Chi lo avrebbe mai detto che un giorno ci sarebbe stato Rocky Balboa, sesto capitolo della saga di Rocky nata nel 1976. E – soprattutto – chi lo avrebbe detto che sarebbe stato un buon film, forse, tra i migliori della serie a sedici anni dal disastro artistico e commerciale di Rocky V? Con la sua tenacia, Sylvster Stallone ha dimostrato di avere ancora qualcosa da dire, ma soprattutto di essere ancora un’icona per tutte le persone cresciute con i suoi film in cui gente comune assurge al ruolo di eroe per difendere non solo quello in cui crede, ma soprattutto il suo modo di vivere e di pensare. Attore, sceneggiatore e regista, Stallone dimostra che vedere i film di Rocky per tutti quelli che oggi hanno tra i trenta e i cinquanta può rappresentare un guilty pleasure e, mentre si assiste alla proiezione, si può ancora ‘urlare in silenzio’ senza farsi scoprire troppo da mogli, fidanzate e figli: “Rocky, Rocky!”

Perché un sesto capitolo della saga di Rocky?

Sono rimasto molto deluso da come era venuto fuori Rocky V. Non aveva una buona trama e – soprattutto – non aveva una buona filosofia. In passato avevo già avuto degli insuccessi del genere, ma trovavo molto seccante che una serie come quella di Rocky finisse così. Volevo fortemente che la franchise finisse ‘bene’ con un capitolo importante della vita di quest’uomo che interessasse il pubblico. In questi anni mi sono successe molte cose difficili. Ho avuto un sacco di momenti su e di momenti giù. Cose che succedono a tutte le persone e di cui – credo – valesse davvero la pena scrivere in un film. Spesso la vita si riduce ad avere la forza di iniziare di nuovo, qualcosa per cui vivere, per cui valga la pena continuare a combattere.

Il mondo ha ancora davvero bisogno di eroi come Rocky Balboa?

Il mondo avrà sempre bisogno di eroi. Ma il più delle volte gli eroi non volano e non hanno grossi muscoli. I veri eroi sono la gente comune, le persone normali che fanno cose fantastiche in nome delle persone e delle cose che amano. In questo senso Rocky Balboa doveva essere un film semplice che in maniera altrettanto diretta riflettesse su chi è Rocky.

Quanto è autobiografico il film?

Come Rocky il mio approccio alla vita è molto fisico, artistico ed emotivo. E’ un film molto autobiografico e molto vero. Ci ho messo sei anni per farlo, perché la MgM non voleva. Poi è cambiato il capo e così mi è stata data la possibilità di girarlo. Il primo e l’ultimo Rocky sono i più personali, perché li ho vissuti sulla mia pelle. I combattimenti sono stati un esempio per far capire che se anche le persone sono più anziane e più lente, non significa che non nutrano ancora la passione di quando erano giovani. Ero terrorizzato dalla possibilità di sbagliare ancora, ma ero contento di avere paura, perché sapevo di dovere lavorare ancora più duro. Sapevo, però, che se il film avesse funzionato, avrei potuto ispirare attori della mia età a tornare a fare quello che amano, perché “se ce l’ho fatta io, ce la possono fare anche loro…”. Non è stato solo un grande film, ma anche una sfida molto dura…

Sylvester Stallone in <i>Dredd</i>
Sylvester Stallone in Dredd
Chi è Rocky, oggi?

Anche se lo Studio voleva che facessimo questo film per i giovani, io l’ho scritto pensando alle persone della mia età, ai ragazzi che sono cresciuti guardando Rocky. Sorprendentemente, poi, a vederlo sono stati soprattutto i giovani, perché hanno apprezzato la filosofia di questo uomo. Vede, non sono un maestro, ma credo che si possa imparare solo dagli esempi. Rocky è un gentiluomo e la gente lo apprezza per quello che è, senza che io sia didascalico o noioso. Un uomo che si muove molto poco. Un uomo statico che deve sfuggire al dolore della perdita della moglie come sa fare lui. Certa gente sa scrivere, altra cantare, Rocky è nato per combattere, per sentirsi vivo tramite il dolore della battaglia sul Ring. Quando si perde la persona che ama bisogna esplodere verso l’esterno senza rimanerne distrutti…

Adesso di parla di nuovo di Rambo…

Rambo, per me, è come un western moderno. Non farò più sequel e Rambo IV sarà sicuramente l’ultimo. Desidero completare questo quarto capitolo, perché se Rocky Balboa è luce e ottimismo, John Rambo è buio, isolamento e dolore. Per me è interessante tentare di capire come un uomo del genere, verso la fine della sua vita, possa trovare la salvezza e la speranza. Non sarà facile, però. Sicuramente la sceneggiatura sarà più difficile da scrivere, perché Rocky parla, Rambo no. E’ difficile che Rambo esprima i suoi sentimenti. Però, voglio provarci. Come ho fatto per Rocky, poi, dovrò cambiare la mia filosofia di allenamento. Non punto a una forza fisica come in quella di Rocky IV, ma ad allenarmi come per il sollevamento pesi. Desidero che quando rivedremo Rambo dopo vent’anni di isolamento nella giungla del Sud Est asiatico, troveremo in lui una sorta di ‘Hulk’. Una montagna solida e pesante. Ovviamente se Rambo sarà un disastro mi troverò di nuovo al punto di partenza…

Cosa pensa dei film di boxe come Cinderella Man e Million Dollar Baby?

Non considero Million Dollar Baby un film sulla boxe. E’ una pellicola molto emotiva, dove la boxe ha un ruolo molto piccolo. Come in Rocky Balboa dove le scene di combattimento sono in tutto dieci minuti. La storia è soprattutto da un’altra parte. Credo che Cinderella Man sia Ok, ma – quando fai dei film sul pugilato c’è una regola – qualche volta ti devono pure colpire…

Anni fa girava voce di Rocky pronto a combattere contro un alieno…

Davvero? Dolph Lundgren è il più grande alieno che io abbia mai incontrato. Era un mostro… No, devo dirle che questa voce era una sciocchezza, ma, mi creda o meno, che mi avevano chiesto di girare Rocky contro Rambo. Chi avrebbe vinto? Rambo: “Bum, sei morto…” Davvero non un grande combattimento…