Affrontare il tema del Postumanesimo in ambito cinematografico impone una riflessione sulla natura filosofica del cinema di fantascienza più maturo. È infatti impossibile parlarne prescindendo da opere seminali come 2001: Odissea nello Spazio o Blade Runner, la cui importanza trascende i confini del genere in seno al quale hanno visto la luce. Unanimemente considerati dalla critica delle pietre miliari della settima arte, queste due pellicole sono state non di rado decontestualizzate dal background fantascientifico anche in virtù della loro inerzia di penetrazione nell’immaginario popolare del Novecento.

Tanto il capolavoro di Stanley Kubrick quanto quello di Ridley Scott hanno impresso a fuoco un sigillo sulla visione del futuro, sia dall’angolazione dell’uomo comune come pure del più smaliziato degli appassionati di fantascienza. Stiamo parlando di due opere uniche nel loro genere, capaci di condizionare ininterrottamente le generazioni a venire dei cineasti e degli spettatori, legittimando in questo modo la rispettiva affermazione/imposizione di una norma estetica e stilistica che nessuno ha più potuto permettersi il lusso di ignorare.

 

In questi film il superamento dell’umanità viene prospettato da due punti di vista diversi, quasi antitetici. Pur con gli opportuni distinguo, potremmo considerare queste pellicole emblematiche di due opposte concezioni della fantascienza: il lavoro di Kubrick a rappresentare il futuro come poteva essere visto prima del crollo delle certezze e della fiducia neopositivistica alimentata dalla propaganda in tempo di Guerra Fredda; la risposta di Scott a esprimere il disagio degli anni Ottanta, il senso di precarietà montante, lo schianto sulla superficie dopo il volo stratosferico ad assaggiare lo spazio, assaporarne sì la conquista, ma solo per la durata di un morso. Una contrapposizione in cui va tenuto tuttavia conto dell’unicità, e quindi della scarsa rappresentatività (almeno intenzionale), dei due lungometraggi assunti a campione. Perché se il loro impatto sulle coscienze e l’inconscio della nostra società di massa è fuori discussione, è anche vero che 2001: Odissea nello spazio si rivela capace di realizzare una singolare sintesi tra le istanze della space opera e una sensibilità prettamente new waver, tra l’outer space della frontiera cosmica e l’inner space delle indagini ballardiane, una fusione che probabilmente riesce totalmente grazie all’ambizione del suo regista e alla vocazione filosofica sottesa all’inconfondibile stampo «metafisico» del suo co-autore, il grande Arthur C. Clarke.

In misura analoga, le potenzialità precognitive e anticipatrici di Blade Runner hanno potuto retro-illuminare il lavoro di Scott anche grazie alla progressiva, inesorabile affermazione di un gusto estetico e di una sensibilità postmoderna (il cyberpunk) che ebbe in questo film la sua chiave di volta, in un meccanismo paradossale che gli anglofoni definirebbero di self-fulfilling prophecy, letteralmente “la profezia che si autoavvera”. Difficile definire dove termini la capacità anticipatrice e dove cominci la sua influenza. Come elegantemente sentenziò nel 1928 il sociologo americano William Thomas nell’enunciato che sarebbe poi rimasto associato al suo nome, “se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze”.

Il Feto Cosmico schiude i suoi occhi sul suo mondo: il futuro dell'Uomo Nuovo (da 2001: Odissea nello Spazio, di S. Kubrick)
Il Feto Cosmico schiude i suoi occhi sul suo mondo: il futuro dell'Uomo Nuovo (da 2001: Odissea nello Spazio, di S. Kubrick)
In 2001 protagonisti sono i manufatti di due civiltà tecnologicamente avanzate, ma ancora separate da un profondo divario di conoscenze: HAL 9000, l’intelligenza artificiale a cui sono affidate le funzioni di controllo della Discovery, l’astronave lanciata alla volta di Giove per la prima missione terrestre al di là della cintura asteroidale; e il monolito nero, lastra opaca come il mare della notte siderale, il cui contatto sembrerebbe riuscire a innescare veri e propri salti cognitivi e, di conseguenza, un’accelerazione nel ritmo del progresso. Mentre il cervello elettronico della Discovery viene destabilizzato dal sospetto della fallibilità della propria natura, un limite non contemplato dai suoi stessi artefici e per questo sufficiente a precipitarlo in uno stato di paranoia e delirio, il monolito assolverà fino all’ultimo alla sua missione aliena: guidare l’evoluzione delle specie provviste dell’opportuno potenziale dalle radici primordiali verso frontiere di civiltà sempre più avanzate, fino al definitivo approdo dell’Uomo Nuovo sulla scena interplanetaria della Galassia.