L’opera di Freestyle Games corre il rischio di soffocare sepolta sotto il peso della sua licenza. Un vestito alla moda con cui Sony Computer Entertainment ha coperto ogni centimetro di B-Boy, gioco musicale ultratrendy che prova a catturare la street culture del movimento hip hop. E dei ballerini di breakdance in particolare.

Per conquistare gli appassionati di questo microcosmo, da noi propagandato attraverso le approssimazioni di Maria De Filippi ma invero molto più ricco e vivace, nel videogame sono stati inseriti i più grandi campioni della specialità, abbigliamento delle migliori marche che seguono la scena e tonnellate di canzoni famose di artisti cult. Il top per danzare, dall’old-school soul e funk di James Brown al r&b e il rap moderno di Tha Alkaholiks.

Purtroppo tutto ciò che dovrebbe mandare in visibilio i fan potrebbe cocciare con le smorfie di un altro pubblico altrettanto intransigente: i videogiocatori puristi, che guardano con diffidenza qualsiasi griffe importata dal mondo reale nel digital entertainment. Sarebbe un peccato.

B-Boy interpreta in modo originale e con molte idee interessanti il genere di appartenenza. È un gioco musicale, un rhythm game. Eppure lavora nel profondo per togliersi di dosso i limiti dell’etichetta. Anche B-Boy segue la prassi dei tasti da pigiare in sequenza. Ma non si preoccupa di dettare la sequenza. Il ritmo continua ad avere un ruolo fondamentale nella costruzione dell’esperienza, ma la dimensione artistica dell’esibizione è delegata al gusto del giocatore, sciolto dagli obblighi di un programma da eseguire alla lettera, ticchettando a senso unico sul joypad come un metronomo.

Il videogame di Freestyle assomiglia per molti versi più a un picchiaduro dove i colpi non impattano fisicamente contro il corpo degli avversari, ma sono passi di danza che finiscono per colpire gli antagonisti comunque violentemente. Le sfide di ballo tra b-boy sono veri e propri duelli a suon di freeze, volteggi e piroette. Col sole o le luci stroboscopiche negli occhi, sono faccia a faccia che vedono fronteggiarsi all’ultima coreografia i protagonisti in jeans a vita bassa di un nuovo western: contemporaneo, metropolitano e decisamente meno sanguinolento.

Nella pratica del gioco, ci si avvicenda con il rivale in pedana, ritagliandosi a turno la scena. La croce direzionale del pad serve per spostarsi sul ring. I tasti frontali danno avvio alle mosse base, da combinare insieme e con le varianti, definite tramite specifiche inclinazioni delle freccette. Coi dorsali si batte il tempo e si mantiene il personaggio in equilibrio quando si decide di “congelarlo” in una figura.

La precisione è determinante almeno come la ricerca di uno stile variegato e spettacolare. Si è pur sempre ballerini di breakdance. Sia che si opti per quattro salti con un amico, sia che ci si avventuri alla scoperta delle offerte per il giocatore solitario, tra modalità carriera dai bassifondi alle stelle e opzioni lampo o di allenamento, coi diversi extra sbloccabili – felpe, pantaloni, cappellini - a sottolineare la loro natura propedeutica nei confronti del multiplayer.

Bello nelle premesse, nei suoi freschissimi spunti di libertà senza tradire il modello originario, il problema di B-Boy alla fine è il più scontato.

Il rhythm game di Freestyle non si dimostra capace di resistere sulla distanza e, per come sono realizzate, le idee soffrono di fiato corto offrendo il fianco, nell'applicazione, a una logorante serie di problemi di gioventù (qualche legaccio invisibile di troppo, le dimensioni contenute dei contenuti e il ritmo blando dell'azione). Lo scheletro c'è e la tentazione è di applaudire per il coraggio degli autori di intraprendere un’evoluzione che è una piccola rivoluzione interna e parallela al genere, ma perfettamente in tema col contesto simulato. Adesso ci vorrebbe uno studio più approfondito sulle potenzialità dell’operazione. Lo spirito è quello giusto. Il parto però prematuro.