Convention 2002. Affluenza buonina, ma non da top ten (11°). Al solito, un profluvio di panels, tra cui pare strano ma ci fu pure quello “Consigli per la transazione da popolo della notte a gente del mattino”. Più serio e in tema direi quello che analizzò il successo delle opere di Dick nell’essere trasposte sul grande schermo, o anche sul piccolo. L’elenco allora comprendeva Out of this world (serie TV), Bladerunner, Total recall (allora non potevano saperlo, ma ora l’hanno pure rifatto), Confessions d’un Barjo (film francese), Drag-taking and the arts (docu-drama), Screamers, Impostor e Minority Report. In un altro panel analizzavano la grande quantità di opere cinematografiche di quell’anno, chiedendosi però se spesso non mancasse la qualità (vedi anche dopo, su questo argomento). Un altro panel, ora datato, parlava del boom di un fenomeno su Internet, i cosiddetti “blog”. “Cosa sono? Perché dovremmo considerarli?”, e così via, su questa “nuova” forma di comunicazione sul Web.
Alcune arguzie durante la premiazione vanno riportate. Sull’invecchiamento dei lettori, si facevano battute sulla prossima trilogia di Robinson su Marte (dio che ne scampi): uno dei volumi potrebbe intitolarsi, data la vecchiaia dei lettori, “Volete per cortesia fermare quel terraforming – la gente sta cercando di dormire qui”. Poi fu notato che nel 2001 non si erano verificate molte cose anticipate dalla fantascienza, ma venne astutamente rimarcato: “2001 didn't turn out quite like we expected, but then again neither did 1984. You win some, you lose some.”, che mi sembra considerazione molto simpatica e intelligente.
Un altro panel rimarchevole girò attorno allo stesso discorso di sempre, preso da una nuova ennesima angolazione. “Se hai una libreria di un metro, quali sono i volumi che – devono – esserci?” Per onore di cronaca, discussione e fancazzismo, riporto i più gettonati.
Pre 1926: Frankestein. Tra il 1926 e il 1945: L’Hall of Fame della SF (raccolta di opere brevi). Tra il ’45 e il ’64: The stars my destination, Cronache marziane, Le guide del tramonto, Stella doppia 61 Cygni, 1984, Il signore degli anelli. Tra il ’65 e l’80: Nova, La svastica sul sole, Dune, Signore della luce. Dall’80 a oggi (ieri, per noi): Neuromante e Hyperion.
Vabbè, sempre opinabile, via coi premiati.
Un’annata con premiati di qualità. Qualità che nelle ultime edizioni pare in costante aumento. Non siamo ancora ai vertici, ma la strada parrebbe quella. Staremo a vedere. Va anticipato che tra i premiati in questa edizione non si vedrà tutta questa fantascienza, ma ormai facciamocene una ragione
Romanzo: vince l’Hugo 2002
American Gods, del 42enne neil Gaiman (stesso titolo in originale), al primo Hugo.
Perdono L’ombra della maledizione, di Lois McMaster Bujold; l’inedito Passage, di Connie Willis; Perdido Street Station, di China Miéville (stesso titolo in originale); l’inedito The chronoliths, di Robert Charles Wilson e La fortezza dei cosmonauti, di Ken MacLeod.
Il Nebula 2001 decide di assegnare il premio a
La rosa quantica, della 47enne Catherine Asaro, al primo Nebula.
Gli sconfitti sono parecchi: l’inedito Eternity's end, di Jeffrey A. Carver; l’inedito Mars crossing, di Geoffrey A. Landis; Tempesta di spade, di George R.R. Martin; l’inedito The Collapsium, di Wil McCarthy; l’inedito The Tower at Stony Wood, di Patricia A. McKillip; l’inedito Declare, di Tim Powers e l’inedito Passage, di Connie Willis.
Che cambio da Harry Potter e il calice di fuoco, vincente l’anno scorso e casto libro per ragazzi, e questo American gods, che da subito si dimostra per adulti, nel frasario, nelle situazioni, nelle esplicite scene sessuali.
Non si può fingere di ignorare che questo è ritenuto un romanzo di fantasy, anzi, è stato ritenuto il più bel romanzo di fantasy degli anni 2000 (finora, da una votazione su Locus). E non si può fingere di non sapere che vincerà pure il Nebula, nella prossima edizione.
