di

Vittorio Catani

Tre per uno

Arriva sulle nostre pagine una vecchia gloria della fantascienza italiana, un autore che ha pubblicato moltissimo, sia sulle fanzine che su riviste professionali, mantenendo sempre un alto standard qualitativo, fino a vincere il Premio Urania col romanzo Gli universi di Moras. Il racconto che presentiamo è quasi una riflessione, che tira in campo diversi argomenti difficili e che certamente farà discutere.

Sono fermamente restio al telefono nello studio: trovandomelo a mezzo metro di distanza finirei col rispondere sempre io, anche se le interruzioni mi snervano.

Avevo appena udito lo squillo, dall'altra stanza, che la porta si aprì.

-- E' per te -- disse Clara. Mi avviai sbuffando.

-- Pronto...

-- Ciao! -- disse una voce nota. -- Ci sono novita?

Guido. Non ci vedevamo da circa un mese, e probabilmente aveva voglia di fare quattro chiacchiere in famiglia. I nervi si distesero, mentre calcolavo: solitamente le sue visite si protraevano, ma l'indomani era festivo. Bene, non mi sarebbe dispiaciuto intrattenerci. Guardai l'orologio.

-- Ti aspeto per le diciannove -- gli dissi. Mancavano quattro ore.

-- D'accordo. Approfitto per restituirti il materiale della volta scorsa.

-- Posso preparartene dell'altro... se la scelta ti ha soddisfatto.

-- Ti dirò: abbastanza per Veretti e Malipiero. Frank Martin... be', un po' meno.

Mi ragguagliò sugli ultimi acquisti discografici e librari. Mi dette notizia di un disastroso tamponamento subito di recente e ci salutammo con un: "A presto".

Tornai allo studio scuotendo la testa per snebbiarmela. Da sei ore mi trovavo in full immersion intento al completamento di un corposo saggio critico su Brecht da passare all'editore la settimana seguente. E come al solito ero in ritardo. A mezzogiorno avero fatto un salto veloce con Clara giù alla tavola calda, il che per me è un'eccezione perché mangiare in quel modo mi distrugge lo stomaco.

Clara aveva ascoltato la telefonata. Disse: -- Hai già scordato il nostro tete-à-tete di stasera. quindi.

Mi diedi dell'imbecille. Indubbiamente negli ultimi tempi Clara doveva sentirsi un tantino sola, con me sempre chiuso in studio e Alda a studiare fuori sede. Le avevo promesso che la sera avremmo cenato fuori... Sarebbe saltato tutto con la visita di Guido.

-- Ti prego, Clara, ancora un piccolo sforzo... Ceniamo in casa, tutti e tre. Al ristorante ci andiamo domani, promesso.

Sospirò. -- D'accordo. Fortuna che siamo alla fine...

-- Certo. Qualche giorno ancora e termino il lavoro. E per una settimana non ci sarò per nulla e nessun altro giuro!

-- Speriamo, -- disse lei poco convinta.

Mi chiusi la porta alla spalle rituffandomi tra le carte.

Bussarono alle sette meno cinque.

Le ulfime ore mi erano pesate ed ero decisamente stanco. Per un istante pensai che non avevo voglia di ricevere nessuno.

Tutto era in ordine. Clara non si udiva ma ogni cosa recava il tocco della sua presenza. Aprii. Dalla soglia un paio di occhi chiari mi scrutarono con intensità.

Guido controllò l'ora. -- Sono in anticipo di qualche minuto. Fa niente?

-- Tradisce un caranere ansioso.

Mi tese la mano e stringendola ne riconobbi la carnagione quasi da bambino.

Dacché lo conosco, e sono anni, Guido ha sempre avuto l'aspetto di un bambolotto dall'espressione attenta, sarcastica o malinconica che sia. E' biondo, allampanato, il viso incorniciato da una peluria dorata dal taglio volutamente trasandato. Veste con gusto e ha modi talmente signorili che a qualcuno potrebbero sembrare effeminati.

Lo precedetti nello studio, tirai fuori le bottiglie e presi la cartella che mi porgeva.

-- Dunque: che te ne pare?

-- Decisamente buono, anche se nel Martin prima maniera ho trovato dei richiami all'impressionismo un po' stucchevoli.

-- Be', comunque di strada nei hai fatta, dalle Rapsodie ungheresi.

Grazie alla paziente cura del sottoscritto, il mio amico si era voluto familiarizzare con un genere musicale verso il quale, per anni, aveva creduto di nutrire una incompatibilità. Inizialmente l'unico hobby del genetista Guido era stata la pittura, in particolare l'opera di Jackson Pollock e gli informali. Due fantasiosi quadri appesi al muro dello studio testimoniavano la sua versatilità. Poi gli avevo sottoposto alcuni compositori, da Pergolesi alle avanguardie post-weberniane. Ora Guido amava parlare di musica con una certa sensibilità e competenza.

-- Come va il lavoro? -- si informò.

