Un mondo perfetto. Le strade sono piene di uomini e donne alti, bellissimi, senza difetti, che camminano guardando sempre avanti. In metropolitana domina un grande silenzio. Tutti sono seduti composti e nessuno scambia una parola. Le città sono tranquille, luminose, pulite e il tasso della criminalità è caduto del 94%. Un luogo meraviglioso che pur assomigliando alla realtà di Matrix non è una proiezione della nostra mente, bensì uno spazio fisico che è il risultato di una visione differente del modo di essere umani. Un posto fantastico dove stare a differenza di quei bassifondi sporchi e un po' schifosetti dove vivono gli  umani 'dissidenti': le ‘riserve’ presenti in tutti gli Stati Uniti dove le persone seguono gli insegnamenti del misterioso 'Profeta' che predica l'odio contro le macchine che hanno sostituito progressivamente e definitivamente gli uomini nella loro vita quotidiana.

Tutto procede bene e nel migliore dei modi per l'umanità, quando - un giorno - il figlio dell'inventore dei cosiddetti 'Surrogati' viene ucciso in discoteca, colpito da un'arma nuova e segreta. Un oggetto che, teoricamente, non dovrebbe esistere e che eppure c'è, minacciando seriamente la sicurezza del cosiddetto 'principio di surrogazione' che fino a quel momento non aveva mai messo a rischio l'incolumità fisica di chi opera questi Avatar in un mondo non troppo diverso da quello dei Sims o della realtà di Second Life. Chi impugna quell'arma letale può non solo distruggere l'automa, ma anche uccidere l'essere umano che lo sta guidando comodamente da casa, anche a centinaia di chilometri di distanza.

Ad indagare sono due agenti dell'FBI interpretati rispettivamente da Bruce Willis e Radha Mitchell, che si troveranno ad avere a che fare con qualcosa di molto più grande di loro: un complotto per mettere fine al Mondo dei Replicanti dove si trovano, peraltro piacevolmente, a vivere.

Ispirato alla graphic novel di Robert Venditti e Brett Weldele, scritto non a caso dagli autori degli ultimi due Terminator e di Catwoman, Michael Ferris e John D. Brancato, il film diretto da Jonathan Mostow, pur restando saldamente nei confini del cinema commerciale, rappresenta una sorpresa intrigante e interessante, in virtù della sua intelligenza stilistica e narrativa in grado di combinare le suggestioni del grande cinema di fantascienza ad istanze sociali molto rilevanti nella nostra società contemporanea.

Da un lato, infatti, c'è la paura di vivere diventata ormai insostenibile:  è proprio  per evitare questa,  che uomini e donne hanno iniziato a condurre la propria esistenza attraverso delle macchine cui sono collegati costantemente in quasi tutte le fasi della loro giornata. Perfino l'esercito combatte attraverso questi robot tanto sicuri da non mettere mai a rischio la vita del soldato.

Il mondo, almeno quello Occidentale, ricco, opulento e terrorizzato è diventato tutto virtuale e, quindi, su questi automi riversa tutte le proprie ansie ed inquietudini: una sorta di chirurgia estetica portata al parossismo diventata la chiave per plasmare esseri che ci assomigliano, ma che - a differenza nostra rimasti ad imbruttirci in canottiera e pigiama su un lettino - vivono una vita senza limiti e dove non c'è più alcuna paura o inibizione. C’è la legge, ovviamente, ma perché infrangerla se tutto quello che desideriamo è, in fondo, alla nostra portata?

Noi restiamo a casa e siamo sempre in tempo al lavoro dove il nostro 'alter ego' è rimasto 'in carica'.

In questo senso, pur lontano dagli orizzonti del cinema d'autore, Mostow riprende le suggestioni di film come Blade Runner, Matrix, Terminator distillandole in qualcosa di nuovo e decisamente più semplice, ma - paradossalmente - non meno efficace.

Pur in una prospettiva postmoderna, limitata ulteriormente dalla distribuzione della Disney che consente solo un accenno a determinati temi - in una sequenza casalinga i Surrogati si sparano una sorta di droga elettronica... - Il Mondo dei Replicanti è un ottimo spunto di riflessione su temi molto attuali e su come la realtà virtuale, il vivere attraverso degli Avatar, costituisca qualcosa di molto vicino alla droga o comunque all'ennesima via di fuga da una realtà che ci spaventa.

Un costante stato di vita sotto sedativi, attraverso macchine che ci permettono, come in un videogioco, upgrade fantastici in termini atletici e di bellezza.

In questo senso l'Agente dell'FBI interpretato da Bruce Willis è un antieroe perfetto, perché per indagare sul caso di omicidio deve prima riuscire a fronteggiare i propri demoni personali e a guardare in faccia una moglie che vive nella stanza a fianco alla sua, ma che non vede davvero da anni.

Il film, pur raccontando una storia molto semplice e non priva di colpi di scena, apre spunti di riflessione rilevanti e interessanti, offerti in una chiave sexy e glamour fatta più di sostanza che di effetti speciali e, soprattutto, opera in uno spazio narrativo che sebbene costituisca una variazione sul tema, comunica qualcosa di più forte e significativo dello spettatore rispetto a film spettacolari, ma così poco intelligenti.

Il piano umano e personale di questo racconto così universale, cattura l'attenzione del pubblico che pur sospendendo la risposta a tante domande non del tutto risolte, rimane piacevolmente colpito dal vedere come in un film hollywoodiano, almeno in superficie, si affronta uno dei temi che da millenni tocca l'umanità ovvero quello dell'identità. Mentre i Surrogati sono bellissimi, gli esseri umani restano trascurati e flaccidi a conquistare le soddisfazioni per interposta ‘persona’.  Esendo i robot una proiezione del nostro io, un calvo grassone nella realtà umana diventa una bionda mozzafiato in quella dei Surrogati, così come un bianco un po' nerd, può scegliere di trasformarsi in un aitante afroamericano.

In questo senso, pur nella sua completezza e semplicità narrativa, Il Mondo dei Replicanti è un film riuscito, non solo per quello che si vede sullo schermo, ma per gli scenari che apre e per tutte le domande che ci poniamo tornando a casa dove, ad aspettarci, c'è la nostra vita senza alternative non cruente a quella di essere vissuta.