Una carriera lunga cinquanta film, e Lucio Fulci ha flirtato con tutto, o quasi. Amori lunghi una stagione (il musicarello, il rififi movie), "toccate e fuga" (il dramma storico, quello erotico), relazioni ostinate che gli hanno impresso le stigmate del maudit (la fase horror, trionfo e viale del tramonto di un regista) e, ancora, il breve, indimenticabile incontro con il western crepuscolare (Tempo di massacro, I quattro dell'apocalisse), passando per le commedie, per Buzzanca vampiro e presidente del Consiglio, per i Franco&Ciccio, per gli Zanna Bianca.

Attraverso tutto, e il contrario di tutto.

Fulci poligamo. Fulci manipolatore dei generi e, in quanto tale, mai fedele ai generi stessi. Fulci che lavorava per soldi, e anche perché non avrebbe saputo fare altro che il cinema. Padroneggiando i canoni consolidati, appropriandosene, sovvertendoli.

In questo infinito gioco di riproduzione, destrutturazione e personalizzazione di filoni e sottofiloni, la fantascienza e suoi derivati (ma si prenda con le molle la definizione, in gran parte misteriosa, almeno per chi scrive) sono stati per Lucio Fulci un flirt appena accennato, ancorché spurio. Due film: Conquest (1983) e I guerrieri dell'anno 2072 (1983). Due titoli - quasi degno di un war-movie il primo, una via di mezzo tra peplum e visioni à la Carpenter il secondo - che dichiarano immediatamente, e in modo programmatico, la natura contaminata dell'approccio fulciano (e di tutto quanto il cinema popolare italiano) ai generi. Così come paradossale, ma non per questo meno stimolante, era il fatto che un regista si ritrovasse a girare una storia ambientata in un passato indefinibile (Conquest, appunto) e un'altra con uno scenario "futuristico" nell'arco dello stesso anno. Un magma indistinguibile, dunque: di elementi narrativi, mode, esigenze di cassetta, tempo, locations e tematiche, che non sempre incontrerà il gusto dei puristi.

Conquest nasce sull'onda dell'infatuazione di Fulci per un mai realizzato Sigfrido ed è frutto di un'opportunistica (erano usciti Conan e La guerra del fuoco) quanto imprevedibile "cotta" per il fantasy. Mescolava e imbastiva, secondo la regola dell'exploitation italiano, battaglie, fuochi, apparizioni, suggestioni omeriche, sparizioni, miti e riti di iniziazione. Ilias deve conoscere il bene e il male per scendere a patti con la propria natura semidivina. Ilias deve morire per risorgere, dotato di discernimento, nei muscoli dell'umano Mace, tra le insidie della perfida (e popputa) Ocron, all'ombra dello sguardo di un dio chiamato Cronos. Entità, quest'ultima, che fin dal nome lasciava intendere, con una buona dose di ironia, come il Tempo con la "T" maiuscola fosse l'unico e incontrastato padre-tiranno di eroi, mostri di gomma e registi delle produzioni a basso costo. Qualche settimana per mettere in piedi il progetto, un'occhiata atterrita al budget e pochissimi debiti da pagare all'ortodossia del genere.

Non sempre funzionava. Gli appassionati di elmi cornuti e ominidi primitivi alle prese con falò salvifici non premiarono Conquest al botteghino. Gli esegeti non colsero i riferimenti figurativi a Boris Vallejo, né la splendida fotografia, ispirata alle brume dell'"Excalibur" di John Boorman. I sardi della Gallura, dove la pellicola fu girata, si accanirono durante le riprese contro la troupe caciarona e si rischiò uno scontro degno degli eterni rivali Ocron e Cronos. Ilias oggi viene recuperato in home-video e non con la qualità che meriterebbe. Destino comune alle opere di Lucio Fulci. E segno di una rivalutazione tardiva. Ma sempre meritoria, aggiungerei.