina miracolosa, come nel caso della Polvere birbona di Giovanni Vitrotti (1908), che rende tutti ilari, o della Polvere meravigliosa di Azeglio Pineschi (1909), che induce tutti a ballare, ma abbiamo anche una Pomata meravigliosa (Giovanni Vitrotti, 1909), o un prodigioso rigeneratore delle forze dagli effetti disastrosi come Il leonal dell'omonimo film prodotto dalla Cines nel 1912. Il tema della forza prodigiosa, ritorna più volte nelle comiche de periodo, ottenuta di volta in volta con i mezzi più diversi: con una medicina, ad esempio (Il bacillo della debolezza di Lorenzo Soderini, 1914), ma anche con un congegno meccanico (L'energia di Fricot di Marcel Fabre, 1912). Spesso, infatti, le invenzioni sono apparecchi elettromeccanici, come ad esempio L’avvisatore di terremoto (1908), o lo strumento che, posto sulla testa di un uomo, ne rivela i pensieri nascosti (Sapientoni dottore in antropologia, 1911). Nel più tardo Kri Kri e il freno (Cines, 1915) una sorta di bacchetta magica (che è in realtà un'invenzione scientifica) ha il potere di fermare qualsiasi cosa in movimento.

Nelle comiche del periodo si poteva trovare talvolta una bonaria satira delle mode e delle manie imperanti: non poteva sfuggire anche l'entusiasmo tecnologico del periodo, e in particolare la passione per le “macchine volanti”. Numerosi nei primi anni '10 i cortometraggi comici che irridono gli esperimenti  di volo;7  ne è un esempio Robinet aviatore (1911), che vede la popolare maschera interpretata da Marcel Fabre nei panni dell'inventore, per scommessa, di una improbabile macchina aerea a forma di pesce. Attorniato da una folla festosa, l'improvvisato aereonauta decolla con successo, ma la trasvolata si rivela presto una tragedia: l'ancora legata al velivolo del pioniere dell'aria scoperchia una mansarda, distrugge un campanile ed arpiona due operai al lavoro su un tetto. Il motore si guasta e Robinet, precipitando rovinosamente, finisce direttamente nella cella di una prigione. Nella squallida cella, vistosamente fasciato e ingessato, il nostro eroe scrive agli amici di aver fatto un volo memorabile e di trovarsi in un posto sicuro.

La presa in giro delle mode tecnologiche ritorna anche in un altra comica di Marcel Fabre, Gli auto-scat di Robinet, dove il nostro calza un paio di schettini a motore, praticamente ingovernabili. Più curioso Robinet e il monocolo della verità, incentrato su un monocolo che permette di vedere le cose come sono realmente: arrivato a casa, il protagonista scopre che la sua promessa sposa ha la parrucca e la dentiera, che il suo miglior amico lo ha sempre imbrogliato e via di questo passo, per non dire di cosa vede quando si reca a una festa dell'alta società.

In alcuni casi, il tema dell'invenzione è solo lo spunto per l'ennesimo film a trucchi, altre volte uno spunto farsesco o satirico; pochi però sono i film nel quale l'innovazione tecnologica diventa egemonica: un eccezione è, forse, nel 1911, Un ladro ben ricevuto (Itala Film), che mostra cosa può capitare a un malintenzionato che vuole rubare in casa di un inventore: entrato nell'abitazione, imprigiona quello che ritiene essere un servo; si tratta invece di un automa che, passando attraverso i muri, si libera e avverte il proprio padrone. Questi tornato a casa imprigiona il ladro in una serie di apparati meccanici manovrati a distanza: una cabina rotante, un letto e un tappeto che si muovono da soli; alla fine il malcapitato viene rinchiuso in una cassa e scaraventato giù lungo uno scivolo fin sul marciapiede.

Accanto al filone comico, a partire dagli anni '10 si fa strada nella cinematografia italiana una produzione di stampo più propriamente drammatico-avventuroso, favorita anche dall'apparizione dei primi lungometraggi a più rulli. Ciò va di pari passo, val la pena di ricordarlo, con il passaggio, tra la metà del primo decennio del secolo scorso alla metà degli anni '10,  dal cosiddetto sistema delle “attrazioni mostrarive”, proprio delle origini, a quello dell'“integrazione narrativa” (cfr. Gaudreault & Gunning). Come hanno evidenziato numerosi studi (Burch Life; Gaudreault; Gunning) vi era infatti nel cosiddetto “cinema primitivo” (Burch Mode) una diversa modalità di rappresentazione, non ancora basata sulla centralità del racconto e della narrazione, ma piuttosto sulla giustapposizione di scene forti tendenzialmente autonome, ognuna delle quali doveva avere un'attrattiva di per sé, come nei numeri di un varietà o nelle scene del teatro popolare.8

Tuttavia, anche nei lungometraggi drammatico-avventurosi l'invenzione continua il più delle volte a servire solo da spunto: la scoperta di un nuovo potente esplosivo può essere all'origine di un intreccio spionistico, come in Il segreto dell'inventore (1912) di Enrico Guazzoni, oppure di un dramma sentimental-militare, come in Il sottomarino n. 27 di Nino Oxilia (1915). In Dalle tenebre (regista ignoto, 1913) una rivoluzionaria tecnica chirurgica è l'inizo di una vicenda di amore patetico. In La beffa di Satana di Telemaco Ruggeri (1915) l'invenzione, ripresa da Albert Robida, del Telefonoscopio (una sorta di televisione ante litteram) è invece l'occasione per l'ennesimo film melodrammatico, accolto già all'epoca piuttosto freddamente da critica e pubblico. Qualche anno dopo, in Il fantasma dei laghi di Emilio Graziani (1921), è la scintilla “Z”, capace di arrestare ogni motore nel raggio della sua azione, a dare avvio  a un intreccio di tipo avventuroso.

