Negli stessi anni, due racconti inaugurano il motivo dei mutanti. Estremamente delicato è Le belle figlie di madama Dorè di Giuseppe Pederiali, uscito su Futuro (1964, rist. in Robot 43, 2004), con la ricerca di una ricostruzione chirurgica della bellezza e della normalità fisica, di cui rimane la costruzione di una generale atmosfera di fragilità e impotenza.

Giorgio Scerbanenco
Giorgio Scerbanenco
Invece, in Mostri di Giulio Raiola, uscito su Interplanet (1962, rist. in Cronache dal futuro), la nuova generazione di mutanti creati da un incidente militare viene prima rinchiusa nel ghetto della zona contaminata, poi in parte massacrata prima di essere spedita verso le stelle su un’astronave. In questo apologo che richiama razzismo, olocausto nucleare e l’Olocausto della Shoah, c’è un processo di Norimberga, che finisce con un’assoluzione che è anche un’autoassoluzione collettiva. Crudelmente, il racconto termina con un one-liner fulminante: “Allora, rimasti soli quaggiù, dovremo sgozzarci fra di noi”. Ancora più intensa perché mai mostrata direttamente, la “voluttà dell’annichilimento” della distruzione planetaria è centrale anche in Caino dello spazio di Sandro Sandrelli (1962, nell’antologia omonima, La Tribuna 1964), romanzo breve che parla di guerre spaziali, sacrifici nel nome della patria e impossibilità di un’autoassoluzione nel nome dell’obbedienza agli ordini. Altrettanto folle è la guerra interplanetaria combattuta in L’Anaconda di Giorgio Scerbanenco (in Di tutti i futuri del mondo, Galassia 77, 1967), incrocio satirico fra space opera e noir con cyborg sterminatore e un indimenticabile processo farsa; qui l’un universo è dominato da dittature in lotta, e il racconto mina alla base ogni velleità di eroismo dell’Anaconda. Nessuna giustificazione è lecita in questa fantascienza della crudeltà.Anche per questo, risulta molto più debole la commedia per ragazzi di Giuseppe Berto, La fantarca (Rizzoli 1965), in cui l’arca spaziale creata per risolvere la questione meridionale inviando i “terroni” su Saturno torna in una Sicilia resa disabitata, per quanto in apparenza bellissima, dall’“energia magnetica” usata a scopi bellici.

A questo punto, arriva un trittico di romanzi del dopobomba in senso più stretto. Il primo, Fine del viaggio di Alessandro Silj (Rizzoli 1962) è unanimemente considerato trascurabile, ma lo seguono due ottimi romanzi ambientati entrambi a Milano, già segnalati su Delos n. 50 (www.fantascienza.com/magazine/rubriche/7528 ) da Lanfranco Fabriani. In H come Milano del giornalista Emilio De’ Rossignoli (Longanesi 1965), la distruzione è l’unica nota. In questo compiaciuto (fin troppo) Mondo cane del futuro, la distruzione nucleare di Milano porta a un’incessante serie di violenze e degradazioni, fino all’antropofagia, senza speranza o possibilità di redenzione.Il capolavoro del periodo è Il cavallo venduto di Scerbanenco (Rizzoli 1963, rist. Frassinelli 1997), nato negli anni 40, durante la 2° guerra mondiale. Stavolta, dopo l’apocalisse, Milano sembra presentarsi al resto d’Italia come oasi di civiltà, e che chiama “colonie” i territori esterni che controlla. Il mondo è regredito alla pura lotta per la sopravvivenza, e colonne di straccioni fanno la fila per raggiungere la città che immaginano un’utopia, ma la città è una dittatura da cui sarà impossibile uscire. Raccontato dal punto di vista di vari componenti di questa folla, sono le voci dei sopravvissuti a dare al romanzo intensità e complessità con le loro storie. Solo un personaggio, da tutti chiamato “il Matto”, invita tutti a voltare le spalle a una città che si sta ricostruendo sulla stessa violenta falsariga che ha causato la guerra.Della stessa crudeltà, pochi anni dopo, saranno imbevute le Cronache del dopobomba di Bonvi, fumetto che trova la pubblicazione e il successo in Francia nel 1974 ma scritto l’anno precedente e rifiutato da molti editori. Se le atrocità belliche comunque affrontati nelle Sturmtruppen avevano trovato un sollievo nell’umorismo, qui l’orrore è orrore, stilizzato in tutta la sua crudezza e brutalità.