Qua si potrebbe riaprire una eterna diatriba, su cosa sia SF e cosa no, su cosa sia fantasy e cosa no, diatriba che tra l’altro sembra così importante ai giorni nostri, mentre nel secolo scorso era normale, per il lettore appassionato di SF, passare al fantasy e tornare indietro, senza problemi, ed erano molti gli autori che bazzicavano entrambi i mondi.
Comunque, questo è classificato nella fantasy. Fantasy…mah, più che fatine ci sono vagine, per fare rima e per fare capire subito lo splendido clima maturo e disincantato per permea tutto il libro. Diciamola subito tutta anche questa: io sono tra quelli che lo reputano un capolavoro. Ok, c’è chi non lo ha gradito, e sicuramente per motivi validi; io no, io sono per un’ammirazione anche piuttosto incondizionata. Non dirò molto di questa opera, se non che DEVE fare parte del bagaglio di letture di ogni appassionato di SF (o di fantasy, ma decidete un po’ voi, a me non interessa molto). E’ una lettura obbligatoria, una di quelle non frequenti uscite sul mercato che BISOGNA conoscere. Poi, giudicherete. Ripeto, è un libro che meriterebbe un’ampia analisi, ma la trovate già un po’ dappertutto, pertanto io aggiungerò solo i miei 2 cent, invece di tirarli nella fontana.
Il libro è dedicato a Roger Zelazny, uno dei miei autori preferiti, e allora si parte già bene, e ancora meglio quando ti accorgi, leggendolo, che questo avrebbe potuto scriverlo benissimo il buon Roger, sia per lo stile, sia per lo “scazzo quasi Lebowskyano del protagonista” (cito me stesso) sia per la confidenza nel trattare con gli dei, che Zelazny ci fece vedere a suo tempo, anche in capolavori. A fondo libro, tra i ringraziamenti, si cita Harlan Ellison (un altro dei miei autori preferiti) e la sua raccolta Deathbird Stories (sottotitolo A pantheon of modern gods),e il corto circuito è completo. Tra l’altro il singolo L’uccello di morte di Ellison vinse l’Hugo per i racconti e, sempre tra l’altro, è un capolavoro e per me una delle assolute vette della SF in toto. Così giusto per dire.
Non mi dilungherò ancora sull’opera di Gaiman, anche se lo sto facendo, perché le cose da dire vengono fuori così, da sole. Io personalmente non finirò mai di ringraziare Gaiman, ad esempio, quando a un certo punto introduce un personaggio (il poliziotto di Lakeside) e lo chiama Chad Mulligan. Chi è Chad Mulligan? Ma come… Cari lettori. Io vi invito a leggervi i classici, prima di buttarvi su tante cose discutibili che ci sono oggi. Anzi, dovete leggere i classici, che poi non sono altro che i libri di formazione degli scrittori di oggi. Perché quando tutti dicono, tra gli scrittori, che stanno leggendo Vance, beh, ca**o, leggiti Vance anche tu, no?
Oppure se Gaiman dà a un suo personaggio minore il nome di uno dei protagonisti più formidabili della storia della SF, quel Chad Mulligan di Tutti a Zanzibar, di Brunner, libro ponderoso, mostruosamente avanti, geniale in molte parti, spiazzante e magari noioso e sconcertante ma fondamentale, un libro inevitabile, che il Nostro evidentemente conosce, anzi di più, probabilmente ama… beh, ma è un omaggio e una citazione coi contro catsi! Perché rispolverare Mulligan, un tipo fighissimo, è un colpo di genio, che magari le nuove generazioni non afferrano, ma le più vecchie, antiche, (o vetuste come me), dicono solo “Mi inchino reverente, Gaiman!”.
Mulligan è il tipo che a fine libro (parlo di quello di Brunner) fa il breve discorso all’Uomo, che è lo stesso discorso che ci farebbe Dio, per chi crede che esista, o che farebbe se esistesse. E poi nel libro questo Mulligan è uno scrittore, autore tra l’altro di Sei un idiota ignorante…ma vabbè, ora divago troppo. Insomma tutto questo pipotto mentale per dire questo libro è sensazionale anche nei dettagli, e se ne potrebbe parlare per ore mesi anni. Della trama vi ho detto? Non va raccontata, se non che il colosso protagonista sta per uscire di galera e tornare dalla sua mogliettina. Ma tutto è diverso da come pensava; lui andrà invece a lavorare per un tizio (che altri non è che Odino), gireranno per molta parte degli States e ne succederanno di tutti i colori. Non dico altro e non cercate anticipazioni sulla trama, leggetevelo e godetevelo.
