Tratto dal dramma teatrale di David Auburn, Proof soffre di una lunga serie di problemi tecnici, risultando un po' noioso e - perfino - deja vu. Nonostante il carisma dei suoi protagonisti con un Anthony Hopkins comunque al minimo sindacale dal punto di vista recitativo, quello che più sorprende del film è il fatto che non riesca a liberarsi del suo impianto pensato per il palcoscenico, dando il senso di un'interpretazione di maniera e 'innaturale' se applicata ad uno spazio narrativo più vasto.

La storia della pazzia di un matematico e del colpo di genio di sua figlia nell'intuire un teorema, perde di coinvolgimento nei confronti dello spettatore che non riesce a seguire non tanto la matematica, quanto - paradossalmente - le presunte alchimie del cuore. Gwyneth Paltrow e Hopkins non danno l'idea di alcun legame affettivo particolare e di nessuna complicità rispetto all'arcigna sorella.

Verboso e dalle pretese un po' pseudo - intellettualoidi, Proof restituisce allo spettatore l'idea di una grande piéce concentrata o riassunta scegliendo le parti meno interessanti.  Il 'confuso' punto di vista della protagonista con tanto di voce off, non serve a coinvolgere lo spettatore in una narrazione claustrofobica e snervante, quanto ad ostacolare il coinvolgimento emotivo nei confronti di personaggi che risultano appena abbozzati e di cui non ci fideremmo mai. Non funziona nemmeno troppo il casting della Paltrow in una giovane studente universitaria che si scontra con una sorella borghese e inutilmente in carriera.

A parte la colonna sonora di Stephen Warbeck che sembra intuire il senso della storia meglio, perfino, del regista, Proof risulta essere un prodotto scadente non dal punto di vista della confezione, ma dalla banalità di una trama densa di particolari inutili, che lasciano da parte le alchimie e la matematica del cuore. Un John Madden troppo innamorato della sua protagonista perde sorprendentemente di vista che non sono le persone a dovere essere raccontate, quanto piuttosto i loro sentimenti a dovere essere espressi con la contraddizione che sebbene la verità (matematica) possa essere dimostrata, quella dell'amore sfugge a tutti quanti noi. La fiducia nelle persone è come una condizione necessaria e sufficiente che alcune cose siano vere. E non basta parlare di sentimenti, affinché il pubblico li veda sullo schermo. E' - piuttosto - doveroso domandarsi come la fenomenologia dell'animo umano possa diventare semplice se l'approccio del regista è differente e passionale. La freddezza della storia, delle sue interpretazioni e - perfino - dei suoi momenti più intimi, rende questo film un'occasione mancata per una trama interessante che sebbene partendo dal presupposto abusato del 'matematico pazzo' aveva numerosi spunti per diventare qualcosa di sorprendente. Cosa che non è avvenuta, soprattutto perché anziché girarlo come un film intimista, Proof è stato trasformato in un'analisi cerebrale e verbosa di qualcosa che non serve esplicitare sempre a parole. Come accade a teatro, dove la scena è limitata, mentre il cinema consente uno spazio narrativo ed emotivo più ampio, tendente all' infinito...