Ma fortunatamente il mare non era agitato. Quando persero di vista la terra, le acque si placarono e si tramutarono in ampie ondate grigio-blu che si alzavano lentamente, con un moto quasi titanico, trasportando dolcemente la barca nel loro movimento. Verso l’ora del tramonto il mare si fece ancora più calmo, una piatta ed enorme distesa d’acqua che pareva assopirsi lentamente per trascorrere la notte.

Anche nell’improvvisato equipaggio le cose andavano meglio; e meno persone si affacciavano dai bordi in preda alla nausea.

Byth appoggiò gli avambracci su uno dei barili legati al ponte con alcune cime, e osservò la vela che veniva ammainata per ordine di Kesair. L’immensità del mare e del cielo lo fecero sentire ancora più piccolo. – Che cosa ne sarà di noi?

– Hai detto qualcosa? – chiese Kesair che nel frattempo aveva portato a termine il suo compito. Aveva la voce rauca per il troppo gridare.

– Stavo parlando da solo. Io... avresti mai creduto che i ghiacci si sarebbero veramente sciolti? – chiese Byrth poco dopo.

– Per molto tempo non ci ho badato più di tanto. Già quando eravamo in città vivevamo costantemente esposti a qualche minaccia, ricordi? I raccolti sempre meno abbondanti, le malattie, la guerra; tutto si susseguiva senza tregua. Per questo ci siamo spostati sulla penisola. Per lo meno, è questo il motivo che ha spinto me a farlo. Per sfuggire alla tristezza e alle disgrazie, e per vivere un’esistenza tranquilla con il nostro lavoro.

– Una volta iniziata, la catastrofe ci è piombata addosso in un attimo – disse Byth con aria stupita.

– Che cosa pensi che sia successo agli altri?

– Quali altri?

– Tutti.

Byth fece un respiro profondo. – Non lo so. Dipende da dove si trovavano, credo, e con quanto anticipo si sono resi conto del pericolo e hanno cominciato a prepararsi per affrontarlo.

– Anche noi abbiamo cominciato troppo tardi.

– Sì – assentì Kesair, – ma almeno abbiamo cominciato. Non siamo rimasti seduti ad aspettare che qualcun altro venisse a salvarci. Quelli che lo hanno fatto, ora sono... probabilmente morti.– concluse tristemente. Mi ricordo di quei personaggi strani che quando ero piccola vagavano profetizzando la fine del mondo. Mia mamma diceva che dovevo provare pietà, perché erano pazzi.

– Quando ero bambino, ci divertivamo a tirare sassi a quegli uomini – disse Byth. – Se ora ne incontrassi uno gli chiederei perdono.

– Anch’io.

Byth scrutò Kesair con la coda dell’occhio. Gli piaceva, e si chiese che cosa pensasse di lui. Fece scorrere le dita tra i ricci che gremivano la sua folta capigliatura brizzolata. Sei vecchio, ricordò a se stesso. Poi, ad alta voce, puntualizzò: – Abbiamo cinquanta donne e soltanto tre uomini.

– E con questo? Nel nostro gruppo le donne sono sempre state più numerose degli uomini.

– Mai in questa proporzione. In qualunque posto sbarcheremo, se mai sbarcheremo, la cosa potrebbe rappresentare un problema.

– Di che cosa stai parlando?

– Sto dicendo che potremmo essere gli unici sopravvissuti. Non abbiamo visto nessun’altra imbarcazione, neanche una. Se vuoi essere il nostro capo, devi pensare anche a queste cose.

– Non ho mai detto di voler essere il vostro capo.

– No, ma nessuno si è fatto avanti per impedirtelo.

– Solo perché erano tutti ancora sconvolti per quello che è successo.

– Be’, a quanto pare tu sei meno sconvolta di tutti noi – le fece notare Byth. – Sei stata perfettamente in grado di riflettere e di agire al momento opportuno. L’attitudine al comando si vede proprio da questo, se non sbaglio. Che te la sia cercata o meno, adesso questo ruolo è tuo, e presumo che anche per te sarà molto difficile rinunciarvi.