La trama di questi film era il più delle volte una rielaborazione di elementi dei serial avventurosi americani, ma anche della tradizione del feulleton. È il caso, ad esempio, di Filibus. Il misterioso pirata dell'aria, di Mario Roncoroni (1915), che ci racconta le vicende, non prive di elementi fantascientifici, di un misterioso ladro mascherato evidentemente ispirato a Fantômas: Filibus appunto, dietro la cui identità si cela una donna, la baronessa di Troixemond, interpretata da Cristina Ruspoli. Sorta di Arsenio Lupin che ruba per soddifare il proprio gusto del brivido, la giovane donna è a capo di una banda di criminali mascherati che ha come sede operativa un dirigibile, dotato di apparecchiature iper-tecnologiche, una vera e propria fortezza aerea dalla quale Filibus si cala a terra per mettere a segno i colpi e poi sfuggire all'inseguimento delle forze dell'ordine. Il film, fortunatamente giunto fino a noi, risulta ancora oggi godibile (nonostante fosse stato all'epoca abbastanza criticato sui giornali per la sua frammentarietà),9  anche perché ci mostra una figura femminile decisamente lontana dai modelli tradizionali: un'eroina negativa e immorale che nel finale del film si gode le ricchezze trafugate in una sorta di estasi (Dall’Asta), ma soprattutto una donna d'azione, padrona della propria vita e del proprio destino (Lotti, Da Icaro a De Pinedo).

Se il tema aviatorio era comprensibilmente ben presente nella produzione dell'epoca (e ci torneremo ancora in un prossimo paragrafo, parlando di guerre aeree), non mancano speculazioni su altre frontiere tecnologiche e scientifiche dell'epoca. Si pensi ai film incentrati sul “radium”, la cui recente scoperta non aveva mancato di solleticare la fantasia degli scrittori popolari: già Emilio Salgari, nel suo romanzo Le meraviglie del 2000 (1903),  immaginava che il radium sarebbe stato nel futuro una delle principali fonti energetiche del pianeta, usato in particolare per illuminare e riscaldare, e racconti sulle portentose (o presunte tali) proprietà del radio non erano infrequenti nelle riviste popolari dell'epoca.10  Ed ecco film come come Il radium vendicatore di Gino Zaccaria (1916),  I raggi neutri del Dottor Pieri (regista ignoto, 1916) o Zeus (noto anche come Super radium o Il radio misterioso) di Aldo Molinari (1917), che doveva presentare dei ladri di radium e, in sovrappiù, anche un siero capace di trasformare le persone in automi umani. Curiosamente fatto risalire a Dickens dalle pubblicità dell'epoca,11  il soggetto era in realtà tratto dal romanzo L'arma che uccide e che risana dello scrittore australiano Albert Dorrington (The Radium Terrors, 1912), non a caso uscito in italia nel 1916 sulle pagine de Il Romanzo mensile edito dal Corriere della Sera, a ribadire i legami tematici e narrativi che l'immaginario cinematografico intratteneva all'epoca con quanto appariva sulle riviste di letteratura popolare.12

In effetti, il tema dell'invenzione potenzialmente pericolosa in caso finisse nelle mani di criminali o fanatici è assai comune nella prefantascienza del periodo, sia nelle produzioni cinematografiche che nella letteratura popolare;13  un esempio per tutti: il film L'ultima invenzione di Vittorio Tettoni del 1921, dove un nuovo gas fumogeno viene usato da una gang per compiere rapine. Come nella produzione letteraria fin dall'epoca vittoriana, poi, anche nel cinema ritorna la convinzione di fondo, che la scienza possa essere un'attività individuale, e che l'invenzione sia il risultato del genio di un singolo inventore (Valla, Da protofantascienza a science fiction). In entrambi i media ritornano poi alcuni ben noti stereotipi, come quello della bella figlia di turno dello scienziato, funzionale alla costruzione tensiva (è il motivo del salvataggio della fanciulla in pericolo), ma anche all'inserimento di una eventuale sottotrama sentimentale;  oppure quello dello scienziato pazzo che vuole dominare il mondo o che, con i suoi esperimenti, si spinge oltre il lecito. Anche la natura delle invenzioni (e quindi dell'immaginario tecnologico di base) è comune;14  si tratta di nuovi armi,  potenti esplosivi (L'ultimo dovere, di Emilio Ghione, 1915),15 nuovi sistemi di mine, veivoli aerei di nuova concezione (Buffalo e Bill di Emilio Graziani Walter; Il marito perduto di Eduardo Bencivenga, entrambi del 1920), ma anche invenzioni industriali, leghe di acciaio “di tempra superiore” (Titanic, di Pier Angelo Mazzolotti, 1915), formule per creare diamanti (L'uomo che rideva di Giuseppe Guarino, 1919) o smeraldi (Il trust degli smeraldi di Franco Rosso di Santamaria, 1920).

Certamente più originali le invenzioni che sono alla base di due film fantapolizieschi: L'occhio della morta di Giuseppe Pinto (noto anche come L'occhio rivelatore, 1915), nel quale la fotografia dell'occhio di una morta morta in cui è rimasta impressa l'ultima immagine vista in vitapermette di catturare il suo assassino, e La città di vetro di Edouard Micheroux de Dillon (1921), dove invece una sorta di cannocchiale a raggi X permette di vedere attraverso i muri e scoprire i delitti che si commettono all'interno delle case.16

4. La medicina come scienza perturbante

Non mancano film che evocano una visione più perturbante della scienza, visione che, come osserva Foni, in quegli anni era oggetto non solo di racconti orrorifici ma anche di una lunga serie spettacoli teatrali granguignoleschi, e che non mancava di mantenere un suo fascino presso il pubblico, mettendo a nudo, con una visione meno ottimista del progresso tecnologico, tutta una serie di paure collettive. Un simile approccio si ritrova, forse più che altrove, nel non piccolo numero di pellicole che mettevano in scena nuove scoperte o invenzioni nel campo della medicina, e soprattutto della chirurgia. Non sempre, ovviamente: in un film di buoni sentimenti come L'artefice dell'amore di Charles Krauss (1920) un medico riesce a instillare chirurgicamente l'amore nel cervello dei suoi pazienti; in altre pellicole, tuttavia, le buone intenzioni del medico o dello scenziato non sono sufficienti ad evitare un giudizio critico di fronte al possibile sovvertimento dell'ordine naturale: in La fibra del dolore di Baldassare Negroni (1919) un chirurgo individua nel cervello la fibra che presiede al dolore e scopre che estraendola, cessa ogni sofferenza, soprattutto morale; presto, però, i pazienti sottoposti all'operazione si accorgono che il dolore è necessario ancor più della stessa felicità e chiedono di tornare indietro.

