- Che cosa è stato? - domandò l’uomo dopo un po’. Nina non rispose, ma spense il motore e si sporse in avanti per vedere oltre il parabrezza. Brando la imitò; ancora illuminato dai fari, un animale simile a un alce poco cresciuto si stava rialzando dall’asfalto.

- Un tetracorno marziano - mormorò la donna, stupita. - Deve essere fuggito da qualche zoo.

Improvvisamente, entrambi scoppiarono a ridere. Il tetracorno sgattaiolò via veloce così come era arrivato, e nel giro di pochi secondi scomparve nella fitta boscaglia ai lati della strada.

Nina continuò a ridere, ma a Brando parve che il suo entusiasmo scemasse ogni secondo di più; dopo un po’, la donna rimase in silenzio.

- Ehi, senti - disse lei a un certo punto, tenendo lo sguardo fisso sul volante. - Sei sicuro di voler lasciare il pianeta?

- Perché questa domanda?

La donna tirò su col naso. - Scusa la franchezza, ma non credo ti resti più molto tempo. Che senso ha andare via? Non c’è nessuna nuova vita, per te.

- Marte erano le mie speranze, in un certo senso. Forse è una specie di ripicca sul destino, chi lo sa. Non avendo un passato, mi nascondo nel futuro.

- Tu non hai un futuro - lo corresse Nina.

- Chi può dire di averne uno?

La sorella non rispose.

- Non mi resta che un presente infinito e poco tempo per esserne consapevole - continuò Brando, disegnando con l’indice una linea sul finestrino. - Tanto, tutto quello che vedrò lo dimenticherò in un baleno.

Lei rimase in silenzio per un istante, pensierosa. - Che senso ha vederlo, allora?

- Non lo so - replicò Brando, la voce atona. - Devo essermelo chiesto un milione di volte, solo che non ricordo mai cosa mi sono risposto.

Sbuffando, Nina riavviò il motore.

- E poi potrebbe darsi che i miei ricordi perduti nella Rete finiscano nella testa di qualcuno, così non saranno stati del tutto inutili.

- Questi discorsi mi fanno venire il malditesta - concluse sua sorella.

Quando giunsero a destinazione, un quarto d’ora dopo, Brando scese dalla macchina in silenzio. Si volse verso Nina, ancora immobile con le mani sul volante. Il suo sguardo era freddo, fisso su un punto imprecisato oltre il parabrezza.

- Ti chiedo scusa per tutto il disturbo - disse l’uomo. Lanciò un’occhiata alle altre persone presenti al raduno, accampate attorno a un camion un po’ antiquato che li avrebbe condotti al vecchio aeroporto.

Sua sorella si accese una sigaretta. - Ti auguro buona fortuna - rispose. Saluterò il Niagara da parte tua.

Brando si allontanò a testa china con le mani in tasca, accompagnato dall’olo-avvocato. Di tanto in tanto si voltava verso Nina, occupata a fare manovra, e la salutava con un cenno della mano; ben presto, però, la jeep della donna ripartì e scomparve oltre la prima curva.

* * *

Il Niagara urlava in lontananza.

La notte proiettava un’ombra scura dalle finestre in corridoio; quando Nina aprì le porte scorrevoli all’ingresso della pensione, le parve all’improvviso che il buio stesse cercando di invadere anche quello spazio e divorarne ogni centimetro. C’era una piccola luce accesa in fondo al corridoio, e la porta della stanza nella quale aveva alloggiato il suo ospite era spalancata.

Camminando con passo felpato, Nina la raggiunse e fece per chiuderla; fu allora che si accorse di Mei-Xing, profondamente addormentata su una poltrona sotto la finestra. Era lì che aveva visto Brando osservare rapito i campanellini, ora immobili nella bonaccia notturna. Nina sorrise, e dopo aver sfilato un plaid dal letto lo pose sulle spalle di Mei-Xing.

La ragazza emise un gemito. - Sei tu?

- Sono tornata un attimo fa. Come mai ti sei addormentata qui? Mei-Xing si alzò in piedi sbadigliando e le restituì il plaid. - Aspettavo che rientrassi, ma non ce l’ho fatta. Sono crollata almeno un’ora fa.

Le due donne rimasero in silenzio per un istante, mentre Nina sistemava di nuovo la coperta sul letto.

- Lo hai accompagnato da quella gente? - domandò l’altra a un certo punto, aggrottando le sopracciglia. - I viaggi che organizzano sono illegali.

- Non ha importanza. Lui ne era perfettamente consapevole.

- Si può sapere perché continui ad aiutare tutti i balordi che bussano alla tua porta? - esclamò Mei-Xing, visibilmente combattuta fra l’ira e l’autocontrollo.

Nina non disse nulla, ma abbassò lo sguardo.

- E’ già il quarto androide che viene qui credendo di essere Brando. E se in futuro dovessero arrivarne altri?

Di nuovo, Nina non rispose.

Mei-Xing si ravviò i capelli e si avvicinò alla porta. - Anche se quelle persone hanno qualche ricordo che apparteneva a tuo fratello, non significa che siano lui.

- Hai ragione - replicò l’altra in un’alzata di spalle, con poca convinzione.

- Comunque sia, adesso non pensarci e và a dormire. - Ora, Mei-Xing sorrideva appena. Salutò Nina con un cenno del capo e scomparve in corridoio.

Quando non udì più il rumore dei suoi passi, Nina uscì dalla camera e salì su per le scale fino al secondo piano. In silenzio, si fermò davanti a una stanza chiusa e girò piano la maniglia, per poi addentrarsi oltre la porta. Accese l’interruttore.

Brando era lì, come sempre. Sdraiato su un letto, il suo corpo androide ormai privo di coscienza giaceva immobile sulle lenzuola candide; gli occhi azzurri si muovevano freneticamente tra le palpebre socchiuse e sembravano voler scrutare ogni angolo dell’ambiente, catturando fotogrammi che scomparivano all’istante. A ben vedere, il suo presente non era poi infinito come aveva detto quell’uomo. Tutt’altro.

Nina si avvicinò al corpo di suo fratello, lo osservò per qualche istante e tornò indietro a spegnere la luce; dalla finestra aperta, il rumore del Niagara si insinuava nel silenzio come frammenti di vetro nello stomaco. La donna si avvicinò di nuovo al letto; aggrottò la fronte, lo sguardo improvvisamente freddo.

- Certo che hai creato un gran trambusto, spargendo i tuoi ricordi nella Rete - sussurrò, imbarazzata come lo era ogni volta che gli parlava. - Perché non muori come tutti gli altri? Non voglio che vieni a chiedermi scusa. Voglio che mi lasci in pace.

Una impercettibile folata di vento scosse appena le campanelle, che tintinnarono per un istante. La finestra con annessi sonagli era proprio di fronte al letto.

Nina si sorprese a ridacchiare. Pensò che avrebbe voluto gettare ciò che restava di suo fratello nelle cascate, sperando che quel sacrificio zittisse il Niagara per sempre; pensò che avrebbe voluto strappare via le campanelle così che non tintinnassero più al vento, e la bambola rotta che un tempo era Brando non potesse più osservarle con quei dannati occhi impazziti.

In quel momento, l’androide mosse appena una mano ed emise un gemito. Sollevò piano il braccio verso un punto indefinito, la bocca semispalancata, e continuò a mugolare per qualche istante. Poi, afferrò la mano di Nina e la strinse con poca energia.

Lei lo osservò dall’alto, lo sguardo gelido. Brando lasciò andare la presa e tornò ad agitare le iridi azzurre.

- Patetico - mormorò Nina.

Il Niagara le rispose con un rombo sordo.