Alla premiazione Gaiman era fuori di sé dalla gioia, dato che era sempre stato un suo sogno da giovane vincere l’Hugo, ma che crescendo si accorgeva di non essere quel tipo di scrittore che vince. Chiuse con “Fanculo! Ce l’ho fatta! Grazie!”.
Nebula, passiamo al Nebula. Il romanzo è sorprendentemente buono. Diffidavo, non fosse altro per la brutta copertina (pardon all’autrice) dell’edizione italiana. Invece, è vero che mi riporta a opere lette negli anni ‘70-’80, come stile, come intreccio SF - FANTASY; è vero che non è poi così originale, anzi; ma è anche vero che te lo bevi in un fiato, e che cattura presto e definitivamente la tua attenzione.
Abbiamo la già vista (altrove) civiltà simil medioevale, che sopravvive alla meno peggio e che usa, senza capirli o poterli aggiustare, meccanismi e macchine di un passato lontano ma molto più glorioso e tecnologico. Già visto, no? Eppure, funziona sempre, questa ideuzza. Più avanti ne scopriremo molte altre, anche che codesti umanoidi altro non sono che i discendenti di umani opportunamente modificati geneticamente, per vari scopi, spesso non nobili. L’arrivo della “Storia”, dell’attualità, dei veri protagonisti dell’Universo, sul piccolo pianeta, scompaginerà per sempre le tradizioni e storie locali. La protagonista, discendente da una popolazione geneticamente modificata chissà quanti secoli prima, come tutti i suoi antenati, allo scopo di piacere e di servire, doveva andare in sposa al locale ricco bulletto, ma finirà per sposare l’uomo che, si scoprirà, viene dalle stelle e che ovviamente è un figo della peppona. Poi ne succederanno molte, in quel pianeta e altrove, e si scoprirà che la speciale sintonia che c’è nella coppia è ben più che speciale.
Bel libro, ben scritto. E’ giusto e doveroso un premio che lo ricordi, alle future generazioni, caso mai ci sia qualcuno che si metta in testa di rileggersi tutti i premiati col Nebula e sperasse di trovare roba buona.
Romanzo breve: vince l’Hugo
Tempi veloci a Fairmont High, del 58enne Vernor Vinge, al terzo Hugo.
Sconfitti l’inedito Stealing Alabama, di Allen M. Steele; l’inedito May be some time, di Brenda W. Clough; l’inedito The chief designer, di Andy Duncan e l’inedito The diamond pit, di Jack Dann.
Decisione diversa per il Nebula, che premia
La Terra definitiva, del 94enne Jack Williamson, al primo Nebula.
Perdono: l’inedito A roll of the dice, di Catherine Asaro; l’inedito May be some time, di Brenda W. Clough; l’inedito The diamond pit, di Jack Dann e l’inedito Radiant green star, di Lucius Shepard.
Vinge mi piace, e anche qua si fa leggere ben volentieri. La società che dipinge vive immersa nella realtà aumentata (anche se non la chiamano così), e nella continua connessione alla rete. Il protagonista è un ragazzo delle medie, o giù di lì, ha lenti a contatto speciali e pure i suoi abiti nascondono parecchie connessioni. Ma è un ragazzo come tanti, tutti sono così. E gli adulti pure. In questa società dove i Google glass sarebbero preistoria, è il tempo degli esami, alla scuola Fairmont High. Ok, l’incipit è finito. La storia che segue, in realtà, si fa preferire solo per le possibilità date da tale realtà aumentata e tecnologicamente così spinta. La storia in sé vale ben poco e non è riuscita benissimo. Sto calcando forse troppo la mano; il tutto è alla fine discreto…ma netta è la sensazione che lo spunto sia molto interessante, e il romanzo molto meno. Attenzione però, tanti ritengono questo romanzo breve uno dei migliori del nuovo secolo. Io mi sento un tantino più scafato e non l’ho apprezzato così tanto.
