E il fantastico? “Funziona molto bene l’horror, ma anche l’horror si basa su qualcosa di molto facile. È una letteratura viscerale, una letteratura della paura, dell’inquietudine, dell’orrore. In effetti c’è stata un’evoluzione nella letteratura fantastica: siamo passati da quella che viene chiamata ‘letteratura fantastica classica’ – tra gli altri gli autori classici belgi che avevamo visto emergere con la collana Marabout: Jean Ray, Thomas Owen, autori come Claude Seignolle – che era un fantastico molto più basato su una situazione strana, a romanzi che raccontano qualcosa di terrificante, di orribile...”

Lo scrittore francese Pierre Bordage
Lo scrittore francese Pierre Bordage
E allora, ecco la ricetta di Markus Leicht per far tornare la fantascienza a vendere: “Secondo me bisognerebbe rilanciare delle collane di più facile accesso, ritornare alla fantascienza d’avventura, alla space opera, ma uscendo dall’universo di Star Wars... anche se effettivamente i romanzi Star Wars vendono molto bene”.

Ma – obiettiamo – assomigliano molto alla fantasy. La risposta fa male: “Sì, si avvicinano alla fantasy. E perché la fantascienza riprenda a funzionare è necessario che, in un primo tempo, si avvicini alla fantasy”.

In principio era Fiction. Dopo, anche

Il Grand Prix de l’Imaginaire, che viene assegnato ogni anno al Festival Utopiales, è stato vinto nelle scorse edizioni, tra gli altri, dalla rivista Fiction. Chi segue, o ha seguito in passato, le vicende della letteratura fantastica francese sa che questo è un nome storico.Come la nostra Robot, e come un’altra rivista francese, (che però nasce in origine come fanzine), anche Fiction è rinata solo di recente dopo una morte apparente che si è rivelata essere solo un lungo coma. Si tratta dell’edizione francese dell’americana Fantasy and Science Fiction Magazine. Jacques Goimard, critico, saggista e curatore, che per Fiction collaborò dal 1958 al 1971, parla del “nostro accanimento contro la SF popolare: Fleuve Noir era continuamente il bersaglio dei nostri attacchi (...) Noi volevamo essere una scuola letteraria, anzi un’avanguardia, e sicuramente l’eravamo, in una certa misura; tuttavia avevamo una visione ingenua dell’istituzione letteraria e di come funziona in Francia. Sostanzialmente, bisogna scegliere fra la condizione di scrittore ambizioso, che scrive per la gloria, e quello di autore alimentare; coloro che riescono a fare entrambe le cose contemporaneamente non raggiungono il centinaio, forse nemmeno la trentina”[1].