In L'altro io di Mario Bonnard (1917), il protagonista viene sottoposto a un trapianto di una parte del cervello. L'operazione riesce, ma in lui si manifestano due tendenze diverse, due veri e propri individui con una propria coscienza: come riporta un volantino pubblicitario dell'epoca, “Il miracolo della scienza è stato compiuto con l'obbrorio della virtù”.17  In Il sole e i pazzi di Umberto Paradisi (1920), invece, uno psichiatra inventa una macchina che, sfruttando l'elettricità derivata dai raggi solari, dovrebbe influire beneficamente sul comportamento delle persone affette da malattie mentali. Quando sperimenta su di sé l'apparecchio viene travolto da un vortice di visioni oniriche: in esse vede l'accoglienza che riserverà il mondo esterno ai pazzi fuoriusciti dal manicomio e, al termine dell'esperimento, decide che è meglio distruggere la sua invenzione.

Nella produzione dell'epoca non mancano ovviamente medici senza scrupoli, criminali o addirittura pazzi: così, in Maciste medium di Vincenzo Denizot (ma girato con la supervisione di Giovanni Pastrone, 1918), un medico senza scrupoli cerca di ridare vita a una persona morta a lui cara, strappando la forza vitale al celebre forzuto interpretato da Bartolomeo Pagano, mentre I rettili umani di Enrico Vidali (1915) pare mostrasse un vero e proprio scienziato pazzo che attraverso una serie di esperimenti trasformava dei serpenti in esseri umani, in una sorta di anticipazione di certi monster movies degli anni '50. Lo stesso Vidali girò nel 1917 (con soggetto di Carolina Invernizio) La vergine dei veleni, nel quale un'altro scienziato, pazzo per la gelosia, inocula a una ragazza sua collaboratrice un estratto di una pianta velenosissima, rendendola letale per chiunque abbia contatti con lei. Sul tema dei mostri, o comunque dei freaks, pare insistesse anche Homo (noto anche come L'uomo scimmia  o La scimmia umana), film di cui si sa assai poco, realizzato dalla Savoia film nel 1915.

Sulla scoperta di un medico-scienziato si basava anche uno dei maggiori successi fantastici del periodo, Avatar di Carmine Gallone (1916, con Soava Gallone). La trama del film, che risulta  scomparso, si incentrava infatti sulla possibilità di far migrare l'anima di un uomo nel corpo di un altro. L'opera ebbe un'accoglienza assai positiva: alcune recensioni dell'epoca elogiano il lavoro dell’operatore Domenico Grimaldi che “riuscì in effetti sorprendenti come le fiammelle che si sprigionano dai corpi e si ricongiungono nell’etere”.18  Il soggetto doveva seguire abbastanza fedelmente l'omonimo racconto di Théophile Gautier (1857); tuttavia laddove nell'opera di Gautier la transmigrazione era dovuta a una sapienza mistica appresa in India, nel film pare si facesse ricorso a procedimento di carattere scientifico: nel 1916, una recensione sulla rivista L'arte muta ne sottolineava anzi la verosimiglianza, sottolinenando come tale fantastico verosimile (“scientifico”, diremmo noi) continuasse a incontrare i gusti del pubblico (Mezza 59); secondo quanto riporta Martinelli, pare addirittura che il film abbia suscitato ampie discussioni di carattere pseudo-scientifico sulla stampa dell'epoca19 . Del resto, è noto come a cavallo dei due secoli fenomeni come lo spiritismo, l'ipnotismo, la telepatia o il mesmerismo fossero assai dibattuti anche presso insospettabili scienziati. Questi temi hanno avuto una certa fortuna anche nella cinematografia italiana: si pensi tra tutti a I Misteri della Psiche di Vincenzo Denizot (1912), nel quale la nota diva Lydia Quaranta veniva ipnotizzata a fini criminosi.

5. Le guerre aeree tra avventure straordinarie e paure reali

Tra i film fantastici del periodo non mancano altri esempi di adattamenti di opere letterarie che possiamo considerare dei classici della pre-fantascienza: vi è una trasposizione alquanto libera di The Invisible Man di da H.G. Wells (Il giustiziere invisibile di Mario Roncoroni, 1916),20  un  Le strabilianti avventure del barone di Munchausen, di C.  A. Zambonelli (1920), e persino uno dei primi film ispirati al romanzo di Mary Shelley (Il mostro di Frankenstein di Eugenio Testa, 1920), purtroppo perduto; prodotto dalla Albertini Cinematografica, era interpretato da Umberto Guarracino (il mostro) e Luciano Albertini (il barone Frankenstein).

Liberamente tratto dal romanzo di Albert Robida Voyages très extraordinaires de Saturnin Farandoul dans les 5 ou 6 parties du monde et dans tous les pays connus et même inconnus de M. Jules Verne (1879-1880) è invece il film che può essere considerato il “colossal” fantastico (ma con non pochi elementi fantascientifici) del cinema italiano dell'epoca: Le avventure straordinarissime di Saturnino Farandola, prodotto nel 1913 dall’Ambrosio Film di Torino. L'opera di Robida è un ponderoso (808 pagine) romanzo d'avventure (illustrato dallo stesso autore), che fin dal titolo si presenta come omaggio e insieme parodìa delle opere di Verne, delle quali riprende luoghi, situazioni e personaggi, dal Capitano Nemo a Phileas Fogg, ponendole accanto a invenzioni fantastiche e ambientazioni originali.21  Il film, diretto e interpretato da Marcel Fabre (già noto come Robinet) su sceneggiatura di Guido Volante, narra ovviamente soltanto alcune delle favolose avventure di Saturnino nei continenti extra-europei, in una messa in scena che, utilizzando ampiamente anche le illustrazioni eseguite da Robida per il volume, bene riprende la lezione e le atmosfere dei film di Méliès.

Nel primo episodio (L'isola delle scimmie) il piccolo Saturnino, da poco nato, riesce a sopravvivere al naufragio della nave del genitori e finisce su un'isola abitata da scimmie umanoidi, dalle quali viene allevato. Nell'isola vive fino all'età di 17 anni, allorché viene ritrovato dall'equpaggio del veliero La Bella Leocadia e diviene marinaio sulla nave. Quando il comandante viene ucciso dai pirati, è Saturnino a prenderne il suo posto; inizia così una serie di avventure che lo porteranno nei cinque continenti e persino sotto il mare, dove incontra e si innamora della bella Mysorà, che, ovviamente, dovrà in seguito salvare dalle grinfie del cattivo di turno, il Prof. Crocknuff, direttore dell'acquario di Melbourne, che l'ha resa prigioniera. A questo seguono altri due episodi ambientati nel Siam (Alla ricerca dell'elefante bianco) e in Africa (La regina dei Makalolos), incentrati su un esotismo meraviglioso.