Gliene parlai; a mia volta chiesi notizie su un espenmento che, sapevo, da tempo l'lstituto di genetica stava portando avanti.

-- Siamo a buon punto, -- disse Guido. -- Finalmente possiamo dire di avere una placenta artificiale efficiente. Una specie di utero computerizzato, preposto al complesso scambio di nutrimento e scorie tra madre e feto. La necessità di perseguire validi risultati in questo settore ormai si era fatta stringente: la nascita prematura resta sempre la prima causa di mortalità infantile... Ma le nostre cavie animali in utero artificiale sono una realtà che lascia molto ben presagire.

Non volle aggiungere altro, e il discorso scivolò su banalita varie. Poi mi venne a mente un'altra faccenda e gli domandai: -- E con Eli come va?

Mi fissò strano, mentre mandava giù il bourbon. Tagliò l'aria con la mano. -- Così. Definitivo.

-- Possibile? L'hai fatto altre volte, ma mai sul serio. Non ci credo!

La vita sentimentale di Guido era sempre stata un groviglio. A lungo mi aveva parlato di Eli, Jeanette o non so chi, e lo seguivo sempre con interesse. Il suo tenore di vita lo portava in un giro brillante dal quale io, anche per carattere, restavo escluso: ma il dato ricorrente era il suo cacciarsi in situazioni insolite.

O forse, quindici anni di matrimonio felice con Clara avevano cancellato in me il ricordo di flirt occasionali e relativi salti di umore.

-- Ho dovuto, -- ribadì Guido parlando a scatti e continuando a fendere l'aria -- Non so, è un periodo nero questo per me, credimi. Ho avuto giorni in cui praticavo la solitudine totale... Ho trascurato perfino momenti cruciali del mio lavoro.

-- Mentre eri solo hai forse dipinto altro?"

Mi fissò impacciato -- Qualcosa, sì... robaccia. Preferivo stordirmi di musica.

-- Mi fai sentire in colpa... Stavolta ti darò autori che non assecondino le depressioni, vediamo un po': Rossini. O la Serenata per archi di Ciaikowski. Ma lei come l'ha presa?

-- Mah, bene, immagino. Il tiramolla degli ultimi tempi l'avrà preparata. Crolli il mondo non tornerò sui miei passi, sono nauseato.

Ci chiamò Clara. Poco dopo la cena era in tavola.

La conversazione non eccelse. In compenso le portate furono ottime Ci congratulammo con Clara, che in parte - notai - si sentì ripagata del mancato lume di candela. Più tardi ci ritrovammo in soggiorno e per un po' riempimmo l'ambiente di chiacchiere e di fumo. Poco dopo Clara, come avevo previsto, si congedò andandosene a leggere in camera. Dissi:

-- Senti questo. Un pezzo da collezione. -- Tirai fuori un vinile da una busta variopinta. -- Beatles d'annata.

Attesi. Anche Guido. Tutto l'ambiente pareva sospeso su qualcosa.

-- Coraggio! -- esclamai. -- Sei proprio tanto a terra?

Lui apri la bocca, ma per tossire. Continuai a fumare. Non mi sentivo in imbarazzo e se non insistevo più era perché, ne ero certo, neanche Guido aveva perplessità. Perché c'è questo di bello in un'amicizia solida: il sollievo di trovarsi sempre a proprio agio. Non dover pesare pensieri e parole, trattenere quel che dell'altro merita di essere trattenuto e poi "con un soffio benigno disperdere il resto".

Guido disse con voce debole: "Scusami. Dunque lo vedi, sono qui da te e sto male in arnese. Hai un'idea delle giornate che ho avuto. Chiuso in un bozzolo, in attesa non so neanch'io di cosa. Sogni spesso, tu?

Occupai la sua attenzione per pochi secondi, accennandogli ad un mio strano sogno ricorrente. Lui ascoltò, poi riprese:

-- Anch'io a volte ho sogni insensati. Ma quello di stanotte è stato coerente, lungo e intenso. Ero in casa da solo, di sera. Stavo per addormentarmi. Udivo rumori dall'ingresso e restavo pietrificato nel letto, incapace di muovermi. Scorgevo un'ombra scivolare verso di me, e come sdoppiandomi vedevo l'intruso contemporaneamente dal letto e dalle sue spalle. Aveva una pistola puntata e mi si accostava, mentre mi stringevo contro il guanciale Improvvisamente individuavo quel volto sconosciuto: eri tu. lmmediatamente l'arma nelle tue mani si trasformava in un piccolo animale... Provavo un gran sollievo, sedevi sul bordo del letto e finalmente trovavo il sonno. Ma sentivo che continuavi a star lì, a vegliarmi. E... succedeva una cosa strana. Stranissima, davvero.

Guido tacque. Aveva un'espressione implorante, e si tormentava le mani. In me scattò un segnale d'allarme. -- Quale cosa? -- chiesi simulando indifferenza.

