Tratto dall'omonimo racconto di Stephen King, Il miglio verde è un film sorprendente e molto efficace, grazie ai diversi piani di lettura che offre al pubblico.

Proprio in virtù della sua originalità e di un adattamento straordinario la suspence e le atmosfere tipiche dei romanzi (ma anche del miglior cinema) di Stephen King sono rese al meglio. Vissuto come un lungo flashback dall'anziano protagonista Il miglio verde racconta la vita di Paul Edgecomb, capo delle guardie del penitenziario di Cold Mountain che sorvegliano il braccio dei condannati a morte. Tra i compiti del personaggio interpretato da uno straordinario Tom Hanks c'è quello di preparare i prigionieri a percorrere il cosiddetto 'miglio verde', ovvero il tragitto che dalla cella conduce fino alla sedia elettrica o alla camera a gas, mentre gli altri secondini ­ in genere - urlano la famosa frase 'Dead man walking!', ovvero 'Uomo morto in cammino!'... I ricordi di Edgecomb riguardano l'estate del 1935, quella che ha cambiato per sempre la sua vita, quando tra i prigionieri arriva un enorme uomo di colore di nome John Coffey. Accusato di avere stuprato e ucciso due bambine, nonostante il terribile crimine di cui si è macchiato, Coffey si comporta in maniera del tutto inconsueta. Ha paura del buio, trema quando ci sono i tuoni e ­ soprattutto ­ non ha alcun passato. Nessun certificato di nascita, niente documenti, amici o quant'altro. Sembra 'piovuto dal cielo' il giorno in cui avrebbe ucciso quelle deliziose bambine. Nonostante alcune stranezze la vita nel braccio della morte si svolge normale fino a quando un giorno il detenuto nero manifesta dei poteri curativi straordinari. Coffey, infatti, cura malattie tramite l'imposizione delle mani e arriva addirittura a restituire la vita a un topolino diventato il piccolo e insostituibile amico di uno dei condannati a morte. Un film affascinante, un documento violento e senza appello contro la pena di morte e contro le esecuzioni capitali in cui la sedia elettrica, per errore o negligenza, può incendiare il corpo del condannato. A tratti volutamente sgradevole (ma c'è altro modo per colpire davvero oggigiorno le coscienze?), nonostante le tre ore e passa di durata, Il miglio verde è un film che inchioda lo spettatore alla poltrona e lo accompagna in un viaggio allucinante e catartico all'interno delle prigioni dove la vita non sembra valere più nulla. Eppure, grazie a tanti elementi spirituali dalla grande religiosità, questo film con un Tom Hanks meritevole di vincere il terzo Oscar perso per Salvate il soldato Ryan, strappatogli l'anno scorso da Roberto Benigni, è un profondo inno alla vita e al valore dell'esistenza. Una pellicola durissima e straordinaria dove ogni parola pesa come un macigno sulle nostre coscienze. Oltre alle istanze sociali care al regista Frank Darabont già autore dell'altra pellicola di denuncia contro lo stato delle prigioni americane Alcatraz ­ l'isola dell'ingiustizia, oltre a una fotografia stupenda che ricorda quella dei film in bianco e nero degli anni Trenta, la riuscita de Il miglio verde è dovuta anche al finale a sorpresa scritto dal maestro del brivido Stephen King. Ed è forse questo l'elemento che rende davvero straordinario Il miglio verde: gli ultimi minuti della pellicola ricompongono i pezzi del puzzle facendo scoprire allo spettatore quanto profondo e ricco di fascino sia l'aspetto fantastico di una pellicola che ­ sicuramente ­ gli Oscar non potranno trascurare. A partire proprio dall'interpretazione degli attori (oltre Hanks è commovente la recitazione di Michael Clarke Duncan già visto in Armageddon nei panni dell'ingenuo gigante nero) e da una regia in grado ­ e di questi tempi non è davvero poco ­ di coniugare il gusto per delle atmosfere molto particolari allo stile tipico del grande cinema hollywoodiano. Qualcosa di assai palpabile durante tutto il film e che raggiunge il suo culmine quando ci si accorge che il trait d'union tra il flashback e la narrazione della storia è in realtà costituito dal film Cappello a cilindro in cui Fred Astaire canta danzando con Ginger Rogers la famosa 'Cheek to cheek' il cui ritornello (un elemento chiave del film) inneggia al Paradiso (Heaven, I'm in heavenŠ). Ed era ovvio che in un film basato sul contrasto tra vita e morte, fosse necessaria una riflessione su che cosa significhi il Paradiso per coloro attendono solo di dover morire. Un contrasto netto tra il vivere e il morire, che può essere però compreso meglio di tutti da coloro che ogni giorno devono camminare sul tenue confine tra l'essere e la sua negazione. Un limite chiaro che coincide drammaticamente e sorprendentemente con quel Miglio verde metafora del viaggio spirituale ed etico di un uomo, che non aveva capito in pieno che cosa stesse facendoŠ