L'episodio di ispirazione più “fantascientifica” è certo il quarto (Saturnino contro Phileas Fogg), nel quale il nostro eroe è in America, dove “lo stato di Milligan del Sud – come recita una didscalia – studia il progetto del trasporto delle cascate del Niagara nei proprii confini”. La pretesa fa scoppiare una vera e propria guerra tecnologica con il Milligan del Nord, tra bombe al cloroformio, macchine da guerra, divisioni di palombari, nella quale Saturnino, a capo delle truppe nordiste si trova a combattere contro il traditore Phileas Fogg, alleato dei sudisti. L'episodio ancor oggi più suggestivo è quello della “guerra fra le nuvole”, che vede la spettacolare apparizione di dirigibili e altre macchine volanti, ampiamente ispirate alle immagini di Robida.

Il tema della guerra aerea (e più in generale quello della guerra futura) è del resto uno dei più frequenti nella letteratura pre-fantascientifica a cavallo del XIX e del XX secolo: lo stesso Robida ci si sofferma ampiamente sia nel suo celebre romanzo illustrato Le Vingtième Siècle (1883) che nell'album a tema La Guerre au Vingtième Siecle (1987), e anche in Italia l'argomento aveva dato origine a numerose opere nerrative e saggistiche (De Turris, Le aeronavi dei Savoia 304 sgg.). In particolare è la minaccia dei bombardamenti aerei che sembra inquietare maggiormente: già descritta da H.G. Wells in The War in the Air (1908), essa fa la sua prima apparizione sugli schermi l'anno seguente in The Airship Destroyer, di Walter R. Booth, una produzione inglese che mostra il bombardamento di un villaggio da parte di una flottiglia di dirigibili e la reazione del giovane eroe che con il suo aereo contrattacca le aeronavi nemiche.

L'inizio della Guerra Mondiale trasforma le fantasie di Robida e Fabre in un timore reale; ne è testimone un cortometraggio diretto e interpretato nel 1915 da André Deed (Cretinetti), La paura degli aeromobili nemici, che trae il proprio spunto comico proprio dalla paura per una guerra aerea. Il pretesto di partenza è infatti il panico di Cretinetti, generato dalla lettura di un bando pubblico che istruisce i cittadini su come comportarsi in caso di bombardamento aereo. Nel film (chiariamo: assolutamente privo di elementi fantastico-scientifici) non si vede nemmeno un aereomobile, ma gli effetti devastanti sono causati dallo stesso Cretinetti, in un crescendo incontrollato di paura, fino al catastrofico finale.22

Il tema ritorna in un affascinante mediometraggio in parte di animazione, La guerra e il sogno di Momi di Giovanni Pastrone e Segundo de Chomón (1916). Nel film, caratterizzato da un tono di fondo pacifista certo controcorrente dati i tempi, la guerra è vista attraverso gli occhi del piccolo Momi, che dopo aver ascoltato le parole che il padre ha scritto alla famiglia in una lettera, sogna delle “geniali” battaglie fra il fantastico e il comico che vedono come protagonisti “Trik – il suo burattino prediletto – agile, geniale, audace” e “Trak, goffo, ottuso, feroce” (chiaramente, il soldato italiano e il nemico asburgico). In particolare, una sequenza mostra un bombardamento aereo messo in atto da una flottiglia di dirigibili e biplani ai danni del villaggio di Lilliput, che causa un devastante incendio e semina il panico tra i civili inermi. Per animare i soldatini che Momi immagina nei suoi sogni venne utilizzata la ripresa in stop-motion, con risultati ancor oggi pregevoli.23

6. Veloci baldorie futuriste

Assenza per certi versi curiosa nel panorama cinematografico dell'epoca è la produzione dichiaratamente di anticipazione: a questo stadio delle ricerche l'unico film italiano ambientato nel futuro24  parrebbe essere un cortometraggio comico purtroppo perduto, Polidor nel 2500 (1916), nel quale la popolare maschera comica interpretata da Ferdinand Guillaume si trova sbalzata in avanti nel tempo di 1500 anni; fonti dell'epoca ne parlano come di una “grottesca visione del futuro, con Polidor che si agita tra macchine mostruose e draghi meccanici”.25  Tale assenza è ancora più notevole se si considera che nella cinematografia coeva di altre nazioni non mancano storie ambientate nel futuro (tra i primissimi esempi, due pellicole francesi delle quali si ha curiosamente notizia solo dell'edizione americana: Life in the Next Century di Gérard Bourgeois, del 1909, e The Police of the Future, una produzione Pathé dell'anno seguente), e che anche in Italia la letteratura di anticipazione aveva una sua tradizione che risaliva almeno alla metà dell'80026 .

Se, dunque, si può individuare nel complesso una tensione avvenieristica nel cinema dell'epoca, tuttavia l'anticipazione tecnologica appare essenzialmente legata all'estrapolazione nel presente. Non è escluso che i produttori dell'epoca pensassero che una vera trascendenza finzionale, con la messa in scena di altri mondi nel tempo e nello spazio (come abbiamo già visto, anche i viaggi nello spazio sono rarissimi) potesse essere più difficile da accettare da parte del pubblico. Ma, forse, si può anche pensare che una tale estensione ontologica (cfr. Bandirali e Terrone) non fosse avvertita come necessaria: nel  succedersi incessante di scoperte e invenzioni, nell'esaltazione dei miti del moderno, delle macchine, della velocità che contraddistingue la cultura dell'epoca, e in italia in particolare l'attività del Futurismo e di Filippo Tommaso Marinetti, è il presente stesso che è già futuro, e viceversa (cfr. Grande).