Meno ancora, come dissi nell’edizione precedente dell’Hugo, quello vincente il Nebula. A Williamson viene dato, per il romanzo che già aveva vinto l’Hugo, questo premio che pare più alla carriera che all’opera. Forse che pensavano che il vecchio Jack, ultranovantenne, fosse lì lì per schiattare e non facessero poi in tempo? Boh. Lui li fregherà tutti, perché lascerà questo mondo tra altri 4 anni, nel 2006, a quasi cento anni. Per vedere che ne penso, rispolverate quanto scritto sopra, da qualche parte.
Racconto lungo, vince l’Hugo 2002
L’inferno è l’assenza di Dio, del 35enneTed Chiang, al primo Hugo.
Ha la meglio sull’inedito The days between, di Allen Steele; Disfatto, di James Patrick Kelly; Aragoste, di Charles Stross e l’inedito The return of Spring, di Shane Tourtellotte.
Ennesima decisione diversa per il Nebula, che assegna il premio 2001 all’inedito
Louise's ghost, della 33enne Kelly Link, al primo Nebula e al momento la più giovane premiata vivente, battendo Ted Chiang di un paio d’anni.
Perdono: l’inedito To kiss the star, di Amy Sterling Casil; l’inedito The Pottawatomie giant, di Andy Duncan; Disfatto, di James Patrick Kelly; l’inedito Auspicious eggs, di James Morrow e l’inedito Dance of the yellow-breasted luddites, di William Shunn.
L’opera del giovane Chiang è, al solito, notevole. Ma questa veramente. Occhio se faccio qualche spoiler (ne faccio parecchi). Il mondo descritto è in tutto e per tutto uguale al nostro, se non che, appaiono, a volte, gli angeli. E ogni tanto si vede l’inferno. L’apparizione di un angelo è accompagnata da miracoli, ma anche, data l’enorme energia che si sprigiona, da parecchie morti, vuoi perché ad esempio le persone cadono in crepacci, che si aprono al momento, o vuoi perché esplode una vetrina di vetro, e partono schegge micidiali, che uccidono, come capita, la moglie del protagonista. Il male e il bene, che si verificano in seguito all’apparizione di un angelo, sono casuali. Miracoli succedono a chi non li meritava particolarmente; muoiono persone che pure non lo meritavano. Non c’è un piano, non c’è giustizia. C’è solo, aggiungo io, la prova di un aldilà. Se qualcuno muore, nel libro si racconta, si vede chiaramente se la sua anima ascende in cielo o sprofonda. Ad alcuni è dato vedere la gloria del Cielo: nel momento che l’angelo torna a casa, il cielo si apre e qualche raggio paradisiaco filtra a terra. Chi ne è colpito vede la beatitudine eterna, non muore ma è cieco per sempre. Anche l’inferno a volte si vede: il suolo acquista trasparenza e per un po’ si vede che l’inferno non ha caratteristiche particolari, si vedono le persone che piangono o ridono così come qua da noi.
La storia parla del protagonista che come detto rimane vedovo. L’unico scopo della sua vita era sua moglie. Ora per rivederla, deve andare in Paradiso, quando sarà il momento (se si suicida, la perde per sempre); solo che lui non è che ami Dio particolarmente, e pertanto non la vede facile.
Il finale sarà crudele, se vogliamo, ma tutto sommato coerente con un dio in definitiva indifferente all’umanità. E’ curioso notare che nel romanzo, dove c’è in pratica la prova provata dell’aldilà, le cose cambiano ben poco, rispetto al rapporto con le religioni che c’è qui da noi. La gente non è che creda più o meno che qua. E allora, viene da domandarsi, se l’inferno è l’assenza di Dio, non è che l’inferno è la società descritta da Chiang, una società è vero con angeli e inferni visibili, ma dove manca totalmente la presenza di dio, se non casuale e senza scopo? O forse, vuole dirci l’autore, che l’inferno non sia in realtà la nostra società, dove non solo mancano prove dell’esistenza del divino (prove concrete, non prove di fede), ma pure non compaiono mai angeli (intendo notati chiaramente da centinaia di persone), o non appare talvolta come nel libro, lo stesso “inferno”. Mah. Opera profonda, con molte sfaccettature e con molti piani di lettura, che non a caso è ritenuta da molti la migliore opera breve del secolo XXI. Anticipo che vincerà pure il Nebula, nella prossima edizione.
