Qualcuno ricorderà sicuramente un film degli anni Settanta dal titolo L’uomo terminale, tratto dall’omonimo  romanzo di Michael Crichton. La trama è pressappoco la seguente: il protagonista, un tecnico elettronico di nome Benson dedito alla costruzione di robot, subisce una grave lesione al cervello che lo porta ad essere soggetto a crisi di violenza. Ne sa qualcosa sua moglie Angela e due persone che uccide proprio durante una crisi. A questo punto non c’è che una via, se non quella di sottoporre l’uomo ad un intervento chirurgico all’avanguardia: viene inserito nel cervello un minicomputer, provvisto di elettrodi, che attraverso piccole scosse elettriche, dovrebbe controllare gli scatti violenti di Benson. Ma ben presto, l’uomo diventa dipendente da queste scosse e più ne ha più ne vuole e così, fuggito dall’ospedale con l’aiuto della moglie, diventa sempre più violento, fino ad autodistruggersi.

Ebbene, la realtà come sempre arriva dopo la fantascienza. È notizia di questi giorni che Frank Guenther, capo del dipartimento Cognitive and Neural Systems dell'Università di Boston, ha impiantato una specie di elettrodo nel cervello di un suo paziente. Più precisamente, sotto la calotta cranica, nella zona della corteccia cerebrale predisposta al linguaggio. Questo piccolo elettrodo rivela gli impulsi del

cervello e li trasferisce via radio a un piccolo computer esterno che, a sua volta, trasforma l’impulso che viene codificato da un software di sintesi vocale. In questo modo il paziente è in grado di parlare, laddove prima ne era incapace.

Che dire? Sembra proprio fantascienza e, invece, è realtà. Fin qui si tratta, come il romanzo e il film de L’uomo terminale facevano intravedere, di aiutare una persona che ha subito un grave handicap e di metterlo nelle condizioni più favorevoli per vivere un’esistenza normale. Il passo successivo, però, e qui siamo ai confini tra realtà e fantascienza, è che qualcuno potrebbe usare questi impianti, anzi neuroimpianti, per potenziare le proprie capacità, andando oltre i limiti dell'essere umano. Come accade a Johnny Mnemonic, il protagonista dell'omonimo film tratto da un racconto di William Gibson. In quel caso, l'eroe cinematografico possiede un hard disk nel cervello per trasportare un enorme quantità di dati e informazioni.

Questo tipo di neuroimpianti sono allo studio in varie parti del mondo e non passerà molto tempo per vedere gli effetti positivi di questa nuova scieza: ci saranno persone cieche che vedranno, persone non in grado di camminare che potranno farlo e via discorrendo. Ma resta il problema etico nel momento in cui qualcuno si farà impiantare un chip per vedere o sentire al di là delle possibilità umane. A questo punto saremo di fronte ad un nuovo uomo, un uomo bionico come ci ha già abituati a chiamarlo la fantascienza televisiva. E quale sarà la reazione dell'uomo normale? E l'uomo bionico si sentirà superiore rispetto ai suoi simili non dotati delle sue capacità potenziate? La speranza è che non si finisca come il protagonista de L'uomo terminale. Anche questa volta la fantascienza è lì che ci avvisa...