Delos 13: Cyberscopio a cura di
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Delos Cyberzine e Urania presentano Cybescopio, il vostro osservatorio sul mondo della scienza e della tecnologia.

di Franco Forte

Il segreto della vita, l'esplorazione dei pianeti, delle galassie, di quei granelli cosmici che compongono l'immensità dell'universo, un concetto di difficili dimensioni per la nostra limitata capacità di pensiero. Tutto questo è il succo di una buona fetta della fantascienza classica, la space opera, che ha visto cimentarsi maestri del calibro di Robert Heinlein, A.E. Van Vogt, Isaac Asimov, Jack Vance, Arthur C. Clarke e, in tempi più recenti, Gregory Benford, David Brin, Kim Stanely Robinson e tanti altri ancora, forse più importanti e interessanti di quelli che al momento mi sono venuti in mente.
Tutta questa parte della fs attinge più o meno avidamente alle conoscenze, alle teorie e alle speculazioni dell'astronomia, scienza principe per la gran parte degli autori (soprattutto dagli anni settanta in avanti, dopo la spinta propositiva dello sbarco sulla Luna) di fantascienza di lingua anglosassone.
E in effetti, a mano a mano che le tecnologie (come il telescopio orbitale o le sonde inviate allo sbaraglio nel cosmo) ci forniscono dati di prima mano da confutare con le teorie speculative dei migliori scienziati o scrittori di fantascienza, la letteratura dell'immaginario trova non tanto le porte sbarrate a nuove estrapolazioni, quanto invece materia ricca e succosa a cui ispirarsi per rinnovarsi nelle idee.
Questa puntata di Cyberscopio vi dimostrerà che materiale per scrivere nuove storie avvincenti di fantascienza ce n'è a bizzeffe, e magari, perché no, qualcuno dei nostri lettori si sentirà travolgere dall'ispirazione e darà vita a un romanzo di fantascienza spaziale che potrà essere pubblicato proprio tra le prestigiose pagine di Urania.
Del resto, sperare non è mai troppo.

Acquaformazione

Il pianeta Terra, terzo del sistema solare, ha tutte le condizioni climatico-planetarie ideali per ospitare la vita e per lasciar proliferare non solo la creatura più ambiziosa dell'universo, ovvero l'Uomo, ma una autentica prolusione di esseri viventi sia animali che vegetali.
Una delle condizioni essenziali per la sopravvivenza della vita è la presenza dell'acqua, oltre alle sopracitate caratteristiche planetarie che ne consentono lo sfruttamento totale.
Ma come si è formata l'acqua sulla Terra?
La domanda sembrerebbe stupida, ma in fondo non lo è, soprattutto se si considera che rispondendo ad essa si potrà forse sciogliere il dubbio su quanti altri pianeti, più o meno nelle stesse condizioni del nostro, potrebbero ospitare altrettante forme di vita, più o meno intelligenti.
A questo proposito sono state sviluppate moltissime teorie, fatte analisi, sviluppate equazioni e scritti interi libri, ma la notizia che arriva dal Consiglio nazionale per le ricerche di Bologna apre una nuova strada di pensiero a dir poco affascinante.
Attraverso l'osservazione con il radiotelescopio del Centro, i nostri astronomi hanno individuato sul pianeta Giove, gigante gassoso che sembrava produrre solo metano e ammoniaca oltre a chissà quali e quanti altri derivato tossici, una grande nube d'acqua larga quasi 1500 chilometri.
Questo appare ancora più strano e affascinante se si pensa che le ultime osservazioni effettuate non molto tempo fa non indicavano alcuna traccia di quest'acqua. Non potendo evidentemente essersi prodotta da sola, quest'acqua fonte della vita, uno degli elementi più preziosi dell'universo, deve avere avuto un'origine ben precisa. E gli scienziati credono di averla individuata con precisione quasi assoluta: una grande cometa, la Shoemaker-Levy, che nel 1994 si è abbattuta sul pianeta e nell'impatto ha lasciato alle sue spalle la grande nube d'acqua di cui è ricca la sua coda.
L'implicazione di questa ipotesi è altrettanto chiara: potrebbe essere stata una cometa analoga ad aver depositato la fonte della vita sul pianeta Terra, consentendo a questo granello di roccia nello spazio di ricoprirsi di nubi e di un manto verde di vegetazione (almeno fino a quando durerà).
Chissà mai che in un futuro la tecnologia non arrivi a consentire di governare le comete per dirottarle verso pianeti aridi e inabitabili e innaffiarli con quell'acqua che consentirebbe di terraformarli e successivamente colonizzarli?
Forse sto andando un po' troppo in là, ma ecco fatto: non vi sembra una bella idea da cui partire per costruire un romanzo di fantascienza?
Ma a questo punto si pone un'ulteriore domanda: da dove diavolo arriva, l'acqua delle comete?

