Königsberg, inverno 1804. Un’aurora boreale d’intensità mai osservata prima, segnalata dai balenieri di ritorno dai mari artici l’estate precedente, parrebbe il sinistro presagio per l’ondata di assassini e terrore che si abbatte sulla città prussiana. Hanno Stiffeniis, procuratore in una sperduta cittadina e abituato ormai alla tranquillità della vita rurale, viene richiamato in città da un’inattesa convocazione siglata nientemeno che da re Federico Guglielmo III. L’invito non è di quelli che possano essere ignorati: gli affida infatti la direzione delle indagini sugli omicidi. Ligio al dovere, Stiffeniis si congeda dalla moglie e dalla famiglia e parte in carrozza con il sergente Koch, ma all’arrivo in città fa appena in tempo a incontrare il malandato procuratore Rhunken, da poco rimosso dall’incarico, che la sua fulminante malattia si inasprisce e lo uccide nel giro di una notte. Alquanto sconvolto per l’accaduto e all’oscuro di chi possa aver intercesso per lui con il re in persona, Stiffeniis si mette al lavoro senza escludere nessuna pista, nemmeno la più improbabile di tutte. Con l’aiuto di Koch nota però subito alcune stranezze: per cominciare, le vittime non sembrano avere alcuna caratteristica comune che possa far pensare a un legame, a parte la loro sorte. Si tratta infatti di un fabbro, una pia donna, un mendicante e un notaio. Per continuare, gli indizi e i reperti raccolti dagli ufficiali al servizio del suo predecessore, come pure i loro rapporti, recando gravi lacune e omissioni. E per finire un alone di sospetto, diffidenza e timore avvolge la città, raggiunta dagli echi delle campagne napoleoniche. I francesi, secondo alcuni, starebbero tramando per invadere la Prussia, e gli assassinî sarebbero opera di terroristi e cospiratori all’opera per generare a Königsberg un clima volto a destabilizzare l’ordine e agevolarne la caduta. Secondo altri, invece, sarebbe il Diavolo in persona ad aver lasciato la sua impronta in questi orrendi crimini…

 

Ma un’altra ombra si profila subito sulle indagini di Stiffeniis, ed è quella di un titano: Immanuel Kant, sommo filosofo e figura illustrissima nella vita politica e culturale della città, mostra di nutrire un interesse sproporzionato negli omicidi, un’attenzione che parrebbe motivata dal trattato che ormai da anni sta portando avanti in gran segreto ma che già si annuncia come la più rivoluzionaria delle sue opere. Un manoscritto misterioso e finanche maledetto, ispirato dalle sconvolgenti parole dello stesso Stiffeniis quando, di ritorno dalla Parigi rivoluzionaria, diversi anni prima ebbe a dire che “c’è una sola esperienza umana che può paragonarsi al libero potere della natura. La più diabolica di tutte. L’assassinio a sangue freddo. L’assassinio senza motivo”. Il titolo dell’opera è significativo: plasmato sul modello dei capisaldi del pensiero kantiano, è infatti Critica della ragion criminale. Riuscirà la Logica del magistrato inquirente a vincere le tenebre dell’irrazionale, ora che perfino il suo vecchio e nobile mentore sembra averne sconfessato l’infallibilità come metodo d’indagine?

 

Queste le premesse del thriller storico di Michael Gregorio, lanciato con una imponente campagna promozionale dalla Einaudi e rivelatosi terribilmente deludente. Se nelle prime pagine l’autore semina indizi ed elementi sufficienti a imbastire una storia vertiginosa e sconvolgente, già a un quarto del romanzo la sua scrittura comincia a tradire segni di cedimento: i suggerimenti al lettore sono infatti abbastanza maldestri e ingenui da rivelare subito identità e movente del responsabile, e non basta tenere segreta l’identità dell’assassino per altre duecento pagine perché la ricomparsa del suo nome, per merito dell’ennesimo deus ex machina a seguito di indagini interminabili e sconclusionate, serve solo a confermare i sospetti del lettore, anche di quello meno aduso ai meccanismi del thriller e del giallo.

