Era l’aprile del 1976, quando nelle edicole italiane “atterrava” una rivista destinata a fare la storia della fantascienza italiana. Stiamo parlando, ovviamente, di Robot che è diventata di fatto la rivista di science fiction per antonomasia nel nostro paese. Dopo quaranta numeri e la preventiva chiusura nel 1979, la rivista ritornava a vivere nel 2003, prima sotto l’etichetta Solid e poi per la Delos Books. La formula è rimastra pressoché identica: accanto alla narrativa (racconti di scrittori americani, ma anche di europei ed italiani) c'è un’ampia sezione saggistica-informativa, formata da rubriche (a firma di nomi prestigiosi come Valerio Evangelisti e Giuseppe Lippi) e servizi che analizzano e presentano la fantascienza sotto tutti i punti di vista.

Robot ha ora raggiunto il ragguardevole dei 50 numeri, ridiventando da subito un punto di riferimento per tanti appassionati e lettori.

Alla guida della rivista, allora come oggi, c’è Vittorio Curtoni, vero e proprio mito della nostrana science fiction. Scrittore, editor, curatore di antologie e di riviste, traduttore: a Curtoni abbiamo chiesto di fare un bilancio di questi primi cinquanta numeri e non potevamo non analizzare anche l’attuale momento che vive la fantascienza nel nostro paese.

Quale bilancio ti senti di tracciare dopo questi primi dieci numeri di Robot, che insieme ai quaranta della prima versione, hanno permesso alla rivista di raggiungere il traguardo dei 50 numeri pubblicati?

Innanzitutto, mi fa molto piacere essere riusciti a farne dieci e star già lavorando all’undicesimo numero. Devo dire che, a differenza di Franco Forte e Silvio Sosio, io non ero molto convinto che si potesse arrivare a un simile traguardo. Oggi, la tecnologia nel settore della stampa ci consente di fare una tiratura di poco più di mille copie ed è quello che il mercato permette in questo momento. D’altra parte, in paesi come la Francia e Stati Uniti la situazione non è migliore dal punto di vista del mercato editoriale. Possiamo ritenerci più che soddisfatti se in Francia le due maggiori riviste vendono all’incirca 800/1000 copie.

Al di là del salto temporale, che cosa c’è di differente e cosa è rimasto uguale tra la prima versione di Robot e l’attuale?

Ciò che è rimasto sicuramente uguale è la struttura della rivista: un mix di racconti e articoli a carattere informativo e saggistico. Credo che sia un esempio abbastanza unico nella storia della fantascienza italiana. Forse c’era solo la rivista Gamma ad avere una struttura simile. La differenza principale credo stia nel tipo di materie di cui ci si occupa nel reparto informativo-saggistico, come ad esempio i videogiochi e la televisione, che all’epoca della vecchia rivista semplicemente non esistevano o non avevano l’importanza e l’impatto di oggi. Anzi, è mia intenzione inserire una rubrica sul fantasy, per dare informazioni anche su questo genere, anche se non lo amo molto. Fondamentalmente, la formula di Robot è rimasta quella che era e quindi in questo c’è continuità: ci sono più rubriche perché il mondo è cambiato e ci sono effettivamente più cose di cui parlare.

La narrativa su Robot si è sempre identificata con il racconto, pubblicando e presentando ai lettori sia quelli di autori stranieri sia degli italiani. Una caratteristica che siete riusciti a mantenere anche con la nuova versione, visto che negli ultimi numeri sono stati pubblicati i racconti premi Hugo degli ultimi tre anni?

Pensavamo che fosse molto difficile e costoso avere i diritti per racconti di autori stranieri,

ma ancora una volta Internet si è dimostrato un alleato prezioso, nonché la disponibilità degli autori. Attraverso la rete ci siamo messi in contatto direttamente con gli scrittori e abbiamo scoperto che anche i nomi più grossi della fantascienza, oppure i vincitori dei premi Hugo, erano disposti a cedere i loro racconti per cifre veramente modeste. Tutto questo era impensabile solo qualche anno fa, ma anche ai tempi della prima versione di Robot: di solito dovevo passare per le agenzie letterarie italiane e il problema dei costi nasceva da quello, poiché le agenzie dovevano ottenere una percentuale. Invece, con Internet è tutto più semplice: si potrebbe dire, con una battuta, che passiamo direttamente dal produttore al consumatore, dall’autore all’editore e quindi ai lettori. È stato Silvio Sosio a proporre di scrivere direttamente agli autori, chiedendo loro i racconti. Molti ci hanno risposto con entusiasmo. Anzi, ti posso dire che molti autori dal Canada, dagli Stati Uniti, dalla Russia trovano in rete la rivista e ci mandano spontaneamente dei racconti, autori non proprio eccelsi e famosi, ma di cui c’era qualche racconto interessante. Su uno dei prossimi numeri, ad esempio, pubblicheremo un bel racconto di uno scrittore russo.

La rivista ha lanciato quasi subito il Premio Robot per il miglior racconto inedito. È una scelta che va nella direzione di voler scoprire nuovi autori?

Personalmente, non credo molto né in questo premio né in tutti gli altri. La mia opinione è che oggi ci sono troppi premi di fantascienza in Italia: c’è il premio Robot, il premio Lovecraft, il premio Galassia, l’Alien e lo Svic (per il peggior racconto di fantascienza); per i romanzi ci sono il premio Urania e Fantascienza.com. Penso che sarebbe più opportuno razionalizzare i premi, anche perché gli autori italiani bravi non sono tantissimi. Se questi autori vogliono partecipare a tutti i concorsi, non sono in grado di produrre romanzi e racconti a ritmi serrati. Io sarei per una razionalizzazione dei premi: farne meno, magari solo un paio di premi l’anno per i racconti di fantascienza. Del resto, mi sembra che proprio di recente la DelosBooks abbia annunciato di voler procedere in questa direzione. All’epoca della prima versione di Robot c’era solo il premio Robot, a parte quelli delle fanzine che ovviamente avevano un impatto minore.