-- Devo trovare la forza di continuare. Succedeva che tu... ti stendevi al mio fianco. Poco dopo mi sono svegliato, e sono rimasto incerto se fosse stato un sogno o qualcosa di consueto e...

Ero sprofondato nella mia poltrona e non osavo muovermi. Non osavo pensare a nulla. Mi limitavo a stare lì. -- Cerca di immaginare qualcosa, -- disse Guido. -- Ci riesci?

Dolcemente risposi: -- Ci sto provando.

-- Sono contento di esserci riuscito, mi credi? Da sempre ho tentato di dirtelo, parlarti della situazione in cui vivo. E' un inferno! Sono a pezzi.

Riandai alle molte serate in compagnia di Guido, ai suoi monologhi interminabili che restavano sempre tronchi per un invincibile pudore o semplicemente, per timore di non avere di fronte qualcuno che capisse. Ma stasera era stato diverso.

-- Cosa pensi di me? -- chiese Guido.

-- Che pcnso? Non certo male.

Al momento fui incapace di far meglio. Ma dovevo parlare: i nostri futuri rapporti dipendevano dalla mia reazione. In pochi attimi dovevo riconsiderare un'amicizia di anni. Dovevo vedere Guido nella duplice veste dell'amico prezioso - un'immagine alla quale non avrei saputo rinunciare - e dell'omosessuale. Mi sono sempre creduto di vedute ampie ma non era facile.

-- Grazie per la fiducia -- conclusi. -- Non devi preoccuparti di nulla.

Sentii che era vero: avevo vinto me stesso e ne ero soddisfatto. Aggiunsi: -- Puoi evitare di rispondermi, ovviamente, ma... sei proprio certo di... Insomma mi hai sempre perlato delle tue donne e...

-- Ho sempre detto cose vere. Le mie donne sono state molte. Molti rapporti, assolutamente platonici. Ma intensi. E ho incontrato sempre ragazze abbastanza comprensive e dolci, anche se mai ho parlato di certe mie mancanze. Le volte che ho tentato di possederle...

-- Ti riusciva proprio impossibile?

-- Provavo repulsione.

Riflettei. -- Sii onesto con te stesso: pensi di essere... geloso di questo tuo stato, o vorresti cambiare? E' una risposta determinante per la tua vita.

-- lo desidero cambiare. Finora al riguardo non ho mai tentato niente di serio, perché mi illudevo di farcela da solo. Ho fallito. Ora contatterò gente che può aiutarmi.

Annuii, anche se mi ero già fatta la mia idea: forse era una via sbagliata.

Proseguì:

-- Ma ho dovuto parlartene. E' terribile essere diversi. Non poter esternare i pensieri, dover reprimere i propri gesti più spontanei. Viviamo in una società provinciale, la morale corrente sbandiera tolleranza ma in realtà condanna senza appello. Altre volte ho provato a confidarmi... mai l'avessi fatto! Sono stato allontanato, marchiato, bollato come il peggior delinquente. Tu... mi conosci da anni: ti sembro così sgradevole?

-- Non devi darti pensiero per il mio giudizio, per me non può cambiare nulla. Sei l'amico di sempre.

Mi porse la mano, visibilmente sollevato. Ne nebbi una stretta ferma in cui non seppi veder altro che un gesto di amicizia.

-- Devo aggiungere che i miei problemi non si fermano qui -- disse Guido. -- All'lstituto mi sono sottoposto ad alcune analisi. Quella del liquido seminale ha rivelato una azoospermia. Cioè, se anche riuscissi a "cambiare" non sarei in grado di procreare, -- concluse avvilito.

Restammo alcuni istanti in silenzio, poi Guido esclamò:

-- Bene, è tardi e devo andare... Dammi questa Serenata. Data la circostanza è quanto che ci vuole. Buffo, no? Largo al buon gay Ciaikowski.

Andai a letto che Clara già dormiva, ma stentai a prendere sonno. Ripensai agli eventi e mi convinsi che mi ero comportato nel più onesto dei modi. Guido è un'intelligenza di quelle che s'incontrano di rado, avrei senz'altro risentito della sua perdita. Pensai al nostro rapporto e ritenni di non doverlo minimamente modificare. D'altronde, lui capiva benissimo che il mio universo era incompatibile col suo. Decisi però che non sarei stato io a ritelefonare. Nonostante tutto, l'allarme che avevo sentito scattare durante il dialogo con Guido continuava a echeggiarmi in testa, ma era qualcosa che non riuscivo a focalizzare...

Smisi di rimuginare e cercai il sonno.

Trascorse del tempo. Consegnai il mio lavoro su Brecht, che finalmente si trasformò in una pila di volumeni tutti identici, in equilibrio sulla scrivania. Spesso però mi sorprendevo a pensare a Guido, ai suoi problemi.

Avevo preso un nuovo impegno, un approfondito studio sull'ambiente in cui visse e operò Joyce. Mi immersi in questo nuovo lavoro, che in breve mi prese al punto da farmi perdere cognizione del resto. Stavo sempre rintanato in casa, ma era come se fossi assente. Clara mi incontrava solo ai pasti, ero il suo "pendolare casalingo". Alda non esisteva, quasi. In breve: mi dimenticai anche di Guido.

