Il reboot di Homefront, la nuova Alba rossa di John Milius che immagina l’invasione degli Usa non più da parte dei sovietici, ma dei nordcoreani, ha avuto uno sviluppo travagliato, con il progetto che ha cambiato forma più volte ed è stato sul punto di scomparire, passando di mano in mano, prima che Deep Silver prendesse le redini della situazione.

Dopo l’uscita di Homefront: The Revolution, avvenuta lo scorso maggio su Pc, Ps4 e Xbox One, gli sviluppatori dell’inglese Dambuster Studios, ex Free Radical Design, non hanno abbandonato il videogame, impegnandosi in un lungo processo di ottimizzazione mirato a risolvere alcune problematiche di natura tecnica presenti al lancio. Il frutto del lavoro è la performance patch distribuita online questo mese che migliora le prestazioni addirittura del 40% assicurando, al costo di qualche piccolo compromesso, l’agognata stabilità del frame rate, pressoché ancorato ora sui 30 fotogrammi al secondo, nonostante la natura open world del titolo e a tutto vantaggio delle dinamiche first person shooter.

D’altronde quella di Homefront: The Revolution non è una faccenda conclusa, ma che anzi prevede ulteriore supporto per diversi mesi, durante i quali è in programma la pubblicazione di tre dlc relativi al single player. Il primo, intitolato The Voice of Freedom, è arrivato questa settimana. Entro la fine dell’anno toccherà all’episodio Aftermath. Per il 2017 è invece annunciata un’espansione più corposa: Beyond The Walls. I contenuti si possono acquistare singolarmente o in un unico pacchetto, col tradizionale expansion pass.   

The Voice of Freedom funge da breve prologo interattivo alle vicende narrate in Homefront: The Revolution che, in un ribaltamento dei tipici scenari, mostra in maniera vivida e brutale la guerriglia di una lotta di resistenza senza quartiere, portata avanti da pochi patrioti yankee contro l’invasore nordcoreano, risultato capace di conquistare il continente in un futuro in cui si assiste al totale tracollo degli Stati Uniti tra le pieghe della storia alternativa. E se la digital revolution fosse sbocciata nei dintorni di Pyongyang piuttosto che nella Silicon Valley?

Sotto traccia si coglie una leggera ironia. In una prospettiva distorta, la Corea del nord di Homefront: The Revolution assomiglia infatti parecchio all’immagine spinta all’estremo che molti hanno dell’imperialismo americano. Con l’avvallo o per l’ambigua miopia della comunità internazionale, il Paese asiatico, sostenuto dalla supremazia nel campo tecnologico che si traduce nella produzione di una serie di device di cui nessuno nel mondo può fare a meno, intraprende una strategia di espansione che sfrutta ogni mezzo per assoggettare gli avversari. Gli Usa, dissanguati dalle fallimentari campagne in Medio oriente, cadono prima vittima del collasso economico, poi vengono occupati militarmente con la scusa degli aiuti umanitari. È l’inizio della dittatura. 

L’azione del gioco si svolge a Philadelphia, nel titolo principale nei panni del partigiano Ethan Brady rientrato nella città natale dopo aver perso i compagni negli scontri a Washington D.C.. Homefront: The Revolution incomincia con la cellula di Brady che attende la visita clandestina del capo della resistenza, Benjamin Walker, meglio noto come The Voice of Freedom, titolo anche del romanzo di John Milius e Raymond Benson dove l’omonimo personaggio compare come protagonista. Lo stesso avviene per il primo dei tre dlc, chiamato proprio The Voice of Freedom e che segue la missione di infiltrazione oltre le linee nemiche di Ben Walker per raggiungere la Philadelphia occupata. Nel suo viaggio, che lo costringerà ad avventurarsi nei pericolosi cunicoli dismessi della metropolitana, farà la conoscenza della famigerata gang dei 90 che detta legge nel sottosuolo della città.