Indubbiamente l'estetica futurista ha avuto un influsso non da poco, seppur sicuramente indiretto, su molte delle pellicole di cui si sta parlando. Non è tuttavia questo il luogo per un'analisi dei rapporti e delle parentele tra futurismo e SF, che pure potrebbe essere proficua (e purtroppo ancora del tutto da sviluppare), e tanto meno per una rilettura degli elementi avveniristici e “fantascientifici” dell'immaginario futurista. Ci limiteremo a osservare che – al di là dell'evidenza che sono molte le mitogie futuriste, dall'uomo meccanico all'estetica della macchina, dal culto della velocità, alla guerra come igiene del mondo, che si ritrovono nell'immaginario della SF degli anni '20 e  '30 – si possono ritrovare proprio nel futurismo i germi originari che conducono alla fascinazione per il futuro come altra dimensione.27  Tuttavia,

l’operazione dei Futuristi, sia di quelli della prima stagione sia quelli della seconda, non fu mai davvero sistematica, nonostante le dichiarazioni programmatiche dei manifesti, poiché il concetto di Futuro, secondo l’ottica del movimento di Marinetti, viene definito non secondo un’idea che precisi cosa si desidera ci sia nel futuro, e dunque articolando e direzionando questa dimensione in termini più strettamente progettuali, ma – in ragione della loro posizione antipassatista – in relazione a ciò che nel futuro non si desidera ci sia.28

Bisogna poi tener presente che la tensione verso il futuro e la rottura con le forme di cultura passata era condivisa con altre correnti europee d'avanguardia dell'epoca. Vi era insomma, più in generale, un immaginario modernista – anzi: avvenirista – che circolava dalle avanguardie alla letteratura popolare, espressione di un clima che permeava la cultura dell'epoca (europea innanzitutto, ma anche americana), all'interno del quale presero forma molte delle mitologie e degli elementi figurativi che vanno a costituire l'humus dal quale ha origine, proprio in quegli anni, la moderna fantascienza.

In questa sede ci limiteremo ad osservare come elementi avvenieristici sono sicuramente presenti nella produzione letteraria di molti esponenti del primo e del secondo futurismo, da Fillia a Marinetti, il quale, nei due romanzi africani, Mafarka il futurista (1909) e soprattutto Gli indomabili (1922), ci presenta molti elementi fantascientifici. In particolare, nel secondo – una sorta di antiutopia – si possono trovare  non pochi elementi in comune con alcune opere di H.G. Wells.29

Venendo al cinema, come è noto il rapporto tra futuristi e la nuova arte è problematico (cfr. Costa Il cinema 164-73; Lista). Pochi sono gli esempi di cinematografia futurista, e anche quelli abbastanza tardi: a parte la cinepittura astratta dei fratelli Ginna e Corra, il primo vero, e in fondo unico, film di produzione futurista è Vita Futurista, girato da Arnaldo Ginna a Firenze nel 1916. La pellicola, del quale rimangono pochi frammenti per un totale di circa sei minuti, è una sorta di manifesto costituito da una successione di episodi diversi, nei quali lo stile di vita futurista veniva messo a confronto con i bersagli polemici del movimento.

In questo ritardo, è un regista del cinema commerciale, attratto dalle idee del futurismo ma estraneo al movimento, il primo a perseguire l'idea di un film futurista come nuovo genere. Nel 1914 venne proiettato Mondo Baldoria, con la regia di Aldo Molinari, presentato come il primo film futurista. La pellicola rievoca fin dal titolo il Re Baldoria di Marinetti, ma era in realtà ispirata, almeno in parte, al manifesto Il controdolore di Aldo Palazzeschi e pare contenesse elementi che si rifacevano dichiaratamente al futurismo. Una sinossi dello stesso Molinari parla di “visioni proteiformi della vita futura […] strascicamento di milioni di piedi sul marciapiede del mondo... sibili di vita, strade stordite, affamate, di voci, di carrozzoni […] piagnucolamenti di moltitudini, grida disperate, lunghi sbadigli di fame...” (Lista 177-78). Alla sua uscita, tuttavia,  Marinetti attaccò violentemente il film in un volantino intitolato “Gli sfruttatori del futurismo”, respingendolo come un'ignobile contraffazione.

Lo stesso Marinetti scrisse nel 1917 la sceneggiatura di un film futurista, Velocità, che non fu però mai realizzato.30  L'idea era quella di un film in 11 quadri, ognuno articolato come una successione di immagini tematiche, senza un vero contenuto narrativo. Gli ultimi due quadri erano intitolati La città futurista tra cent'anni e L'uomo futurista tra cent'anni; nel primo si immaginava una città multilivellare, con grandi boulevard, strade sopraelevate, “automobili, aeroplani, dirigibili dai grandi proiettori elettrici, réclames luminose, trottoirs roulants […], 7 o 8 ferrovie sotterranee sovrapposte” (Lista 216); nel secondo si seguiva, in contrasto con la vita lenta del passato, l'“ubiquità” e la “vita centuplicata” dell'uomo politico del futuro, fino al suo ritorno in una casa automatizzata e al momento del riposo, all'interno di apparecchi per il “sonno concentrato” in grado di ritremprare in 5 minuti.

7. Robot umanoidi e bambole viventi

Se, in definitiva, un cinema futurista è rimasto sostanzialmente sulla carta, alcune delle figure e dei miti del futurismo si ritrovano, come abbiamo già visto, nella produzione commerciale dell'epoca. È il caso, in particolare, di L'uomo meccanico di André Deed (1921), dove il massiccio robot antropomorfo (per altro non dotato di coscienza propria, ma controllato a distanza) intorno a cui si incentra il film è anche visivamente debitore degli uomini meccanici disegnati da Depero e Pannaggi. Tuttavia, le mitologie futuriste sono declinate nei toni popolari del racconto poliziesco: significativa a riguardo una scena nella quale il tema marinettiano della velocità, esplicitamente evocato, viene tradotto nell'inseguimento del robot da parte delle forze dell'ordine, ricondotto quindi a un motivo canonico di genere (Menarini e Meneghelli 24-26). Non mancano inoltre elementi propri del comico, genere dal quale proveniva Deed (e cioè Cretinetti), che qui interpreta la parte dell'ipercinetico eroe Saltarello.

Il film, considerato perso, è stato ritrovato dalla Cineteca Italiana di Milano agli inizi degli anni '70, in una copia mutila che conserva 740 metri (circa 35 minuti) dei 1821 originari; buona parte dei frammento sono fortunatamente relativi alla seconda parte, quella più spettacolare, in cui il mostro meccanico si scatena.

Questa la trama. Uno scienziato ha costruito un automa comandato da onde elettriche dotato di forza e poteri eccezionali. Una banda di criminali capeggiata da una donna, Mado, uccide l'inventore e si impadronisce dei progetti per la sua costruzione, ma viene catturata dalla polizia. La donna però riesce a fuggire, rapisce la nipote dello scienziato e la costringe a consegnarle i progetti con i quali costruisce l'Uomo Meccanico. Con questo compie una serie di rapine e terrorizza la città, finché il fratello dello scienziato realizza un secondo automa, con il quale affronta il mostro meccanico in una serata di gala all'Opera. Nel corso dello scontro, un corto circuito nel meccanismo di controllo renderà inerte il macchinario e metterà fuori gioco Mado.