Sopra di noi

Dai problemi dell'Apollo 13 magistralmente rappresentati dal regista Ron Howard, siamo passati alla grande maneggevolezza degli Shuttle, seppure con qualche problemino che ne ha rallentato lo sviluppo. Ma ormai siamo lanciati nella colonizzazione dello spazio (almeno quello appena sovrastante il nostro pianeta), e con la costruzione della stazione spaziale Alfa molte cose dovrebbero cambiare in un quanto mai vicino futuro.
Per cercare di ridurre le spese di partenza, orbitaggio e rientro sulla Terra delle navette che dovranno effettuare i collegamenti periodici con la stazione spaziale, la Nasa ha pensato di progettare un nuovo veicolo che sarà una via di mezzo tra l'attuale e l'antico. L'X-33 (così si chiamerà la nuova astronave, che di nome e d'aspetto ricorda molto le improbabili creazioni del dottor Quatermass) avrà la leggerezza e le caratteristiche di maneggevolezza dello Shuttle, ma sarà affusolato come un vecchio razzo della serie Apollo e partirà da una piattaforma verticale, anziché decollare da una pista per aereoplani. Sarà molto più leggero e verrà guidato esclusivamente da apparecchiature computerizzate che garantiranno la perfetta esecuzione delle manovre (così almeno si spera).
Per il ritorno sulla Terra, invece, l'X-33 planerà elegantemente in un modo simile a quello dello Shuttle, evitando ai tecnici della Nasa di dover andare a raccoglierne i pezzi in qualche oceano. Infine, la forma e uno speciale rivestimento di materiali compositi gli renderanno la vita più facile con il calore provocato dall'attrito con l'aria, consentendogli di arrivare alla base meno arrostito di quanto non avvenga oggi.
Vi dirò che mi vengono un po' i brividi, se penso che non sto parlando di fantascienza ma di realtà. Un solo appunto: diamine, potevano metterci un po' più di fantasia con i nomi della stazione spaziale e della nuova navetta. Forse avrebbero fatto bene a leggersi prima qualche succoso romanzo di fantascienza.

Quale velocità?

Ma se vogliamo spingerci ancora più in là, sappiate che i nostri tecnici e scienziati non si sono limitati a immaginare le diverse possibilità di viaggio in orbita alla Terra. Si sono fatti anche scrupolo di pensare a quale potrebbe essere il modo migliore (più rapido e a minor prezzo) per viaggiare nello spazio.
Uno di questi ci ricorda la fs degli anni 40, ma parrebbe funzionare a meraviglia: un razzo potrebbe viaggiare nel vuoto cosmico alla velocità di 900 chilometri al secondo, se a spingerlo fosse una catena di esplosioni atomiche programmate una ogni tre secondi. Ma si potrebbe anche raccogliere con una specie di gigantesco imbuto l'idrogeno diffuso nello spazio e utilizzarlo come propellente in modo da raggiungere (dicono) quasi il 90 per cento della velocità della luce.
Oppure, la vecchia idea della vela in alluminio che potrebbe convogliare sull'astronave l'energia di alcuni potenti laser (o raccogliere il vento solare), e spingere il nostro veicolo alla bellezza di 150mila chilometri al secondo.
Infine, quella che mi sembra la soluzione più suggestiva: una vera e propria autostrada di energia creata con una rete di microonde convogliate da un sistema di lenti di più di mille chilometri di diametro e poste a intervalli regolari sulle rotte da percorrere. In questo modo, le astronavi potrebbero procedere a velocità vicine ai 300mila chilometri al secondo.
Astronauti del 2.000, auguri
(fonte: Panorama)

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