Fu lui a svegliarmi. Un giorno mi telefonò per informarmi che, se ne avessi avuto piacere, mi avrebbe mostrato qualcosa di interessante all'lstituto. Non era la prima volta che lui mi chiamava a curiosare nel suo lavoro: riteneva così di ricambiare il mio sforzo per lui in campo musicale. Ma ciò che maggiormente mi sollevò nella telefonata fu ascoltare il tono consueto, sicuro, della sua voce.

Accettai. La sua Sezione era al terzo piano e occupava tre stanze. Mi venne incontro per il corridoio, col camice e un'aria decisamente efficiente e professionale. Il suo sguardo era il solito sguardo chiaro e un po' ridente dei vecchi tempi. -- Ciao, -- disse. -- E' di là.

Mi osservai in giro, ogni volta c'era qualcosa in più quasi a sfidare gli spazi già ristretti, si trattasse di apparecchiature o di qualche piccola cavia in gabbia. Guido mi portò verso un tavolo.

-- Guarda, -- disse.

C'erano due rane. -- Osservale bene. Due esemplari di Rana pipiens. Cosa noti?

Mi accorsi subito che erano identiche. -- Clonazione -- dissi.

-- Certo, ma qualcosa di più. Acqua, acqua...

-- Non saprei.

-- Te lo dico io. Queste rane sono il risultato di un duplice processo tecnologico. Il primo l'hai individuato, il secondo è la placenta artificiale di cui ti ho parlato l'ultima volta. Stavolta l'esperimento è riuscito, e sei tra i primi a saperlo. -- Dalla sua faccia, pareva si trattasse della cosa più naturale del mondo.

-- Quindi tu hai creato.

-- Boh! Lasciamo perdere le parole impegnative. Vedi, tutto questo prima o poi si potrà applicare all'uomo, e il giorno è più vicino di quanto non si pensi. Le implicazioni morali e religiose sembrano terribilmente complesse, ma secondo me non si deve esagerare. lo parto da questo presupposto: sono mezzi già disponibili in natura. Quindi sono naturali, anche se il concetto sembra insolito. L'universo esiste, opera di Dio o del caso... non vedo perché non dovremmo usarlo... purché i risultati non creino dolore. Questo clone è sano e verosimilmente lo sarebbe un clone-uomo.

Non sentivo affatto la sicurezza di Guido, I'evento mi soverchiava. Mi limitai a dire:

-- Ma potrebbe incontrare sanzioni morali peggiori di ogni male: per l'uomo "normale", un uomo-clone potrebbe comunque apparire una mostruosità!

Mentre parlavo, mi accorsi di aver toccato un tasto decisamente falso. Come proporre proprio a Guido un vero e proprio razzismo genetico? Che mancanza di tano...

Ma lui comprese che la mia reazione derivava solo dal disorientamento e disse, tranquillo:

-- Accadrà. E' inevitabile che prima o poi accada. Diciamo che, anche in questo caso, si tratta di evoluzione...

-- Forse. Ma resta da vedere fino a che punto questi risultati "non creino dolore", come hai detto tu.

-- Molti risultati del cosiddetto progresso scientifico creano dolore, eppure sono comunemente accettati perché comportano anche vantaggi. Non vale neanche la pena nominarli, sono sotto i nostri occhi ogni gionno. Ma io ti dico che queste sono scoperte benefiche: un giorno tutti, volendolo, potranno procreare. Pensi che la nascita di una nuova vita mi lasci insensibile? Tutti, anche coloro per i quali la natura si è dimostrata matrigna.

Dimenticai le sciocche rane e guardai Guido: i suoi occhi erano più limpidi e profondi che mai.

Poco dopo ci separammo, al solito senza fissare una data per un successivo incontro. Conoscendo il nostro rapporto, pensavo che sarebbe trascorso un sensibile intervallo di tempo prima che si presentasse l'occasione per risentirci. Ma stavolta non fu così.

Neanche una settimana più tardi mi pervenne una lettera, recante su frontespizio l'intestazione dell'lstituto di genetica. Era scritta a mano e la grafia minuta diceva:

Carissimo,

in questi giorni avrai avuto modo di riflettere su quanto ti ho mostrato in laboratorio. Ebbene, preparati a ben altro.

Vi sono aspetti della clonazione che non sono stati ancora approfonditi. Ma io sto trascorrendo notti insonni. Mi solleva molto pensare che per coloro che soffrono i miei problemi possa intravvedersi un futuro migliore.

Ciò è bello, ma non è tutto. Non puoi immaginare - né posso dartene colpa - la tristezza di dover constatare come il sentimento, I'affetto nutrito nei confronti di qualcuno, da chiunque si trovi nelle mie condizioni, non possa mai portare a niente di concretamente bello e costruttivo.