 

Ed è un peccato, perché il lavoro sulla ricostruzione d’ambiente è certosino e davvero ben riuscito, tanto da creare intorno ai personaggi un’atmosfera cupa, lugubre, di disastro imminente, che vibra e vive perfino più di loro. Le azioni del protagonista, per dire, sono talmente macchinose e le sue emozioni rese in modo così artefatto da rendercelo antipatico quasi da subito: il suo tormento, evocato a più riprese con toni da melodramma e rivelato solo in chiusura, mostra radici deboli e banali, e Stiffeniis, lungi dal mettere in atto il Metodo di cui va blaterando per tutte le 443 pagine del romanzo, mantiene senza cedimenti un comportamento artificioso, illogico e ingenuo al limite dello sprovveduto.

 

Spiace anche per Kant, che dopo una prima apparizione memorabile ad ogni ritorno in scena perde paradossalmente nitore come figura, fino a ridursi all’ombra caricaturale del gigante che fu, a una larva pulciosa e infantile, a un vecchio delirante, schizofrenico e odioso che nulla serba della sua trascorsa grandezza. Tanto isterico è Stiffeniis quanto repellente il filosofo, e il resto dei personaggi messi sulla scena non è da meno, con l’eccezione del prammatico Koch, del deforme e sventurato Anton Lublinsky e dell’albina Anna Rostova, un po’ megera e un po’ puttana, che però scompaiono prematuramente dalle pagine del libro.

 

Tirato in 60mila copie dopo essere prima uscito in ben 16 diversi paesi (dagli USA alla Gran Bretagna, dal Brasile alla Cina, al Giappone, alla Turchia), Critica della ragion criminale avrebbe potuto rappresentare una tappa significativa nella recente evoluzione del genere, o almeno un dignitoso capitolo nella tradizione inaugurata ormai quasi trent’anni fa dal Nome della Rosa di Umberto Eco. Le premesse, in fondo, c’erano tutte: l’ambientazione storica, il manoscritto segreto e la formazione culturale degli autori. E invece, a lettura conclusa e pochi mesi di distanza dall’uscita del libro, non sopravvive molto: nemmeno il mistero intorno all’identità di Michael Gregorio, presentato dal succinto risvolto come un anonimo insegnante di filosofia, dietro a cui si cela in realtà una coppia residente in quel di Spoleto, l’inglese Michael Jacob (direttore di una scuola d’inglese) e l’italiana Daniela De Gregorio, insegnante di storia e filosofia. Lo stesso libro misterioso, che avrebbe potuto rappresentare la carta vincente degli autori, resta appena abbozzato, non si capisce se per via di una intrinseca mancanza di coraggio e di idee, oppure per un pentimento giunto tardivo dopo aver già demolito la figura del filosofo della Ragione e del Sublime. Kant ne esce così a pezzi, senza nemmeno la soddisfazione di un riscatto negativo ma sminuito invece all’ennesima incarnazione della banalità del male. Gli occasionali sprazzi di personalità non possono restituire tra le righe la tormentata grandiosità del filosofo, perché troppe sono le volte che ce ne viene mostrato un ritratto impreciso per poterle dimenticare di fronte a momenti come questo: 

 

“La porta dello studio si aprì con un cigolio e il professor Kant uscì nel corridoio. – La più riuscita delle evacuazioni, Stiffeniis! – esclamò con un sorriso radioso. – Uno stronzo di forma perfetta, compatto e denso nella sua composizione fecale e con un contenuto liquido minimo. Spero che anche voi siate riuscito a produrre qualcosa di analogo questa mattina”

 

Purtroppo per noi, gli autori non ci sono riusciti. Malgrado questo, della coppia è stato annunciato un nuovo titolo che dovrebbe avere come protagonista sempre il giovane, insignificante Stiffeniis: I giorni dell’espiazione. E i due sarebbero già al lavoro anche su una terza puntata. Loro, almeno, avranno una doppia occasione per riscattarsi, se il lettore deciderà di prestargli ancora la sua fiducia.