Quando Pedro e Julio Fuentes iniziarono a dare i primi calci al pallone di cuoio, erano passati più di ottant'anni dalla prima finale giocata all'Azteca, ricostruito dopo il terremoto che aveva raso al suolo mezza Città del Messico.

Durante gli anni della ricostruzione della città, la sede del governo era stata spostata provvisoriamente a Washington, la vecchia capitale ai tempi dell’annessione del Messico nella prima metà del ventunesimo secolo.

Il giorno della prima finale al nuovo stadio Azteca, Città del Messico era tornata ufficialmente a essere la capitale degli Stati Uniti d’America.

I due bambini non avevano mai visto lo stadio dal vivo; pur abitando nella stessa città che ospitava il leggendario impianto, la loro breve vita era sempre stata circoscritta allo sterminato quartiere popolare dove erano nati, a chilometri di distanza dal tempio del calcio.

Però, a casa avevano un grande olovisore, e ogni tre mesi, quando il padre Alejandro tornava dal lavoro sulla stazione orbitante Century, passavano tutta la settimana di permesso a seguire insieme le partite del campionato mondiale terrestre.

Alejandro lavorava duramente per assicurare a Marta e ai gemelli quel tenore di vita; ma lui andava avanti con serenità.

L'importante era tenere la sua famiglia lontano dalle brutture e dalla delinquenza endemica in cui era cresciuto lui; Alejandro Fuentes avrebbe dato la vita per sua moglie e i suoi figli, pur di evitare che finissero in uno degli agglomerati di favelas che crescevano a macchia d'olio intorno alla città.

Come ogni genitore di umile estrazione sociale, il sogno di Alejandro e Marta era che i figli potessero arrivare più in alto possibile.

Sarebbe stato bello vederli un giorno laureati, ma le spese per lo studio erano insostenibili per una famiglia così povera. L'unica possibilità era la borsa di studio, che però veniva assegnata solo ai geni oppure per meriti sportivi; i due bambini non erano più intelligenti della media, però il talento per il calcio non mancava a nessuno dei due.

Per questo Marta, anche se non vedeva di buon occhio quella passione smodata per lo sport, assecondò serenamente il marito quando lui propose di utilizzare i risparmi di una vita per iscrivere i figli alla Scuola Calcio.

Nei periodi in cui Alejandro era sulla Century, Marta passava molto tempo in chiesa, pregando la Vergine che il sogno del marito si avverasse.

La sua preghiera venne esaudita.

Dopo dieci anni, non ancora maggiorenni, Pedro e Julio erano tra i calciatori più richiesti dai club della massima serie.

I Fuentes si erano trasferiti; abitavano in una zona elegante della città, ma non erano ancora così ricchi da poter vivere senza lavorare, per questo Alejandro continuava a sacrificarsi sulla stazione orbitante. Seguiva dallo spazio tutte le partite in cui giocavano i figli, attorniato dai colleghi che lo chiamavano scherzosamente “il mister”; nel suo piccolo, anche lui era diventato un personaggio.

Quando i figli furono ingaggiati con un contratto milionario dalla gloriosa American Star, Alejandro diede una festa in uno dei locali della Century, spendendo in una serata l'intero stipendio di quel mese.

Due mesi dopo, al termine della settimana di riposo sulla terra, partì per il suo ultimo viaggio verso la stazione orbitante. Aveva deciso che alla fine di quel trimestre avrebbe lasciato per sempre il lavoro, ormai con i soldi guadagnati dai figli, lui e Marta avrebbero potuto recuperare i lunghi anni trascorsi a migliaia di chilometri l'uno dall'altra. Ma non giunse mai a destinazione: lo shuttle su cui viaggiava si scontrò con un mercantile, dirottato da un commando di terroristi del partito separatista marziano.