Perciò mi piace pensare di aver infranto anche l'ultima barriera. Qualcosa che finora non ha mai tentato nessuno. Immagina che la serie di 46 cromosomi umani da immettere nel citoplasma per la clonazione, derivi non da uno ma da due diversi individui, e fermati a pensare cosa verrebbe fuori.

Ci hai provato? E ora posso dirtelo. Ascolta: io ho i mezzi per farlo. Io posso far nascere così una creatura umana e sono deciso ad andare fino in fondo. Le attrezzature ci sono, ci ho lavorato per anni. C'è la placenta artificiale, un minuscolo batiscafo ad alta tecnologia capace di funzionare anche per i nove mesi di una gestazione umana. Sarà qualcosa di esaltante, ma a dopo i dettagli. Ti ripeto che ho intenzione di prelevare una mia cellula e fecondarla, sostituendo alcuni tratti del Dna che possono determinare caratteristiche che io rifiuto.

La proposta che ti faccio è questa: sei disposto a sostituire i tuoi ad alcuni dei miei caratteri? Che ne pensi?

Nostro figlio attende.

Affettuosamente,

Guido

A lungo, non seppi che fare della lettera. Al diavolo il lavoro e tutto il resto, la rilessi anche quando mi accorsi che la sapevo a memoria, ero certo di non avere frainteso? No, era tutto ben esplicito. Nostro figlio attende. Ma nemmeno questo poteva essere...

Quel famoso allarme finalmente taceva: ma non sapevo che pensare.

Per non scoppiare, decisi di parlarne a Clara. Le esposi l'antefatto e terminai leggendole la lettera, e il tutto fu un'esperienza di grande disagio. Quando fu certa di aver ben capito Clara sbarrò gli occhi, cercò di deglutire e corse in un'altra stanza ripetendo: "O no, non è ammissibile!", poi tornò da me e volle che le rileggessi lo scritto. Poi diede sfogo a un torrente di parole il cui senso era che, come donna sposata e innamorata del proprio uomo, mai avrebbe sopportato un'aberrazione simile. Concluse:

-- A parte i motivi che ti porterebbero ad accettare la proposta di Guido, e sui quali non voglio neanche soffermarmi, questa ipotetica creatura servirebbe solo a separarmi da te. Non mi apparterrebbe mai, né mi unirebbe a Guido, col quale non ho avuto né voglio aver nulla da spartire.

La reazione di Clara non mi sconvolse. Forse che non l'avevo presentita? Forse ero stato maldestro a parlargliene tutto in una volta. Pazienza, da quelle persona sensata che era avrebbe trovato modo e tempo di assimilare meno emotivamente la questione. Perché da lei io non cercavo un consiglio - che era umanamente impossibile dare - volevo solo scaricare il peso.

Riflettei, senza mai contattare Guido, che immaginavo calato in una situazione complementare. Certo è che non scartai inorridito l'idea. O, inconsapevolmente, avevo già deciso? Senza dubbio che la cosa aveva un suo forte fascino ambiguo.

Forse avevo anch'io tendenze particolari? Non ne ero sicuro, pur sapendo che in ciascuno di noi covano elementi bisessuali più o meno palesi. E io mi sono sempre fatto vanto di larghe vedute, al riguardo. A meno che questa mia apertura mentale non fosse di per sé sospetta... Già ero piuttosto confuso.

Dopo alcuni giorni conclusi che era inutile affaticarsi su una soluzione astrana. L'unica cosa era assecondare il mio istinto. E dentro, una voce mi diceva: sì.

Non fu affatto facile, ma un giorno andai all'Istituto e bussai alla porta di Guido.

-- Ciao! -- esclamò lui. -- Entra, scusa il disordine... non immaginavo una tua visita improvvisa qui.

Non l'avrei immaginata neanch'io questa, fino a non molto tempo prima, ma non dissi niente. Dal mio modo di fare Guido doveva aver già capito la risposta. Allora non parlai. Lo fissai e annuii: e fu tutto.

Guido disse: -- Grazie. Preferisco non dirti cosa sarebbe potuto accadermi in caso di rifiuto... Ma sia, era certo della tua risposta.

-- Ho problemi con Clara. Sappi che ho preso questa decisione ma pongo una sola condizione: I'assenso di Clara.

Guido capì. -- E' giusto. Saprò attendere. Solo se lei persistesse nella sua posizione dovremmo rifare il punto. Ma permettimi di avere fiducia. Tua moglie è una donna intelligente... per il solo fatto di averti sposato. Accantoniamo il resto, che affronteremo onestamente se sarà necessano.

-- Ti avviserò. E nel caso...

-- Qui è tutto pronto. Questione più semplice di quanto si possa pensare. Allorché dovessi deciderti, tornerai qui e io ti condurrò fino alla realizzazione. Non c'è da avere alcun timore, credimi.

Così ci salutammo.

Infatti non avevo più timore. Né avevo nulla da obiettare, sia sotto l'aspetto tecnico sia sotto quello etico: ma il problema era pur sempre Clara. Un suo accordo viziato o superficiale l'avrei considerato privo di interesse.

