Con il mirabolante doppio episodio Army of Ghosts - Doomsday si è conclusa nel Regno Unito la seconda stagione della nuova serie di Doctor Who, la ventottesima dalla nascita televisiva del personaggio e del suo TARDIS sulla BBC, nel lontano 1963.

In attesa dell'inizio della terza stagione, previsto in UK per la primavera del 2007, quest'anno David Tennant - la cui presenza nella serie era già sicura da tempo - tornerà a vestire i panni del Dottore nel Christmas Special, l'episodio speciale natalizio, di cui già si conosce il titolo: The Runaway Bride.

Come è normale alla conclusione di una stagione televisiva di una serie, è arrivato quindi il momento di tirare un po' le somme di questo nuovo Doctor Who.

La prima stagione, grazie alla dirompente energia di Christopher Eccleston e al grande feeling creatosi sullo schermo tra lui e Billie Piper - la sua bionda compagna d'avventure Rose Tyler - quest'anno ha conquistato (o riconquistato, nel caso dei fan di vecchia data) migliaia di appassionati americani, che l'hanno vista su Sci Fi Channel con un anno di ritardo rispetto al Regno Unito e sei mesi rispetto all'Italia.

Alla luce di questo secondo successo di pubblico, si può dire dunque che l'operazione di "reimmaginare" una serie-icona come Doctor Who voluta da Russel T. Davies abbia funzionato davvero alla grande. Si è trattato di un risultato incredibilmente migliore rispetto alla tiepida accoglienza riservata all'unico tentativo precedente di resuscitare il Dottore, cioè il film TV del 1996 Doctor Who: The Movie, una cooproduzione BBC/Universal diretto da Geoffrey Sax. Impigliato in una mise barocca, una parrucca boccolosa e una sceneggiatura da fare impallidire qualunque vero fan, il bravo Paul McGann ha fatto del suo meglio ma, pur essendo passato a pieno titolo agli annali come l'Ottavo Dottore, non è riuscito a lasciare il segno. Troppo diverso dal prodotto originale, troppo americanizzato.

La rottura rappresentata dal Nono Dottore di Christopher Eccleston, invece, è legata in parte all'originalità del personaggio ma soprattutto alla qualità delle sceneggiature, che dall'inizio ribaltano il punto di vista: già dal primo episodio, infatti, è chiaro che la serie è incentrata su Rose. E' attraverso i suoi occhi di ragazza londinese di oggi che conosciamo il Dottore: questo non era mai stato fatto. E, come già detto, il prodotto ha funzionato alla grande, sia in Europa sia dall'altra parte dell'Oceano (dove Doctor Who era storicamente considerato un eccentrico prodotto britannico), grazie a storie avventurose e a volte anche giocose, ma sempre - a loro modo - adulte.

Ricordiamo la toccante Father's Day (Il padre di Rose), con un'elaborata trama sui paradossi temporali, oppure la doppia puntata The Empty Child - The Doctor dances (Il bambino vuoto p.1 e 2), ambientata durante il Blitz tedesco su Londra, con un'astronave aliena in occultamento parcheggiata davanti al Big Ben.

Rispetto a chi, come noi, associava da sempre alle parole Doctor Who l'immagine di un bizzarro capellone con una sciarpa a righe, e che mai e poi mai avrebbe pensato di appassionarsi alle vicende di un alieno che viaggia nello spazio e nel tempo in una cabina telefonica blu, si tratta di un enorme balzo in avanti. Un balzo nella direzione giusta, verso il futuro, verso l'accalappiamento del nuovo target della fantascienza televisiva, quello di Star Trek, Stargate SG-1 e Atlantis. In una parola sola, la ventisettesima stagione di Doctor Who è cool, agli stessi livelli del nuovo Battlestar Galactica.

Poi, dopo l'abbandono da parte di Christopher Eccleston e l'arruolamento del simpatico David Tennant nella parte del Decimo Dottore per la stagione numero ventotto, qualcosa è cambiato.

Il cambiamento più evidente è la nuova faccia del Dottore. I fan di lunga data di Doctor Who dovrebbero essere già abituati a questo periodico mutar pelle del protagonista: il Dottore si rigenera, nuovo corpo, stessa persona, nuova personalità. Si capisce subito che il Decimo Dottore è più giovane del Nono, più simpatico a pelle con quella faccia pulita da belloccio televisivo - tutt'un altra cosa rispetto al viso spigoloso ma espressivo di Eccleston - ma nella rigenerazione pare aver perso tutti quei tratti oscuri che caratterizzavano così bene il suo predecessore. Insieme a un gran bel paio di occhi azzurri.

Niente più sensi di colpa per aver sterminato i Dalek, niente più palese sofferenza per la sua condizione di ultimo dei Time Lord. Scompare quell'aura di reietto, condannato alla solitudine dalle sue stesse azioni, a cui Eccleston riusciva a dare sostanza anche solo con un'espressione del viso, con il suo stesso portamento e il modo di vestire. Tennant dà vita a un dottore più leggero, una sorta di James Bond armato di cacciavite sonico con una parlantina a mitraglia, che non disdegna la compagnia femminile di passaggio. Ogni tanto il Decimo Dottore pare ricordarsi del suo passato, ma ne parla come se fosse accaduto a qualcun altro, e torna subito a correre ghignando su e giù per lo spazio-tempo insieme a Rose. Ma mentre i guizzi d'eccentricità aliena del Nono Dottore erano sempre giustificati dal suo passato, i repentini cambiamenti d'umore del Decimo riescono solo a farlo sembra lunatico. Nella nuova stagione, i temi dolenti della vita così ben integrati in quella passata - il senso dell'esistenza, la solitudine, la perdita, il disprezzo di sé e la paura di quello di cui si è capaci - sono toccati appena, quasi spaventassero di più rispetto ai mostri volanti e ai Dalek. E qui veniamo appunto ai cambiamenti meno evidenti, più subdoli.

Con il susseguirsi delle puntate della seconda stagione, infatti, si è percepita in modo chiaro un'inversione di rotta da parte del timoniere Russel T. Davies: vicende più avventurose e rocambolesche - con lupi mannari in computer grafica, pipistrelloni volanti e ospedali alieni pieni di creature d'ogni forma - ma storie più sottili, di quelle che, a parte qualche raro caso, ti passano attraverso come aria fresca, ma non ti lasciano niente dentro, non mettono in moto il cervello.