Nebula: inferiore ma comunque di qualità il racconto della Link. Inedito in Italia, parla di due amiche (entrambe si chiamano Lousie), di come una delle due abbia una bambina particolare, e l’altra abbia in casa un fantasma, la qual cosa è scocciante assai. Il tutto è scritto veramente bene. Lo stile è piano, semplice, in apparenza, anche troppo semplice. Il tutto è molto figo: la storia è in definitiva poca cosa, ma il taglio scelto te la fa seguire tutta d’un fiato. Fantascienza assente (ma anche in quella di Chiang, se vogliamo), si arriva poi a un finale delicato e poetico, tanto che dici, cavolo, la storiella è caruccia, ma sta tizia, sa il fatto suo! E un bel premietto ci sta proprio bene.
Due giovani talenti, insomma.
Infine, racconto breve, vince l’Hugo 2002
Il cane che diceva bau (alias Il cane disse bau bau), del 52enne Michael Swanwick, al terzo Hugo
Ecco chi ha perso: l’inedito The bones of the Earth, di Ursula K. Le Guin; Nella vecchia fattoria, di Mike Resnick; l’inedito The ghost pit, di Stephen Baxter e l’inedito Spaceships, di Michael A. Burstein.
Nebula 2001, ancora una decisione diversa. Vince l’inedito
The cure for everything, della 44enne Severna Park, al primo Nebula.
Sconfitti l’inedito Kaddish for the last survivor, di Michael A. Burstein; Gli elefanti di Nettuno, di Mike Resnick; l’inedito Mom and dad at the home front, di Sherwood Smith e Wound the wind, di George Zebrowski.
E’ difficile non esaltarsi davanti a quel gioiellino di racconto che vince l’Hugo. Il bravo Swanwick, nel limitato mondo del racconto breve (qua neanche troppo breve, mi sa che eravamo al limite), ci mostra tutte le potenzialità della fantascienza. Fantasia, creatività, situazioni strane ma belle, assenza di limiti. Il protagonista è un cane, oddio, ricorda un cane, ma profondamente modificato geneticamente, cammina su due gambe, o zampe, si esprime come un lord, piace un sacco alle donne (avrà una storia con la gnocca del racconto, che possiederà, non serviva dirlo, doggystyle), ma è un bel furfante. Assieme al suo complice londinese (umano), proveranno a fare un furto a Buckingham Palace. Siamo in un futuro estremo, e la sede della regina è ben diversa da oggi, e pure lo è la Regina. Non voglio dire altro, rintracciatelo e godetevelo, è puro divertimento intelligente.
Un piccolo capolavoro destinato a vincere fin dalla sua uscita. Ah che bello, avercene di SF così!
Chiudiamo infine con quella che è purtroppo una mezza cagata. L’autrice, Severna Park (immagino uno pseudonimo) ci narra di questa popolazione, rimasta isolata nel profondo dell’Amazzonia, da secoli, che viene ora scoperta e che, ci si accorge, ha in sé i geni per guarire ogni malattia sulla Terra. Lo svolgimento è parziale, acerbo; la storia non decolla e termina senza molto senso. L’interesse non nasce mai e si arriva a questo Nebula insensato. Bene rimanga inedito, sto raccontino senza scopo.
Libri non di narrativa, vince The Art of Chesley Bonestell by Ron Miller and Frederick C. Durant III with Melvin H. Schuetz. Bonestell, morto negli anni ’80 a quasi cento anni, fu un artista quasi visionario, o visionario in toto, specializzato in celeberrime illustrazioni astronomiche.
Se qualcuno sbavasse e fosse intenzionato a fare un saltino su Amazon, si prepari a spendere una bella botta di euro per questo libro.
Bella infornata questa volta tra film e altro, anche se stona l’assenza di Donnie Darko. Ma è vero che questo bel film in realtà crebbe nel tempo e quando uscì non lo cagò nessuno.