Lo scontro tra i suoi mostri meccanici sembra anticipare un tema e un'iconografia che saranno centrali nel cinema di fantascienza a venire; lo stesso si può dire delle sembianze del robot, una macchina squadrata rozzamente antropomorfa e asessuata simile – come osservano Menarini e Meneghelli (24-26) – a tanti automi a venire, primo tra tutti Robby di Il pianeta proibito.

A una tradizione figurativa più classica, quella dell'automa come bambola meccanica indistinguibile dall'essere vivente, che risale fino al '700 e ha il suo culmine nei racconti di Hoffmann, si rifà invece un altro film, di poco posteriore, La bambola vivente di Luigi Maggi (1924). La pellicola, voluta, prodotta e interpretata da Maria Roasio, già star dell' Ambrosio Film, era ispirata a Die puppe di Lubitsch (1919), come evidente fin dallo stile di recitazione, che richiamava quello di Ossie Oswalda. Il film, che  mescola toni da commedia ed elementi polizieschi, racconta la storia di uno scienziato che costruisce un robot modellandolo sulle sembianze della figlia. Quando l'automa viene rubato dal laboratorio da un assistente senza scrupoli, la ragazza, per evitare una delusione al padre, finge di essere la "bambola vivente". Nonostante all'epoca fosse circolato pochissimo, il film è stato ritrovato ed è oggi conservato alla Cineteca Nazionale.

La bambola vivente è l'ultimo film di argomento fantascientifico prodotto in Italia nel periodo del muto, e anzi per molto tempo ancora. Nel 1924, infatti, il cinema italiano è gia entrato nei suoi anni più bui. Le difficoltà produttive, la perdita di mercati esteri e l'incapacità di rinnovarsi tematicamente e tecnicamente, avevano portato già a partire dgli anni di guerra a una progressiva crisi del cinema italiano. La crisi si accentua nel dopoguerra, quando il cinema italiano non sembra più stare al passato con le novità narrative e formali di altre cinematografie, come quella americana o quella tedesca, ed esplode nel dicembre 1921 con il fallimento della Banca di sconto, che finanziava buona parte delle case di produzione nazionali, e una conseguente, drastica riduzione delle produzioni (cfr. i volumi di Brunetta).

A parte il curioso Mille chilometri al minuto di Luigi Maggi (1937), tragicomica storia della prima sfortunata spedizione nello spazio, bisognerà aspettare la fine degli anni '50 perché nel cinema italiano si riaffaccino temi fantascientifici, ma allora saranno altri modelli e altre tradizioni (la science-fiction e i film americani in particolare) quelle a cui ci si ispirerà.

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FILMOGRAFIA 

In ordine cronologico, sono elencati i film muti di produzione italiana nei quali sono riuscito ad accertare la sicura presenza di elementi fantastico-scientifici. La mancanza di titoli talvolta indicati come “fantascientifici” in alcuni repertori, quali l'Internet Movie Database oppure La fantascienza sugli schermi di Giovanni Mongini, è dovuta alla riscontrata assenza, o a una presenza estremamente incerta, di tali elementi.

 

Gaston Velle, Viaggio a una stella, 295 metri, Cines, 1906

Gaston Velle, Le avventure di Pulcinella, 400 metri, Cines, 1907

n.c., L'uomo torpedine, 95 metri, Rossi & C., 1907

n.c., L'avvisatore di terremoto, 101 metri, Itala film, 1908

Giovanni Vitrotti, Polvere birbona, 136 metri, Ambrosio, 1908

n.c., Una cura contro i microbi, 122 metri, Cines, 1909

Azeglio Pinzeschi, Polvere meravigliosa, 76 metri, Pinzeschi, 1909

Giovanni Vitrotti, La pomata meravigliosa, 136 metri, Ambrosio, 1909

n.c., Il sogno di un malato, 134 metri, Cines, 1909

n.c., Un ammalato di insonnia, 173 metri, Itala film, 1910

n.c., Un ladro ben ricevuto, 185 metri, Itala film, 1910

Yambo [E. Novelli], Un matrimonio interplanetario, 295 metri, Latium, 1910

n.c., La paura della cometa, 56 metri, Cines, 1910

n.c., Pillole portentose, 137 metri, Cines, 1910

n.c., Una scoperta di Tontolini, 140 metri, Cines, 1910

n.c., La sedia... miracolosa, 118 metri, Aquila films, 1910

Marcel Fabre, Robinet aviatore, 137 metri, Ambrosio, 1911

Marcel Fabre, Robinet ha paura dei microbi, 165 metri, Ambrosio, 1911

Ferdinand Guillaume, Tontolini invulnerabile, Cines, 1911

n.c., Il microbo della... ilarità, 92 metri, Aquila films, 1911

Marcel Fabre, Gli auto-scat di Robinet, 109 metri, Ambrosio, 1911

Marcel Fabre, Robinet e il monocolo della verità, 234 metri, Ambrosio, 1911

n.c., Sapientoni dottore in antropologia, 178 metri, Itala film, 1911

n.c., Il bacillo della debolezza, 126 metri, Cines, 1912

n.c., Il leonal, 117 metri, Cines, 1912

Vincenzo Denizot, I misteri della psiche, 867 metri, Itala film, 1912

Enrico Guazzoni, Il segreto dell'inventore, 633 metri, Cines, 1912

Marcel Fabre, Le avventure straordinarissime di Saturnino Farandola, 3660 metri, di cui 1612 rimanenti, Ambrosio, 1913

n.c., Dalle tenebre, 638-655 metri (2 parti), Itala film, 1913

Paolo Azzurri, Le avventure del barone di Munchausen, 1000 metri circa, Psiche film, 1914

Marcel Fabre, L'energia di Fricot, 157 metri, Ambrosio, 1914

Umberto Paradisi, L'esplosione del Forte B.2, 1270 metri, Pasquali & C., 1914

n.c., Cuttica e le onde hertziane, 165/172 metri, Cines, 1914

Aldo Molinari, Mondo Baldoria, 900 metri, Vera Film, 1914

Telemaco Ruggeri, La beffa di Satana, 1500 c metri, Film artistica Gloria, 1915

Mario Roncoroni, Filibus, 1424 metri, Corona film, 1915

n.c., Homo / L'uomo scimmia /La scimmia umana, lunghezza non reperita, Savoia film, 1915

n.c., Kri Kri e il freno,1 bobina, Cines, 1915

Giuseppe Pinto, L'occhio della morta / L'occhio rivelatore, 900 metri, Gloria, 1915

