Tratto dalla saga di Christopher Paolini, Eragon è un'occasione sprecata che ha qualcosa di paradossale. Mentre gli effetti visivi curati dagli stessi talenti della Weta che hanno lavorato sia a Il Signore degli Anelli che a King Kong sono pressoché perfetti, la regia e il doppiaggio del film lasciano a desiderare.

Diretta dall'esordiente dietro alla macchina da presa Stefen Fangmeier, la pellicola dimostra tutta l'inesperienza del regista nel guidare attori in carne e ossa che - lasciati a loro stessi - optano per una recitazione al "minimo sindacale", con Jeremy Irons e John Malkovich che offrono rispettivamente due delle loro più trascurabili interpretazioni della loro folgorante carriera.

Come se non bastasse, la scelta di Ed Speelers nel ruolo del protagonista lascia sorpresi. Il ragazzo ce la mette tutta, ma non riesce a essere espressivo. Per lui - inesperto come è - recitare significa "fare le facce" e non certo comunicare al pubblico una pur elementare emozione. Il regista non lo aiuta e così il "cavaliere dei draghi" Eragon sembra il protagonista di un episodio della Famiglia Bradford e non un eroe di una saga la cui mitologia è fortemente radicata nell'immaginario letterario collettivo.

Mentre Sienna Guillory e il cameo rapidissimo della cantante Joss Stone sono irrilevanti ai fini del film (belle e interessanti, ma basta così...) diverso è il caso di un Robert Carlyle più imbarazzato che se fosse nudo (o quasi) come in Full Monty. Con due lenti a contatto gialle che lo fanno assomigliare moltissimo a Data di Star Trek The Next Generation, l'attore scozzese non riesce ad andare oltre al "cattivo di maniera" nella sua interpretazione del perfido fantasma Durza raccontato come se fosse Darth Vader.

Letteralmente travolgenti e straordinarie, invece, le animazioni dei draghi e - in particolare - di Saphira, il drago femmina al centro della saga creata da Paolini in cui un nuovo 'cavaliere dei draghi' sconfiggendo il re usurpatore riporterà la pace nella terra dominata dalla crudeltà.

Saphira è strepitosa. Soprattutto quando è piccola, conquista il cuore dello spettatore con i suoi grandi occhioni da dolce gattone. Da grande poi le sue animazioni ci restituiscono il senso profondo del romanzo di Paolini in cui l'unione di draghi e cavalieri riporta alla mente un mondo in cui l'umanità è in perfetta armonia con la Natura e con gli animali del pianeta.

In questo equilibrio difficile tra effetti visivi esaltanti e recitazione mediocre di tutto il cast, ci si mette, però, anche l'edizione italiana che vede l'attrice inglese Rachel Weisz sostituita dall'altrettanto avvenente telegiornalista Ilaria D'Amico.

Ora, perché un'interprete premio Oscar con alle spalle anni e anni di teatro venga sostituita in italiano da una giornalista televisiva che si occupa di sport è e resta un mistero. Tutto diventa più incredibile quando ascoltando parlare questo "drago fighetto", si percepisce come molte parole siano scarsamente intelligibili e - soprattutto - come la voce della D'Amico venga soffocata dalla presenza di quelle dei doppiatori professionisti.

Risultato? Eragon in italiano "nun se po' sentì" come dicevano i caratteristi della commedia all'italiana. L'umorismo involontario è tale da distrarre lo spettatore al punto da rasentare la parodia in stile Mel Brooks.

Sia chiaro: chi scrive non ha nulla contro Ilaria D'Amico che è resta una professionista. Nel suo lavoro, però. Già, spesso, i doppiaggi risultano errati o eccessivi quando li fanno i professionisti alle prese con problematiche di adattamento e di tempo. Figurarsi quando un'avvenente giornalista viene utilizzata come "talent" e portata a doppiare un personaggio di cui non riesce a rendere l'anima, né soprattutto l'estensione vocale. Qui non si tratta di una bella o di una brutta voce, bensì di un doppiaggio sbagliato con una giornalista che, forse, per inesperienza non si è resa conto di quello cui andava incontro.

Spettacolare e coinvolgente dal punto di vista squisitamente visivo, Eragon fallisce nel coinvolgere emotivamente un pubblico respinto da una recitazione monocorde di un cast impacciato e da un'edizione italiana zoppicante.

Il film finisce in maniera sospesa: che si possa vedere un secondo episodio sebbene opportuno - al momento - appare improbabile.