Commentata dalla colonna sonora stile Giorgio Moroder composta dai francesi Daft Punk, la seconda avventura cinematografica ambientata nel mondo di Tron, lascia vagamente perplessi se non addirittura moderatamente "confusi".

Molta azione spettacolare, enfatizzata dal 3D che è legato, però, solo all'universo all'interno del mondo digitale, non corrisponde ad una serie di contenuti altrettanto significativa.

Il tono salvifico che permea il film, poi, coglie di sorpresa lo spettatore che non riesce bene a sintonizzarsi sui temi di una sceneggiatura che ricorda un po' il sostrato della trilogia di Matrix, senza, però, riuscire a focalizzare l'idea che il modello, in caso, da imitare è quello del primo capitolo e non certo quello degli altrettanto confusionari sequel.

Dell'originale, la trama riprende il personaggio di Jeff Bridges che, dopo l'esperienza nei primi anni Ottanta legata agli eventi descritti in quella pellicola, ha avuto un figlio cui annuncia un evento 'miracoloso' all'interno del mondo digitale dove sta lavorando.

La natura di quanto accaduto, però, non viene spiegata al ragazzino visto che suo padre scompare senza lasciare traccia di sé.

Qualche anno dopo, quando la società fondata dal genitore sta per rilasciare un nuovo inutile aggiornamento software del suo celebre sistema operativo (una moderata presa in giro, forse, di Microsoft...)  l'ultimo grande amico dell'uomo riceve un messaggio sul teledrin (pager) che indica il numero della sala giochi - ufficio chiusa da anni.

Il figlio, diventato adulto, entra nel regno paterno e, in men che non si dica, scivola nel mondo digitale creato da suo padre dove, però, è in atto una rivoluzione che, scopriremo, ha delle possibili conseguenze catastrofiche non solo per il reame digitale, ma anche per il pianeta Terra che potrebbe essere invaso da un esercito, se questo fosse in grado di oltrepassare il portale lasciato aperto nella sala giochi...

Per quanto il film abbia premesse interessanti e un effettistica visiva 3D notevole, Tron Legacy sembra mancare di una vera e propria anima narrativa che sia in grado di spiegare tutto o quasi, riuscendo a rendere rilevante quanto si vede e che, forse, non si comprende del tutto.

Una quarantina di minuti di cinema ad alto livello non bastano, però, per giustificare il senso di una produzione di oltre due ore che tra misticismo un po' fricchettone e un diluvio di alta tecnologia non tocca il cuore del pubblico, né tantomeno riesce a "scaldarlo".

Il mondo di Tron dove è in atto una rivoluzione perché il creatore avrebbe "tradito" i suoi, è una sorta di Impero Romano post digitale dove ci sono continui giochi di popolo in cui i programmi 'che hanno il volto di esseri umani' si scontrano in gare dai rischi fatali.

Un po' Rollerball, un po' Il Gladiatore, l'arena è dominata da Clu, l'alter ego del padre del ragazzo interpretato da un Jeff Bridges ringiovanito dalla computer grafica, ma inespressivo e, comunque, non altrettanto carismatico come l'uomo che il ragazzo ritrova in una sorta di eremo circondato da libri e in compagnia di una ragazza 'speciale' che lo venera come un maestro.

Il legame tra l'uomo e la giovane è la chiave del film: non solo è anche il punto di partenza per una strada maestra fatta di spiegazioni in apparenza scarsamente comprensibili che forse, è veramente meglio lasciare alla magnificenza del grande schermo per essere se non spiegate, almeno elencate con dovizia di precisazione più ridondanti che utili.

Tron Legacy, quindi, primo capitolo di un'evidentemente già programmata nuova trilogia, incarna pregi e difetti del cinema hollywoodiano legato al fantastico e alla fantascienza in cui la forma deve eccedere sempre di molto il contenuto e in cui un'idea, per quanto inverosimile e striminzita, viene dilatata e gonfiata più nell'ottica del marketing che in quella del desiderio, ammesso che sia ancora possibile farlo nel contesto corporate hollywoodiano di oggi, di un cinema guidato dalle idee.

Non che a Tron manchi la fantasia. Anzi. La difficoltà sta semmai nel dosare i contenuti in un tessuto visivo adeguato in cui la forma non ecceda di fatto la sostanza.

Del resto se nel mondo dei computer c'è tutto quel caos non stupisce che certi programmi non funzionano mai... se stanno tutto il tempo a divertirsi così... altro che upgrades.

L'unica consolazione è che dal proprio PC o Mac possa, un giorno, davvero 'uscire' fuori una bellezza come Olivia Wilde che nel film interpreta il programma di nome Quorra e la cui ambizione, dopo avere letto migliaia dei nostri libri, è quella di conoscere Jules Verne e vedere il nostro sole giallo.