Nella fantascienza di Dario Tonani c’è la stessa sostanza di cui sono fatti gli incubi. Rabelais, Bosch, Goya, Bacon, chi legge decida secondo le preferenze. Oppure antichi racconti di fantascienza: Killdozer di Theodore Sturgeon, Quattro in uno di Damon Knight. E qualcuno – tenendo sempre in mente Philip Dick – potrebbe scatenare la memoria cinematografica, per ricordare tanti film sull’affievolirsi della distinzione tra umano e artificiale, che cercavano anche di visualizzare quella commistione.

Anche questa è una ricchezza che colpisce, guardando da vicino sia gli interni sia gli esterni del polittico (quattro racconti principali, con diramazioni, deviazioni, raccordi) di Mondo9, edito dalla Delos Books nella collana Odissea Fantascienza. Dario Tonani conosce la science fiction, la conosce molto bene, la conosce in tutti i media. Soprattutto, conosce tutti i suoi linguaggi, sa che raccontare SF significa costruire scenari, e lasciare a chi legge la possibilità di ricostruirli nella mente. Il world-building della fantascienza è fatto di frammenti, allusioni, conversazioni, neologismi e parole quotidiane da ricontestualizzare, tracce che possiamo seguire. Come hanno mostrato i migliori autori classici e contemporanei, è il linguaggio che la rende diversa, preziosa. Per la sua capacità di manipolarlo, Dario Tonani è nulla meno di un virtuoso.

Gli esordi sono a fine anni Settanta, ma il primissimo racconto di cui ho un ricordo uscì su una dimenticata rivistina (quasi una fanzine, ma che trovò un piccolo spazio in edicola) di nome Ucronia; in quegli anni il suo nome compare anche sull’Eternauta, a fianco di fumetti epocali.[1] Gli inizi hanno più a che fare con fantastico puro: il primissimo volume è una ghost story d’atmosfera un po’ retro, negli anni Novanta escono diversi racconti su Delos, in gran parte virati verso l’orrore.[2] In quei primissimi anni, a spiccare per intensità è una storia che parla di lavoro: La rotaia e il signor Reed (1989), racconto fantastico di ambientazione ferroviaria, sturgeoniana e delicatissima parabola sul bisogno di rapporti umani all’ombra della tecnologia.[3] Ma gradualmente la fantascienza avanza in primo piano. L’uomo dei pupazzi di schiuma, ancora pubblicato su Delos nel 1998, è la visione da incubo di una fabbrica futura: fra vapore e informatica, Tonani osa esplorare l’alienazione.[4] All’inizio del nuovo millennio, in Necroware (2003) il genere della SF permette di raccontare nuove e sempre uguali atrocità belliche (quelle di un futuro fantascientifico e quelle del presente balcanico) con una forza che solo Sheckley ed Evangelisti avevano trovato; di gran lunga, uno dei racconti migliori in un’antologia di “horror contemporaneo” piena di nomi di primo piano.[5] Dallo heavy metal dell’industria pesante allo horror della guerra, Dario Tonani estrae i miti del domani dalle tragedie dell’oggi.