Il cartone animato rappresenta una delle produzioni più mature sbarcate in Italia dal prolifico Sol Levante a partire dagli anni Ottanta, e si distingue per la delicatezza dei toni nostalgici che rappresentano la firma inconfondibile di Miyazaki (e mantenute nella trasposizione italiana con l’incantevole melodia della sigla, cantata da Giorgia Lepore). Le premesse giustappongono l’armonia bucolica di Hyarbor, terra mitizzata in cui l’uomo ha ritrovato un suo equilibrio con la Natura, all’inumana Indastria tiranneggiata dal Direttore Lepka, intenzionato a recuperare il segreto dell’energia solare e rimettere in moto la Torre, che nei suoi piani dovrebbe assicurargli l’assoluto dominio sul mondo. Ma leggervi un’equivalenza tra scienza e apocalisse sarebbe errato e ingiusto, visto che tanto per Key quanto per Miyazaki la personificazione dell’ideale della ricerca come motore del progresso è incarnato nell’enigmatico Dottor Rao, il nonno della giovane Lana tenuto quasi in ostaggio nella sua Torre. E anche la tecnologia non è del tutto negativa: i tecnocrati che fiancheggiano il regime di Lepka sono per lo più asceti senza una vera conoscenza del mondo di fuori e dei problemi della gente, che perseverano per la loro strada più per ignoranza che per reale malvagità. Se c’è un bersaglio contro cui Miyazaki si scaglia, è l’ignavia, l’indifferenza della gente comune e dei responsabili del progresso ai problemi della politica e dell’ambiente. Anche nel mondo di Conan sono in pochi a presagire il reale pericolo
La Torre del Sole di Indastria, vista dall'oceano che circonda l'ultima città della Terra (da "Conan ragazzo del futuro" di Hayao Miyazaki, 1978)
La Torre del Sole di Indastria, vista dall'oceano che circonda l'ultima città della Terra (da "Conan ragazzo del futuro" di Hayao Miyazaki, 1978)
a cui si trova esposta l’umanità. Il peggio non è affatto passato, come indicano gli studi del Dottor Rao, tenuti rigorosamente segreti dal Direttore. Lo svolgimento della trama – tanto nel libro come nell’anime – si compie in un clima di crescente attesa per una nuova minaccia: l’onda di marea del titolo originale del juvenile, che si abbatterà come definitiva mano purificatrice sul mondo dei protagonisti, spazzando via gli incubi di un progresso distorto e preparando il terreno (è proprio il caso di dirlo, vista l’emersione delle parti inabissate dell’Isola Perduta) per un nuovo, più umano futuro.

Altre minacce post-apocalittiche si oppongono alla già faticosa ricostruzione nel cupo L’uomo del giorno dopo (già pubblicato dalla Nord come Il simbolo della rinascita)di David Brin. Una precisazione è forse necessaria: il romanzo del 1985 non va confuso con l’improbabile kolossal di Kevin Costner (1997), che ne stravolge la trama banalizzandone le istanze più innovative e infarcendo l’azione di retorica spiccia. Il libro si compone di diversi racconti ricuciti tra loro, un po’ com’era consuetudine nella fantascienza della Golden Age: due di questi, “The Postman” e “Cyclops”, si aggiudicarono alla loro uscita il Premio Hugo. Il romanzo vinse invece il premio in memoria di John W. Campbell come miglior romanzo di fantascienza del 1986. Risultati ampiamente meritati, perché l’opera di Brin è molto più complessa di come potrebbe apparire a una prima occhiata alla trama: l’avventura attraverso cui si snoda il filo principale della narrazione si arricchisce infatti di sottotesti niente affatto banali, con riflessioni che spaziano dalle basi della civiltà alle bugie dogmatiche tollerate dalla gente (in un altro capolavoro catastrofista – Ghiaccio-nove, 1963 – Kurt Vonnegut aveva parlato di foma) come i pilastri sui quali il mondo si regge.

Il romanzo parte come la più classica delle disaster story, con un sopravvissuto costretto a guardarsi da altri vagabondi imbarbariti. Nella fuga Gordon Krantz è costretto ad abbandonare i suoi vestiti e il primo giaccone che recupera per proteggersi dal freddo delle notti delle Montagne Rocciose appartiene ai resti di un ufficiale del Servizio Postale dei defunti Stati Uniti. Sarà questa giacca, un simbolo un tempo familiare come le insegne dell’USPS, a riaccendere la speranza nelle comunità raggiunte dall’uomo per tenere i suoi spettacoli liberamente tratti da Shakespeare. L’uomo si trasforma così per un equivoco nel simbolo di una speranza, e gli eventi lo trascineranno nel loro vortice, spingendolo a sostenere consapevolmente le illusioni alimentate dal simbolo di un ente spazzato via dal mondo come ogni altra traccia dell’antica civiltà. Il mondo del giorno-dopo non ha più tecnologia, l’elettricità è un lusso che sopravvive solo in pochissimi avamposti privilegiati, e la rete delle comunicazioni e dei trasporti che teneva in piedi la comunità è collassata con la guerra e l’interruzione di tutti i servizi.Ma anche nella provincia profonda e rurale c’è chi non si rassegna. Villaggi e cittadine si sono organizzate in comunità autogestite, protette nel migliore dei casi dal loro stesso isolamento immerse come sono negli ampi spazi del North-West, e nel peggiore costrette a fare fronte comune contro la minaccia dei survivalist istupiditi dalla folle ideologia di sopraffazione di Nathan Holn, propugnatore di un feroce darwinismo sociale. L’arrivo di un uomo che incarna

con la sua figura l’ideale perduto di un ordine passato ravviva così la loro opposizione alla legge violenta degli holnisti.

Ogni comunità raggiunta da Gordon, da quel momento, vede dei volontari organizzare dei servizi di staffette per riallacciare il cordone ombelicale con il resto di una nazione inesistente. Come insegna la teoria del caos, è da elementi di partenza anche minimi che possono evolversi fenomeni di ampia portata. Nel giro di qualche anno la rete postale si estende a costituire l’ossatura di una nuova nazione, pronta ad accogliere i delegati del governo del fantomatico presidente Richard Starkey (nato da un’improvvisazione dello stesso Gordon, Starkey è in realtà il nome di battesimo di Ringo Starr…). L’inganno di Gordon troverà un valido alleato nella comunità di scienziati che nella città di Eugene (nell’Oregon) mantengono in piedi un’altra illusione, quella dell’ultimo supercomputer scampato al disastro: Cyclops, a cui si rivolgono le genti del luogo come a un oracolo postmoderno. In realtà Cyclops ha smesso di funzionare insieme al resto della tecnologia umana, ma dal mutuo sostegno scambiato dalle due messinscene trarranno giovamento entrambe le comunità avviandosi sul sentiero della ricostruzione che, oltre a una natura ostile e tornata ormai padrona incontrastata del pianeta, incontrerà anche un altro ostacolo: quello rappresentato dai violenti e reazionari holnisti, intenzionati a mantenere congelata la situazione per conservare il loro ruolo di predatori nella scala sociale.