Il cyberpunk negli anni ’90 ci ha fatto scoprire che l’interazione tra umani e computer potrebbe essere dopotutto molto interessante. È quello che vuoi dimostrare anche tu?

Fin dal 1960 ho sempre pensato che l’interazione tra umani e computer sarebbe stata al primo o al secondo posto in ordine di importanza nel nostro futuro. (L’altra cosa importante era la sopravvivenza del genere umano e l’estensione della vita nello spazio).

Quanto lontano la tecnologia potrà portare questa unione secondo te? Diventeremo sul serio dei cyborg?

Se riusciremo a evitare disastri sul piano fisico, allora sia noi che i nostri discendenti potremmo diventare più potenti di quello che il nostro substrato riuscirebbe a sopportare. Quindi alla fine non solo la nostra mentalità ma anche la nostra natura fisica (e locazione) dovranno cambiare rispetto a quello che troviamo nella biologia conosciuta.

In uno dei tuoi lavori The ungoverned, sviluppi il tema della società. Quale società potrebbe esistere nel futuro di un mondo dove la performance sembra essere l’unico parametro utilizzabile per giudicare sia le macchine che le persone?

In realtà The Ungoverned è il mio tentativo di mostrare come la libertà economica possa produrre una società più felice e liberale di quella che abbiamo ora (così come la democrazia di oggi è molto più felice e liberale della società medievale). Se volete approfondire la questione con un saggio non di fiction, vi raccomando fortemente il libro di David D. Friedman The Machinery of Freedom.

L’intelligenza umana, quella sovrumana e la fine dell’era umana. Nel 1993 hai scritto il saggio The Coming Of Technological Singularity (www-rohan.sdsu.edu/faculty/vinge/misc/singularity.html), ti ci riconosci ancora?

Oh sì certo. Infatti non cambierei molto di quel saggio.

Supportare il software gratuito contro i monopoli commerciali potrebbe essere un modo per evitare la perdita di democrazia e, alla fine, anche quella dell’umanità nella nostra civiltà?

Il movimento del software gratuito è uno degli auspici migliori dei nostri tempi. Il software gratuito – e la nozione più ampia del Creative Common – potrebbe e dovrebbe aiutare l’esplosione dell’attività intellettuale di centinaia di milioni di creativi che – per la prima volta nella storia – sono in comunicazione tra di loro e con i dati informatici e le risorse fornite da Internet.

Quest’anno hai pubblicato Raimbows End. Pensi di scrivere altre storie basate sullo stesso universo come Fast Times at Fairmont High?

Si, vorrei davvero scrivere un sequel di Raimbows End. Ho moltissime idee a riguardo, però non sarà il mio prossimo libro.

A cosa stai lavorando adesso?

Sto lavorando a un libro che è un sequel di A Fire Upon the Deep (Universo incostante).