Volli riparlargliene, a distanza di tempo.

Era sera e ci trovavamo a letto. Le chiesi il permesso di riprendere l'argomento e mi sforzai di sintetizzarlo con la massima obiettività consentitami. In quel periodo Clara aveva continuato a comportarsi come se nulla fosse accaduto, benché non mi fosse difficile, a volte, indovinare tensione nel suo viso o negli occhi più lucidi del consueto. Io contavo che ella si fosse, se non convinta, almeno familiarizzata con l'idea. Conclusi chiedendole:

-- Resti sempre della stessa opinione?

Devo dire che avevo in serbo qualcosa di nuovo. Avevo riflettuto molto in quei giorni, ed ero pervenuto a un'idea che, chissà, poteva rimenere in discussione il rifiuto di Clara.

-- E me lo chiedi ancora? -- rispose lei. -- Lo sono più che mai. Ouesta cosa mi sta facendo soffrire. Io ti amo e mi piacerebbe accontentarti, ma proprio non mi riesce. Ho anche pensato al divorzio... Preferirei restare separata da te così, piuttosto che... in quel modo.

-- E se la cosa avvenisse in modo da non separarci poi tanto, rifiuteresti ancora? Possibile che non esista un punto di intesa? Ascoltami, ti prego. Noi ci siamo sempre riferiti a una gestazione artificiale, e convengo che può apparire ulteriormente spiacevole. Ma... se partecipassi anche tu? Nulla ci vieterebbe, credo di dare ai 46 cromosomi il citoplasma di un ovulo tuo, per farlo poi sviluppare dentro di te! Clara, avresti una normalissima gravidanza e saresti... madre. Non pensavamo appunto a un secondo figlio, qualche tempo fa?

Mi rispose con scherno:

-- Un secondo figlio mi piacorebbe tanto. Penso di essere nel pieno della mia maturità femminile e questo desiderio è più forte che mai. Fra l'altro, con Alda sempre via e te sempre assorbito dal tuo lavoro, mi sentirei più viva in questa casa. Ti concedo che la tua soluzione può apparire ingegnosa, ma un figlio dev'essere anzitutto il frutto di un atto d'amore. Perciò quando vorrò averlo dovrà essere tuo. Un figlio normale, non un aborto.

-- Ti rendi conto di cosa dici? Quel figlio di cui parlo sarebbe più che norrnale, e anzi di ciò saremmo certi dall'inizio. Non ti sembra già tanto? Pensaci. E alla fine quel figlio sarebbe mio, col mio sangue, come vuoi tu.

-- Con metà del tuo sangue.

-- Ma insomma: c'è gente che li adotta. i bambini. Anche questo è un atto d'amore, verso chi non ha neanche una goccia del proprio sangue. Ricordati un episodio agli inizi del nostro matrimonio, non riuscivamo ad avere figli e proprio tu una volta mi proponesti di adottarne uno.

Nel nostro dialogo c'erano degli elementi che la lasciavano incerta. Non che si fosse convinta, ovviamente. Cercava solo una valida risposta, ma stimai un piccolo successo che non ci riuscisse all'istante. Incalzai:

-- Sei scioccata, come me fino a pochi giorni fa. Ma devi pensare che non si tratta di qualcosa di innaturale, è semplicemente una soluzione nuova.

Ebbe un gesto di sconforto. -- Ma il fatto che tu... e Guido...

Non avrei saputo dire se eravamo sulla strada giusta.

In altre occasioni, sbollita l'emotività iniziale, il discorso considerava altre implicazioni.

-- Clara, lo so che le tue remore sono sempre state diverse dalle mie.

-- Certo. Altrimenti sarebbe stato facile anche per me pensarla in altro modo. Ma sono giunta ad alcune conclusioni. La prima, è che questa tua determinazione è una cosa assolutamente folle, ogni mia cellula si ribella. Ma sono cosciente che certe cose prima o poi dovevano accadere in giro, quindi passo a supporre che in fondo non sia tanto assurdo. Penso a quelle donne che hanno acconsentito a esperimenti di fecondazione artificiale o a trapianti di embrione... anche se era già cosa diversa. E' un guaio, per te. Ti sarebbe bastato incontrare una compagna di vedute diverse, un tantino più spregiudicata. La mia natura non vi si concilia tutto qui.

-- Siamo diversi, Clara, niente di male. Ma penso che qui la faccenda superi certi interessi strettamente personali.

-- Rispondimi: pensi che un atto possa essere altruista se per compierlo si fa violenza al modo d'essere di una terza persona?

-- Detesto la violenza, ma a volte anche le cose buone lo sono. La storia delle idee giuste è una storia di violenze continue: contro mentalità impreparate.

-- E naturalmente sei sicuro che ciò si applichi al nostro caso...