Enrico Vidali, I rettili umani, 900 metri circa, Cenisio , 1915

Nino Oxilia, Il sottomarino n. 27, 4 atti, Cines, 1915

Pier Angelo Mazzolotti, Titanic, 1 prologo e 3 atti, Bonnard film, 1915

Emilio Ghione, L'ultimo dovere, 700 metri, Caesar film, 1915

Carmine Gallone, Avatar, 1324 metri, Cines, 1916

Domenico Gaido, La città sottomarina, 763 metri, Pasquali & C., 1916

Mario Roncoroni, Il giustiziere invisibile, 863 metri, Corona-film, 1916

Carlo Campogallani, L'isola tenebrosa, 1302 metri, Ambrosio, 1916

Ferdinand Guillaume, Polidor nel 2500, 377 metri, Caesar film, 1916

Alberto Traversa, Il predone dell'aria, 1519 metri, Latina-Ars, 1916

Gino Zaccaria, Il radium vendicatore, 982 metri, Savoia film, 1916

Gino Zaccaria, I raggi neutri del dottor Pieri, 903 metri, Film d'arte, 1916

Ubaldo Maria del Colle, L'uomo dall'orecchio mozzato, 1000 metri, Riviera Film, 1916

Arnaldo Ginna, Vita futurista, 990 metri, Italia futurista, 1916

Mario Bonnard, L'altro io, 1477 metri, Electa film, 1917

Emilio Ghione, Un dramma ignorato, 1748 metri, Tiber film, 1917

Giovanni Pastrone e Segundo de Chomón, La guerra e il sogno di Momi, 833 metri (lunghezza copia pervenutaci: 762 mm), Itala Film, Torino, 1917

Telemaco Ruggieri, Il tank della morte, 1647 metri, Cinemadrama, 1917

Enrico Vidali, La vergine dei veleni, 1350 metri, Italica, 1917

Aldo Molinari, Zeus (noto anche come Super radium o Il radio misterioso), 1917 metri, Vera Film, 1917

Vincenzo Denizot (superv. Giovanni Pastrone), Maciste medium, 1455 metri, Itala film, 1918

Eleuterio Ridolfi, L'autobus scomparso, 1207 + 939 metri (2 episodi), Ridolfi film, 1919

Baldassarre Negroni, La fibra del dolore, 1331 metri, Tiber / UCI, 1919

Umberto Fracchia, La bella e la bestia, 1678 metri, Tespi-film, 1919

Giuseppe Guarino, L'uomo che rideva, 1398 metri, Audax film, 1919

Charles Krauss, L'artefice dell'amore, 1380 metri, Lombardo film, 1920

Emilio Graziani Walter, Buffalo e Bill, 1168 + 1216 + 1354 metri (3 episodi), Latina-Ars, 1920

Eduardo Bencivenga, Il marito perduto, 1788 metri, Chimera film, 1920

Pietro Pesci Feltri, Il mistero del grande Espero, 1299 metri, Victoria, 1920

Raimonso Scotti, Il mistero dello scafandro grigio, 1470 + 1445 metri (2 episodi), Films De Giglio, 1920

Eugenio Testa, Il mostro di Frankenstein, 1086 metri, Albertini films, 1920

Umberto Paradisi, Il sole e i pazzi, 1698 metri, Paradisi film, 1920

Franco Rocco di Santamaria, Il trust degli smeraldi, 1490 metri, Cines (o Tiber ?), 1920

Edouard Micheroux de Dillon, La città di vetro, 1194 metri, Rosa-film, 1921

Emilio Graziani Walter, Il fantasma dei laghi, 1749 metri, Itala film, 1921

André Deed, L'uomo meccanico, 1821 metri, Milano film, 1921

Gino Zaccaria, Un viaggio nella luna, 2079 metri, Lilliput, 1921

Carlo Campogalliani, Ted l'invisibile, 1584 metri, Campogalliani e C., 1922

Luigi Maggi, La bambola vivente, 1033 metri, Roasio film, 1924

 

Delle seguenti pellicole non siamo riusciti, nella quasi totale assenza di notizie, ad accertare l'effettiva presenza di elementi fantastico-scientifici, seppure suggerita dal titolo o da altre indicazioni.

 

n.c., Effetti di un razzo, 118 metri, Itala film, 1911

n.c., Sangue bollente a 1000 gradi, 300 metri, Helios film, 1911

n.c., Telepatia, 190 metri, Latium, 1911

n.c., L'indietreggiatrice elettrica, 150 metri, Unitas, 1911.

Emilio Vardannes, Un ragno nel cervello, 115 metri, Itala film, 1912

n.c., I raggi infrarossi, 900, metri, Pasquali & C., 1915

Eleuterio Ridolfi, I raggi ultravioletti, 404 metri, Ambrosio, 1916

Luigi Marone, Il tramonto dell'umanità, 1402 metri, Italo-egiziana film, 1917

Note dell'Autore

1 Pensiamo in particolare alle mostre Viaggi straordinari tra spazio e tempo, Verona, Biblioteca civica, 23 giugno – 29 settembre 2001; Nostalgia del futuro. L'invenzione del domani in un secolo di illustrazioni, Modena, Museo della Figurina, 19 settembre – 8 dicembre 2008 (cfr. il catalogo in Basile et al.); e Gli antenati della fantascienza Italiana, Torino, Mu-Fant – museo-lab del Fantastico e della Fantascienza, 21 aprile – ottobre 2012, da me curata con Riccardo Valla e Piero Gondolo della Riva. Tra i volumi segnaliamo almeno la ricca antologia di racconti del periodo curata da Gianfranco de Turris, Le aeronavi dei Savoia; e il documentato saggio di Fabrizio Foni, Alla fiera dei mostri, dedicato più in generale alla letteratura fantastica nelle riviste popolari.
2 Sul filone fantastico nel cinema muto italiano si veda Antonio Costa, I leoni di Schneider, e in particolare i capitoli “Il fantastico, anzi” (21-42), e “Il mondo rigirato. Saturnino versus Phileas Fogg” (43-69).
3

Oltre a Foni, sulla via italiana al fantastico gotico si veda anche Roberto Curti, Fantasmi d'amore

4

Si vedano ad esempio la recensione di Avatar di Carmine Gallone (1916) su L'arte Muta, 1-1916, p. 89; o quella di I rettili umani di Enrico Vidali (1915), firmata Aramis e apparsa su Il cinema illustrato il 25 agosto 1917, cit. in Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della grande guerra. 1915, Vol. II, 153.

