Attorno a loro la marea cominciò a sibilare ringhiando, e a poco a poco le acque irruppero sulla costa superando tutti i livelli mai raggiunti in passato. E cresceva, cresceva. Ci fu un lieve scossone; la barca si mosse leggermente. I suoi occupanti si irrigidirono, ma non accadde nulla. Poi la barca ricominciò a dondolare e si udì uno stridore proveniente dal basso.

In quel preciso istante all’estremità interna della costa comparvero degli uomini, che correvano all’impazzata, gridando e brandendo le loro armi.

– Siamo bloccati qui! – urlò Ladra. – Ci uccideranno e prenderanno la barca!

Gli uomini si avvicinavano correndo e urlando minacce e richieste. Byth, che era già nonno, maledì la sua età. Fintan maledì la sua ferita. Ladra agitò il pugno in direzione di Kesair. Le donne si strinsero al centro della barca mentre il mare, incerto ed esitante, diede uno strattone al vascello.

Subito dopo il riflusso disincagliò la barca dalla sabbia e con uno stridio e vari scricchiolii del fasciame, cominciò a spingerla al largo, tra il possente movimento di onde.

Kesair sussultò e afferrò l’appiglio più vicino. Una mucca muggì, una capra belò. Poi le onde si riversarono sulla costa inghiottendola. Gli assalitori si sparpagliarono e cominciarono a correre, dirigendosi verso il lembo di terraferma che si andava sempre più assottigliando. Il mare li incalzava, animato da una potenza inimmaginabile, reclamando la terra.

La barca fu trascinata come una foglia su un fiume impetuoso oltre una lingua di terra bassa e sabbiosa in acque più torbide e profonde.

In un primo momento i suoi occupanti rimasero troppo sbigottiti per fare qualsiasi cosa che non fosse reggersi ai sostegni e fissare la terraferma che si allontanava. Tutto era accaduto così rapidamente da lasciarli senza parole.

La vela era ancora ammainata all’albero maestro e i remi giacevano nei loro scalmi. Nessuno faceva niente, ad eccezione del mare con il suo inatteso rigurgito di onde.

– Non si può pilotare quest’affare? – domandò Kesair.

Fintan si scosse dallo shock e si lanciò verso il timone. Aveva il braccio sinistro ferito, ma quello destro era illeso e abbastanza forte da afferrare la barra per arrestare il movimento rotatorio dello scafo. Quando si accorse di quello che stava facendo, Kesair lo raggiunse e si mise al suo fianco per aiutarlo.

La barra del timone trasmetteva alle loro braccia tese nella fatica la consapevolezza dell’acqua sottostante. I loro sforzi sembravano infinitesimamente piccoli rispetto alle forze contro cui stavano lottando, tuttavia attraverso le assi dell’imbarcazione vibrò una debole risposta. Il timone stava agendo, con un moto di ribellione contro i flutti.

La prua dell’imbarcazione puntò lentamente verso nord.

– Sì! – esclamò Kesair. – Sì!

– Il timone da solo non basta. Dobbiamo usare i remi e la vela. – constatò Fintan.

Kesair ripeté le sue parole scandendole come se fossero un ordine e rivolgendole a tutti.

Byth e Ladra furono i primi a rispondere. Era un compito molto arduo e i due, che di mestiere facevano i falegnami e non i marinai, si muovevano con impaccio. Coloro che sapevano come manovrare la barca erano morti nel tentativo di difenderla.

Alcune donne cominciarono a darsi da fare per aiutarli. La confusione crebbe a dismisura. Le donne e gli uomini si intralciavano a vicenda, incespicavano e si abbandonavano alla collera. Un remo a un certo punto cedette e si spezzò come un ramoscello.

Fintan si lamentò in preda alla disperazione.

– Dobbiamo fare qualcosa – mormorò tra i denti. Ma non seppe dire che cosa.

Come tutti loro, neppure Kesair era un’esperta di barche. Però era una tessitrice e se la cavava benissimo con gli intrecci di fili, e i sistemi di tensione delle corde che tendevano le tele. Lanciò uno sguardo furtivo alla vela, che era mezza issata e svolazzante.

– Afferra quella fune, quella laggiù, e tirala forte verso di te! No, verso di te – gridò a Byth. E poi, a un’altra donna: – Ehi tu, prendi un remo e siediti lì. E tu – disse a un’altra ancora – mettiti accanto a lei con un altro remo.

Tutte la guardarono a bocca aperta per lo stupore, ma obbedirono ai suoi ordini. La sua era l’unica voce perentoria che si distingueva nel frastuono assordante del mare e della vela che sbatteva.

Finalmente la vela si tese e la barca balzò in avanti.

Poi il vento cessò. La barca rimase sospesa sul mare, mentre gli inesperti rematori si agitavano disordinatamente sui remi.

– Ci serve qualcuno che dia il ritmo ai rematori – disse Fintan.

Kesair incrociò lo sguardo della donna più anziana del gruppo, Nanno, che non era particolarmente forte, ma che aveva sempre avuto un certo orecchio per la musica.

– Nanno! – gridò. – Raccogli quel remo spezzato e usalo per battere il tempo su uno dei barili. E voialtri cercate di remare tutti insieme seguendo il ritmo!

Dopo qualche tentativo e un paio di comici errori, l’inesperto equipaggio iniziò a esibirsi in un’imitazione approssimativa di un movimento vogatorio. La barca si mosse in avanti, con lentezza ma seguendo una direzione ben precisa.

– Non ne sai molto più di me di barche – disse Ladra a Kesair in tono risentito. Anche lui era tra i rematori, e ben presto si era accorto che avere le mani piene di vesciche era una sensazione poco piacevole.

Kesair non si prese la briga di rispondergli. Il compito che si era assunta – fare di un gruppo di inesperti un equipaggio, senza avere ella stessa alcuna esperienza nell’arte della navigazione – assorbiva totalmente la sua attenzione. Per lei, non c’era alcuna differenza tra i commenti di Ladra e i belati delle capre.

Non appena il vento gonfiava la vela, Kesair lasciava che l’equipaggio si riposasse appoggiandosi ai remi. Quando calava il vento, gli uomini ricominciavano a vogare rispondendo al suo comando. Kesair iniziò ad avvertire la sensazione sconosciuta e piacevole del potere, come se fosse l’imbarcazione stessa a obbedire consapevolmente ai suoi ordini.

Non era facile mantenere il controllo. La barca era stata costruita frettolosamente; aveva un cassero molto ampio per ospitare il bestiame, il pescaggio era decisamente poco profondo e il timone inadeguato alle sue dimensioni. Se il mare si fosse ingrossato li avrebbe travolti.