-- Nel nostro caso credo vi siano idee giuste, capaci di restituire una ragione di vita a chi sopporta emarginazioni e nevrosi, e credo che il potere di decidere stia solo da una delle due parti. Clara, io ti conosco abbastanza. Tu non giustifichi mai l'egoismo, quali che ne siano le motivazioni. Immedesimarsi significa capire, e sfido chiunque a trovare del male in questo.

Clara non rispose, assunse un'espressione diversa e trascorremmo lunglu minuti silenziosi. Io avevo finito, ora attendevo lei.

-- Apprezzo il tuo punto di vista e i tuoi sentimenti, -- disse. -- Ma sinceramente quando penso a tutto ciò che la cosa comporterebbe non riesco più ad assimilarla tutta. Chiamala una dissociazione tra ragione e istinto se vuoi, ma che non sento di voler forzare.

-- Né te lo potrei mai chiedere, -- convenni.

Avevo tentato qualcosa di ridicolo: la razionalizzazione di motivazioni istintive. E' sciocco, in questi casi, cercare di convincere la gente. E' come combattere contro un iceberg, ciò che non vediamo supera di gran lunga il visibile. Si ragiona non solo col cervello ma anche con la storia del nostro corpo. Clara aggiunse:

-- Non so cosa potrei decidere. Ti chiedo ancora tempo.

Era già molto. Ma io che predicavo tanto, che moventi avevo in realtà? E forse avevo insistito troppo, con Clara. Ma non avrei neanche dovuto illustrare le mie ragioni?

Un giorno Clara ed io ci recammo da Guido. L'avevo preavvisato della nuova piega presa dagli eventi, così trovammo tutto pronto. Nel precederci verso il laboratorio lui sorrise a noi due. professionalmente sicuro. Io non provavo nulla e l'espressione di Clara era indecifrabile; probabilmente stava combattendo con se stessa la sua ultima battaglia. Ma allorché sedette in una piccola anticamera, il suo viso aveva un'espressione decisa e tranquilla forse serena. Non mi stupii molto sentendole scandire queste parole:

-- Sia chiaro, Guido, che sono pienamente responsabile e convinta di ciò che faccio, anche se ignoro cosa verrà fuori da tutto questo. -- Ebbe una smorfia. Guido la fissava in silenzio. -- Ma la creatura, se nascerà, sarà mia. Questi sono i miei patti, mio figlio apparterrà esclusivamente a me e a mio marito, e non accenerò intrusioni di alcun genere. Sei disposto a farmi una promessa formale su questo punto?

Chiusi gli occhi. La voce ferma di Guido disse:

-- Certo. Clara. Una condizione... -- esitò. -- Ragionevole. E adesso, abbi pazienza per alcuni minuti. -- Sentii la sua mano sulla spalla.

Mi indirizzò nel laboratorio, poi chiuse delicatamente la porta. Armeggiò dandomi le spalle; ascoltavo solo il suo respiro, e mi sembrò un tantino alterato. Ma non mi dette tempo: venne verso di me e in pochi attimi mi aveva procurato un'incisione sottocutanea con uno strumento lucido e affilato. Disse:

-- Ho prelevato qualche migliaio di cellule. Devo agire in fretta se voglio mantenerle in vita. Ho già prelevato le mie, poco fa. Circa la tua soluzione con l'intervento di Clara... be', devo dire che l'avevo già considerata. Speravo segretamente che ci arrivaste, comunque non te ne avrei mai fatto parola.

Non seppi cosa aggiungere. Continuò:

-- Ciò che lei mi ha detto poco fa... va compreso. Dovrà ammettere che il figlio non sarà suo da un punto di vista cromosomico, ma le condizioni che ha posto partono da valide ragioni emotive. Dopotutto noleggeremmo il suo corpo per nove mesi, durante i quali donerà il suo sangue e aumenteranno i rischi anche per lei. Il nostro contributo è ben minore.

Poco dopo fece entrare Clara. Guido procedette al prelievo dell'ovulo, alla distruzione del nucleo con ultravioletti, al collocamento dei 46 cromosomi nuovi, al reinserimento dell'ovulo. La cosa richiese alcune ore. Alla fine, Clara fu riaccompagnata a casa con un'ambulanza e dovette restarsene a letto, immobile per qualche giorno.

Non sapemmo se l'esperimento fosse riuscito o meno, finché non notai qualcosa di insolito in mia moglie. Se ne era rimasta sola tutta la giornata, trascurando anche la casa. La sera mi si avvicinò per dire:

-- Sono in ritardo. Capisci? Da otto giorni... -- Mi fissò incredula, mi gettò le braccia al collo e ci commuovemmo, come due ragazzini.

Appena possibile facemmo alcuni accertamenti sull'embrione, sotto la supervisione di Guido, che concluse: -- E' tutto assolutamente normale, Clara. Sono certo che sarà un parto da manuale. Il bambino è sanissimo.

Ciò rincuorò molto me, Clara e, sospetto, anche Guido. I giorni si susseguivano in una specie di gas esilarante: poi anche i mesi vorticarono. Joyce attendeva ero certo che avrebbe capito: anche lui era stato un pioniere...