5

Penso a opere come L'escursion sur la lune (1908) o Le voyage sur Jupiter (1909), entrambi di Segundo de Chomón, o ancora a A Trip to Mars di Thomas Edison (1910).

6

Kines, n. 3, Roma, 20 gennaio 1921, cit. in Martinelli, Il cinema muto italiano. I film degli anni venti. 1921, 360.

7

Tra gli altri  Robinet appassionato pel dirigibile (1910), Tontolini in aeroplano (1911), Butalin aeronauta (1912), Cocciutelli aviatore, (1912), Dick aviatore ciclista (1913), La passeggiata aerea di Bonifacio (Italia 1913), Kri Kri imita Pegoud (1915). Cfr. Lotti, Da Icaro a De Pinedo.

8

Del resto erano questi i principali modelli di riferimento del nuovo spettacolo cinematografico: il teatro illusionista, il melodramma, lo spettacolo da fiera; di più: proprio i teatri di varietà, le fiere itineranti, i caffé erano i luoghi in cui si ospitavano le prime proiezioni, dal teatro popolare, dal circo e dagli spettacoli da fiera venivano gli attori, gli operatori, i tecnici della nuova arte. Méliès in questo senso è emblematico; e non è un caso che, a ben vedere, il suo Viaggio sulla luna, si ispiri prima che al romanzo verniano, all'omonima operetta di Offenbach. La natura attrattiva è evidente nel Viaggio a una stella di Velle, che è organizzato in base a una serie di 10 quadri relativamente autonomi. Su tutti, tipico numero attrattivo, spicca il balletto delle cortigiane che occupa la parte centrale del cortometraggio.

9

Si vedano i giudizi riportati in Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della grande guerra. 1915, Vol. I, 190-192.

10

Sul radio, utilizzato per scopi bellici, scrisse ad esempio anche Yambo: Il “radium”, in Letture per la Gioventù 6.5; rist. in de Turris, Le aeronavi dei Savoia, 305-324.

11

Cfr. Valerio Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della grande guerra. 1917, 326.

12

Al riguardo, oltre al saggio di Cioni e all'antologia curata da de Turris, si vedano anche gli articoli di Silvestri e Gallo.

13

Un esempio per tutti, The Outlaws of the Air di George Griffith (1895). Cfr. Valla, Da protofantascienza a science fiction, 101-102.

14

Si vedano i racconti in de Turris, Le aeronavi dei Savoia, e le note introduttive delle singole sezioni.

15

Oltre ai già citati Il segreto dell'inventore di Enrico Guazzoni (1912), e Il sottomarino n. 27 di Nino Oxilia (1915)

16

Non possiamo invece inserire tra i film di prefantascienza il serial in due parti Il mistero dello scafandro grigio di Raimondo Scotti (1920) nel quale l'invenzione del teletrasporto, o meglio della scomposizione e ricomposizione elettrolitica a distanza dei corpi si rivela alla fine un inganno.

17

Cit. in Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della grande guerra. 1917, 15.

18

Citato sul sito Sempre in penombra. Archivio del cinema muto (http://sempreinpenombra.com/2010/01/29/avatar-1916/). Visto il 25/06/2013. 

19

Cfr. Valerio Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della grande guerra. 1916, vol. I, 41.

20

Il tema dell'invisibilità ritorna inoltre in Ted l'invisibile di Carlo Campogalliani (1922), del quale ci rimangono tra l'altro alcuni frammenti.

21

Sull'opera di Albert Robida, sul romanzo di Saturnino Farandola e sul film della Ambrosio rimando al capitolo “Il mondo rigirato: Saturnino versus Phileas Fogg” di Antonio Costa nel suo I leoni di  Schneider.

22

Sul film di Deed e più in generale sul tema della guerra aerea nel cinema italiano del periodo si veda Lotti, Da Icaro a De Pinedo, 112-114.

23

Sulla figura di Segundo de Chomón, geniale tecnico spagnolo da considerarsi uno dei padri dell'animazione europea, che aveva lavorato prima in Francia, realizzando anche parecchi cortometraggi fantatici, e si era poi trasferito trasferitosi a Torino alla Itala Film, dove aveva partecipato anche alla realizzazione di Cabiria, cfr. Tharrats.

24

 A parte, per certi versi (si tratta in realtà di un sogno), il controverso Mondo Baldoria di Aldo Molinari (1914), su cui ritorneremo tra breve.

25

L. Pastore, in La vita cinematografica, Torino, 7 gennaio 1917, cit. in Valerio Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della grande guerra. 1916, vol. I, 41.

26

Tra i letterati italiani che si sono cimentati con l'anticipazione non mancano nomi illustri quali: Ippolito Nievo (Storia filosofica dei secoli futuri), Carlo Dossi (La Colonia felice) e il librettista dell'Aida Antonio Ghislanzoni, con Abrakadabra (1864), Luigi Motta (La Principessa delle Rose), Emilio Salgari (Le meraviglie del Duemila, 1907) ed il già ricordato Enrico Novelli. Altre visioni future, seppur meno note, si devono a Paolo Mantegazza (L'Anno 3000, 1897), all'avvocato astigiano Agostino della Sala Spada (Nel 2073, Sogno di uno stravagante, 1875) e al giornalista Ulisse Grifoni (Dopo il trionfo del socialismo italiano, 1907). Senza contare i numerosi i romanizi brevi e i racconti usciti sulle riviste popolari. Cfr. de Turris, Le aeronavi dei Savoia, 264 sgg., e Silvestri.

27

Devo l'osservazione a Cinzia Di Cuonzo.

28

Cinzia Di Cuonzo, “Futuristi e Fantascienza, l’estetica visionaria del futuro immaginato”, manoscritto inedito. In questo senso, uno dei futuristi più “fantascientifici” appare certamente Sant'Elia, le cui tavole di architetture future hanno certamente influenzato – seppur in maniera sicuramente indiretta – certe visioni delle città future presenti già dagli anni '30 nelle riviste pulp. Cfr. anche de Turris, Suggestioni.

29

Cfr. Chialant che, sul piano più generale dell'estetica, ritrova diversi elementi in comune ai due autori “the emphasis on flux and movement, the beauty of speed and simultaneity and the fetishism of the machine” (220) pur nella diversità delle visioni profetiche e dell'appartenenza politica.

30

Riportata in Lista 209-218. A parte il titolo Velocità, la sceneggiatura non ha nulla a che fare con il cortometraggio realizzato nel 1930 da Tina Cordero, Guido Marina e Pippo Oriani.