Eccoci all'avvio di una bella saga fantasy, quella che l'esordiente Fabiana Redivo, proposta dalla Nord, ci inizia a raccontare con il suo Il figlio delle tempeste; chi si aspetta un romanzo compiuto, però, sia pronto a rimanere deluso, perché questo lascia molti discorsi in sospeso, se non tutti; il finale è una provvisoria sospensione del racconto in attesa della prossima puntata. Ma veniamo alla trama.

Gli elementi deificati e personificati scendono in campo, ciascuno con il proprio popolo ed i propri maghi, per celebrare l'inizio del settimo millennio: è tradizione che in questa occasione, per alcuni attimi, essi si fondano in uno, e con loro siano uniti tutti coloro che partecipano al rito. Ma l'unione non è che temporanea, perché rivalità e rancori regnano tra gli stessi dei e muovono le sorti ed i destini dei quattro popoli. In questo clima di antagonismo le mire di conquista dell'Oscurità trovano il terreno ideale per svilupparsi: riaffiora così l'eterna lotta tra Bene e Male, lotta che viene narrata attraverso alleanze, doppi giochi, intrighi di corte e soprattutto un lungo viaggio. Il centro del romanzo, infatti, è il cammino che in mago Derbeer ed il mezzosangue Elias intraprendono per andare a salvare la pricipessa Dara, consorte del cattivo di turno. Ai due che partono per la missione si aggiungono via via assortiti personaggi: uno spiritello del vento, un servitore dalle origini misteriose (ma facilmente intuibili), un ladro; molti sono gli aiuti inaspettati che essi ricevono cammin facendo, numerosi i duelli di magia che i nostri devono affrontare. Ed il nemico non è sempre quello che appare, perché l'Ombra di Soth si sta facendo spazio tra gli uomini... C'é pure la storia d'amore (e come poteva mancare?), anche se per ora rimane in secondo piano.

Fin qui tutto bene, trama piacevole, belle idee... però il romanzo fatica a decollare, non riesce a creare quel'atmosfera magico-mistica che è prerogativa della buona fantasy, ed è un vero peccato, perché i requisiti ci sono tutti. Quando la narrazione comincia a coinvolgere il lettore, il romanzo è già finito, e senza un vero finale, per giunta! Passi ancora questo problema (sappiamo che è un ciclo, quindi ci adeguiamo a comperare i seguiti), ma una piccola analisi sul perché questo "Figlio delle tempeste" non convince al 100% è doverosa. Innanzi tutto i personaggi agiscono come degli attori, sono moltissimi i punti in cui essi esprimono a voce alta i propri pensieri, spiegano al lettore le proprie intenzioni, rendono tangibile la presenza dell'autrice che da dietro le righe muove i fili della vicenda; i protagonisti rimangono incompleti, privi di vita propria. Così, oltre ad una caratterizzazione superficiale, anche l'analisi introspettiva non riesce appieno: i dubbi morali di Derbeer quando si trova alle prese con lo Spirito del Fuoco, la condizione di mezzosangue di Elias, la storia d'amore tra Elias e Harjdia sono esempi di situazioni che l'autrice non riesce a sfruttare per dare concretezza ai propri eroi (e magari creare quell'atmosfera magico-mistica di cui si diceva). Altra nota dolente: sembra che gli "aiuti", per i nostri, piovano dall'alto; ok, servono allo sviluppo della trama, però spesso risultano inverosimili. Non è tanto il "cosa" accade a lasciare perplessi, quanto il "come", cosicché l'attenzione del lettore cala, la tensione ed il dubbio sulla riuscita dell'impresa non raggiungono mai quel livello tale da mettere la tentazione di andare a sbirciare i capitoli finali...

Insomma, un romanzo godibile, leggibile, ma non da restare col fiato sospeso e nemmeno completamente immersi nella storia raccontata; di certo un libro piacavole, ma non di quelli da mettere sullo scaffale accanto agli indimenticabili. Aspettiamo di vedere cosa ci riservano i seguiti, per un giudizio più completo.