Clara uscì di conto e al quarto giorno accusò le doglie. La portai in una clinica, e il ginecologo disse: -- Si tranquillizzi, signora. Prima di sera lei sarà di nuovo mamma.

Mamma? Certamente anche se non nel senso comune. Guido mi telefonò:

-- Mi spiace di non poter essere presente, ma i patti sono patti. C'è anche la questione del mio lavoro. Sono in partenza, si presenta una svolta nella mia carriera poi ti ragguaglierò con più calma. Ti confido: avevo timore che si manifestassero segni di rigetto in Clara, ma è andata bene. Avvisami appena nasce e... in bocca al lupo.

-- Anche per te. -- Naturalmente.

Alle 15 Clara entrò in sala parto e dopo una ventina di minuti udii i vagiti. Mi chiamarono: -- E' un bellissimo maschietto vedrà!

Ovviamente lo sapevo: e quando poco dopo me lo portarono nella culla così simpatica, con addosso i graziosi vestitini già pronti da tempo, provai qualcosa di indicibile che poi è ciò che prova ciascun padre nella circostanza. Ma c'era qualcosa in più e il colpo venne quando osservai il viso del piccolo.

Era il mio, punto e basta. Il mio, come lo riconoscevo dalle vecchie foto di famiglia. Guido aveva voluto dare al nostro figliolo la mia immagine. Era uno splendido regalo. Ma i capelli biondicci e le iridi azzurre mi parvero tratti suoi, per quello che possono dirci queste cose in un neonato.

Clara aveva chiuso gli occhi, ma sulle labbra livide si indovinava un sorriso sereno. Allora fui felice.

Tutto questo risale a tre anni fa.

Non terminai il lavoro su fovce: e con Clara ritenemmo opportuno trasferirci. La situazione richiedeva un luogo calmo, idoneo. Scelsi un tranquillo paesino del centro-nord dove abbiamo messo su casa e ci dedichiamo ai nostri compiti di genitori con gioia crescente.

Spesso viene anche Alda, ormai una signorina, che adora il piccolo. Philo è un giovanottello vispo, guizzante, allegro. Riempie i nostri giorni di coppia un po' attempata. A detta di Clara somiglia in modo impressionante a me, sempre più. Occhi capelli e portamento sono però di Guido, in maniera evidente.

E' intelligente: essendo un clone. anzi un bi-clone, dovrebbe avere la stessa potenzialità intellettiva del padre genetico. Ma io avverto in Philo una grande precocità. Certamente un fattore ambientale e sarebbe di grande interesse studiarne le caratteristiche.

Noi due trattammo unicamente con Guido, ma è chiaro che egli fu la punta di una équipe particolarmente avanzata. Egli seppe evitarci noiose intromissioni, ma sarebbe stato impossibile non far trapelare nulla, sia pure nel riserbo che ci avvolse all'Istituto di genetica. La maggioranza dei giornali giudicò la notizia un tantino esagerata, e la relegò tra le elucubrazioni domenicali. Ma ricevemmo anche moltissime lettere di gente convinta che Philo fosse quello che è. Di solito erano coppie di persone sterili, o di omosessuali. che imploravano dettagli. Girai tutta la corrispondenza a Guido. Da tempo sta elaborando ambiziosi progetti che però non dipenderanno soltanto da lui. Mi auguro vivamente che riesca a veder realizzata quella che ormai è l'unica ragione della sua esistenza.

La più grossa, comunque, la leggemmo in una lettera di un'organizzazione che combatte la fame nel mondo. Diceva tra l'altro: -- Ouesto mancava, che si mettessero a figliare anche i maschi.

Sono lieto che si sia avverata una mia speranza segreta: la nuova maternità ha finito con l'ammorbidire molto Clara. Cosa può il sorriso di un bambino! E spesso, approfittando di pause nei suoi viaggi, Guido viene a trovarci e si intrattiene con noi come un tempo, e porta a Philo tanti regalini che lo viziano.

Ma al di là di questo, io sono convinto del passo fatto. In mio figlio vedo, oltre all'amore di mia moglie, I'opera dell'amico, le sue fattezze. E' bello sapere di avere una persona davvero fidata: trovare i suoi modi e alcuni suoi tratti costantemente davanti immortalati con i propri nella prole. E' una sensazione che non pretende di soppiantare l'amore ma che riempie molto. Io sono lieto che sentimenti quali l'amicizia, I'affetto, la comprensione reciproca possano portare a risultati tangibili come questo: è una unione di forze che può affrontare ogni cosa. Sono questo aspetto Philo è più che un figlio: è la rappresentazione di un "amore" in senso esteso capace di costruire qualcosa di genuino e umano che unisce per sempre.

Ma guardando ancora oltre io vedo in Philo, semplicemente, un bambino stupendo. Mio figlio. E si inveisca finché si vuole, questa rimane una realtà incontrovertibile.

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