Vince dunque
Il Signore degli Anelli: la compagnia dell’anello, di Peter Jackson e basato ovviamente sull’opera di Tolkien. Della quale opera non dirò nulla non avendola letta, evito così i pipponi insopportabili se sia fedele al libro o meno e chissenefrega. Che poi, anche su questo film celeberrimo, se ne saranno già scritte chissà quante, perciò stiamo parlando dell’acqua calda. Non vorrei essere offensivo o frainteso, questo film mi piacque a dismisura e lo reputo un piccolo capolavoro o giù di lì. Girato come noto in Nuova Zelanda, e come noto unì critica e grande pubblico, concordi nell’esaltarlo. Tredici nomination agli Oscar (ma ne vinse 4, e un tantino minori, ma si fa per dire, fotografia, colonna sonora, effetti, trucco). Su IMDB ha l’eccellente voto di 8 , 8. I costi furono sì notevoli, ma girando assieme anche il secondo episodio, si ammortizzarono. Gli incassi furono incredibili, non lontani dal miliardo di dollari. Insomma, è piaciuto a molti e si è rivelato una miniera di soldini.
Cast da urlo prolungato (prolungato perché si pensi che vennero girati assieme i primi due film, per un totale di un anno di vita abbondante da passare in Nuova Zelanda, con pause, chiaro). Il protagonista Elijah Wood, che era una vita che recitava, ma nessuno l’aveva finora mai notato (c’è pure in Ritorno al futuro parte 2). Da qua in poi, chi non lo riconosce? Stesso discorso, in tono minore, per Sean Astin (Sam). Gandalf è il celebre McKellen, uno dei migliori attori in circolazione, già allora (prima di lui si pensò a Sean Connery, o Patrick Stewart, ma Gandalf E’ McKellen, fine della discussione). Aragorn è il mostruoso (per bravura) Viggo Mortensen, un attore che ammiro incondizionatamente. Si pensi che si valutava Nicolas Cage, scelta che avrebbe affossato l’intera serie, probabilmente…Viggo magari qualcuno come me lo ricorda in Witness – Il testimone, o l’istruttore di Soldato Jane, o in altri film, ma è sicuramente qua che la sua faccia già nota diventa la faccia di una star. Sean Bean è Boromir, ma forse ora è più famoso ancora per Il trono di spade. E mica abbiamo finito. Legolas è niente meno che Orlando Bloom, allora lui sì uno sconosciuto, oggi ovviamente celeberrimo non fosse anche per la saga dei Pirati dei Caraibi. E ho già parlato di Christopher Lee, Hugo Weaving, Cate Blanchett, Liv Tyler…? Un cast spettacolare.
Non aggiungerei altro. Come noto ha un finale aperto e venne seguito da due film, una trilogia super famosissima. E di cui mi sa che si tornerà a parlare.
Al secondo posto l’altrettanto celebre Shrek: la Dreamworks ripropone l’orco verde tratto da una fiaba omonima. Anche qua, che dire? A rivederlo ora, sembra tecnicamente datato, con le espressioni dei personaggi che non convincono appieno, ma è facile dirlo 12 anni di evoluzione tecnologica dopo. La storia è celeberrima e simpaticissima, con tutti sti personaggi delle fiabe richiamati e modernizzati. E insomma se non l’avete ancora visto (difficile), è ora di darsi una mossa. Anche qua, costi importanti ma non vertiginosi per un gran bel successo al botteghino. Non solo, fu il primo film a vincere l’Oscar per il migliore cartone animato, categoria appena introdotta (battendo Monsters & Co., che forse gli preferisco). Ed era addirittura in gara a Cannes! Su IMDB ha un meritato 7,9 .
Terzo arrivò Harry Potter e la pietra filosofale, primo film della celebre saga cartacea ad essere tradotto in opera cinematografica, e che mi piacque pure. Anche qua, cosa volete che vi dica? Stiamo parlando di tre film super celebri, conosciuti da tutti, poi si può disquisire su quale sia in effetti il migliore, quale piaccia di più, ma alla fine è anche questione di gusti. Per la cronaca, su IMDB ha 7,3, non un voto altissimo (a onore del vero alcune recitazioni gridano un tantino vendetta), ma è un film più da godere che da criticare, sapendo già in partenza quello che può dare. Tra l’altro, pure 3 nomination agli Oscar, tra cui il “solito” grande John Williams, che di nuovo creò musiche che ancora oggi identificano immediatamente il prodotto. Il film fu una grande scommessa, dato che costò uno sproposito, sperando poi che la fortuna avuta coi libri, si riflettesse anche nel cinema. Perché, in effetti, non si sa mai…Invece il film ruppe da subito tutta una serie di record di incassi. Divenne l’incasso dell’anno e il secondo di sempre nella storia del cinema (allora). Ancora oggi ha un onesto 18° posto all time.
