Intendevamo già da tempo parlare di Sandro Sandrelli per questa rubrica di Delos. L’uscita dell’antologia Caino dello spazio in Urania Collezione (n. 70, nov. 2008) ci ha offerto l’occasione perfetta per una recensione uscita in forma cartacea su Alpha Quadrant (n. 32-33), che rielaboriamo per questo articolo.

Sandro Sandrelli è veramente un pioniere della SF italiana. Forse ne è il padre (ri)fondatore: con lui, la fase della “protofantascienza” può considerarsi conclusa. Il suo lavoro mostra sin dall’inizio una consapevolezza degli sviluppi europei e nordamericani del genere. Giornalista scientifico al Gazzettino di Venezia, è stato autore dal 1949 fino a metà anni Sessanta (più una manciata di altri racconti nel decennio successivo), curatore nel 1962-65 delle antologie Interplanet (che spesso pubblicano gli autori specializzati fianco a fianco con figure di grande prestigio) e poi protagonista di una lunghissima attività di traduttore. Il volume nella collana curata da Giuseppe Lippi riunisce materiali comparsi nelle sue due antologie, I ritorni di Cameron Mac Clure (La Tribuna 1962) e Caino dello spazio (La Tribuna, 1964, dopo una prima introvabile edizione del 1962).

In un periodo formativo in cui qualità e impegno letterario erano identificati con la social science fiction (spesso ottima anche in Italia), pochi si rendono conto delle potenzialità offerte dagli scenari spaziali della space opera, troppo spesso scartati (o utilizzati) come dozzinali. Per chi è abituato a leggere e amare le beffarde affabulazioni di autori come Iain Banks o di serie televisive come Babylon 5, i rutilanti scenari delle tragedie interplanetarie di Sandro Sandrelli non saranno una sorpresa. Nella storia della SF italiana, a volte timorosa di immaginare altri mondi, Sandrelli fu una piacevole anomalia, un autore in anticipo sui tempi.

Qualche vezzo tipografico, come hanno osservato Vittorio Catani su Delos e Giuseppe Lippi su UC, è datato, ma la ricerca stilistica del suo linguaggio barocco è in perfetta sintonia con i contemporanei esperimenti di Harness, Delany e Cordwainer Smith, e in Italia è il precedente diretto della space opera del decennio successivo, Come ladro di notte di Mauro Antonio Miglieruolo.

In Interplanet Sandrelli aveva, fra l’altro, pubblicato (insieme a Buzzati, Flaiano, Landolfi nonché – sorprendentemente – Moravia e Zolla) alcuni racconti di Primo Levi, chimico come lui e culmine insieme a Italo Calvino di una piccola scuola di fabulatori che, nei primi anni Sessanta, comprende anche Carlo Della Corte e Lino Aldani: esponenti maggiori e minori di una coraggiosa, minoritaria componente della letteratura italiana che con gli strumenti del fantastico cercava di fare i conti con lo sviluppo scientifico-tecnologico.

Della fantascienza, gli scenari di Sandrelli abbracciano la complicazione. Anche quando il modello è l’apologo, non parliamo mai di atteggiamenti semplicistici. Come scrive Vittorio Curtoni in un capitolo del suo volume Le frontiere dell’ignoto (Nord 1977), ristampato in appendice all’antologia, Sandrelli oscilla, spesso nella medesima storia, fra il grottesco e il tragico. Senza apologhi moralistici, anzi abbandonandosi al divertimento della narrazione – nota ancora Curtoni – Sandrelli ci fa “riflettere sommessamente, senza fanfare altisonanti, sui motivi dell’esistenza umana”.