Stavano scendendo le tenebre ed era necessario affidare a qualcuno il compito di fare la guardia. Kesair scelse i più vigili affinché si dessero il cambio. Ladra era tra costoro e come al solito se ne lamentò, ma quando venne il suo turno fece il proprio dovere.

Kesair: la semplice tessitrice aveva lasciato il posto alla condottiera.

L’ultima traccia di luce scomparve dal cielo, ma sembrò indugiare ancora un po’ nelle acque, come una fascia luminosa verde scuro che aleggiava negli abissi. Poi anch’essa si dileguò e un’oscurità vellutata, più densa e tangibile di tutte le tenebre che avevano mai vissuto, avvolse gli occupanti della barca cremisi. Il suo peso si aggiunse a quello della loro stanchezza e li fece scivolare tutti in un sonno riconoscente, tutti, tranne i pochi che erano di guardia o che cercavano di restare svegli per scorgere nel cielo qualche stella conosciuta.

Ma non c’erano stelle. Il cielo notturno era coperto dalle nuvole. Il vento era cessato. L’aria era immobile.

L’oceano li circondava come un universo buio, denso come l’olio, sconfinato. Il mare pensieroso, spietato, assassino, era vuoto, a parte la loro presenza.

La barca andava alla deriva come un giocattolo dimenticato.

Cercando di adottare quello che dentro di sé riteneva fosse un comportamento da condottiera, Kesair si era sistemata sulla prua, dove distese le coperte per prepararsi alla notte. Voleva dormire quanto bastava per recuperare le forze.

La vela era stata ammainata, i remi giacevano nei loro scalmi. Kesair aveva deciso che non valeva la pena continuare a remare, e che durante la notte potevano lasciarsi trasportare dalle correnti.

Il giorno dopo non sarebbe stato troppo tardi per stabilire una rotta e per iniziare seriamente a cercare una spiaggia dove sbarcare.

Ma in quale direzione?

Chiuse gli occhi, però non riusciva a prendere sonno. Gli occhi premevano contro le palpebre con una consistenza granulosa. Li riaprì e fissò le tenebre.

I fianchi della prua si innalzavano, curvandosi sopra di lei, come pareti che incombevano minacciose sul suo corpo. Come onde in procinto di abbattersi sulla sua persona. Si sentì soffocare. Si mise bruscamente a sedere e ammucchiò tutte le coperte dietro la schiena, in modo da potersi appoggiare senza doversi distendere.

Il tempo passava indefinibile. Kesair tentò di scacciare le paure che continuavano ad affiorarle nella mente. A un certo punto sentì un tocco leggero che le esplorava delicatamente il viso.

– Che c’è? – si guardò attorno, spaventata. Riusciva a distinguere soltanto qualche vaga forma nell’oscurità, ma erano tutte lontane. Non c’era vento, pertanto non poteva essere stata una ciocca dei suoi capelli.

Aveva la bocca secca. Non farti prendere dal panico! si disse bruscamente. Sei semplicemente stanca, niente di più. È tutto frutto della tua immaginazione.

Qualcosa la sfiorò nuovamente. Questa volta la pressione fu più marcata.

Le venne la pelle d’oca e le sue dita brancolarono freneticamente nel buio cercando qualcosa che non trovò.

Fece per alzarsi e si sentì sfiorare una terza volta. Si irrigidì in quella posizione, con le ginocchia piegate e una mano tesa nel buio. Un tocco leggero le sfiorò nuovamente la guancia, le esplorò le labbra, le avvolse il mento, si soffermò a disegnare dei piccoli cerchi nella zona sottostante l’orecchio, si avventurò pigramente tra i suoi capelli, le percorse la testa, ridiscese sulla fronte e le chiuse delicatamente gli occhi.

I battiti violenti del cuore le scuotevano l’intero corpo.

La pressione che avvertiva sulle palpebre cessò; Kesair aprì gli occhi. Percepiva una presenza accanto a sé, invisibile ma palpabile. L’essere umano più vicino a lei giaceva addormentato a parecchi passi di distanza.

C’era qualcos’altro con Kesair nelle tenebre…