Quarto si piazzò un altro film celeberrimo, Monster & Co. Pure qua, poco da aggiunegere, stiamo parlando di film che tutti conoscono o che dovrebbero conoscere. I mostri per avere energia nella propria città devono spaventare i bambini, quasi come degli incubi che diventano reali, senza farsi scoprire (tanto ai bambini, chi crede, pare dire il film?). Ma una simpaticissima bimbetta si introdurrà nel mondo dei mostri, e ce ne saranno di tutti i tipi, anche la scoperta che c’è del marcio, a Mostropoli. Film che non ha accusato il passare del tempo, ricchissimo di colori e invenzioni, citazioni e intelligenza (pensate solo al sistema delle porte), con una bella storia. Su IMDB un meritato 8 ,0 , che poi è anche il mio voto. Vinse pure l’Oscar per la migliore canzone, ebbe altre 3 nomination. Per la Pixar, un’altra volta grandi costi e un’altra volta, gran belli incassi.
Infine quinto un telefilm, della serie Buffy l’ammazzavampiri (serie che non ho mai seguito). L’episodio è Once More, with Feeling, settimo episodio della sesta stagione (la penultima), ed è una puntata “musical”, da quanto leggo, e pure molto apprezzata, dato il voto di 9,0 su IMDB. In Italia diventa il settimo episodio della stagione, tradotto in La vita è un musical. Un demone costringe tutti in città a ballare e cantare, esprimendo i propri pensieri, rischiando pure l’autocombustione per troppa attività (!?). E vabbè.
Pure il Nebula dà un premio, e anch’essa premia, come lo scorso anno l’Hugo, Crouching Tiger, Hidden Dragon.
Solito excursus dalla SF (ma anche sopra, non è che sia tutta SF), per ricordare cosa si vedeva al cinema nel 2001.
Tre furono i grandi successi: Harry Potter e la pietra filosofale, Il signore degli anelli: la compagnia dell’anello e Monsters & Co.
Altri incassi notevoli furono Shrek, Ocean’s eleven, Pearl Harbor, La mummia il ritorno, Jurassic Park III; minori quelli di film famosi come Il pianeta delle scimmie, Hannibal, Rush hour 2, A beautiful mind.
Tra i bei film dell’anno: oltre al Signore degli Anelli, da ricordarne almeno 3: La città incantata, Il favoloso mondo di Amelie e Donnie Darko.
Altra Sf, magari non venuta benissimo (cosa poi sempre discutibile?); come detto di “roba” ne era uscita parecchia: Atlantis della Disney, Vanilla sky, AI intelligenza artificiale, Spy kids, Evolution, Kpax, The one, Final fantasy, Fantasmi da Marte, tra quelli più memorabili, e oltre a quelli di cui sopra.
Migliore artista, vince Michael Whelan, tanto per cambiare, 52 anni e 13 Hugo (o ho perso il conto? L’avrà perso anche lui).
Per gli esordienti o giù di lì, vince Jo Walton, al secondo e ultimo anno di eleggibilità. Al momento non ho letto nulla di lei, ma mi sa che qualcosa andrà in coda.
Viene per la prima volta premiato il Best Web Site, vince
www.locusmag.com, davanti a
www.scifi.com, www.sfsite.com, www.strangehorizons.com e
www.tangentonline.com.
Dobbiamo purtroppo salutare per sempre C. Sheffield (1 Hugo e 1 Nebula), Damon Knight, troppo presto George A. Effinger (1 Hugo e 1 Nebula), Raphael Lafferty (1 Hugo).
Qualche foto? Ma sì
Quel simpaticone di Orson Scott Card
Mieville formato ti spiezzo in due
Silverberg e Pohl, porello
Basta? basta. E i matti? Un'altra volta.