Di confini superati, attraversati e violati, nel nome del trionfo e della realizzazione personale o di un sinistro scopo oppressivo, parlano tutti i suoi racconti. In Texas, terra di frontiera fra cultura anglosassone, ispanica e indiana, il passato e il presente offrono un’infinità di suggestioni.

Fra l’altro, non dimentichiamo che, insieme a Howard, gli altri due protagonisti di Weird Tales, H. P. Lovecraft e Clark Ashton Smith, sono autori con un fortissimo radicamento regionale. Il New England di Lovecraft, che scopre l’orrore sottostante il luogo natale della nazione americana, come la California di Smith, che per tutta la carriera continua a inscenare luoghi ameni e pastorali che regolarmente finiscono col rivelare un sostrato inquietante. Esaminare tutti i personaggi di Howard necessiterebbe lo spazio di (almeno) un libro, e qui posso solo rimandare il lettore ai siti citati all’inizio dell’articolo, a preziose rassegne come la Annotated Guide to Robert E. Howard’s Sword & Sorcery di Robert Weinberg (Starmont House, 1976), e per una bibliografia italiana al Catalogo a cura di Ernesto Vegetti (www.fantascienza.com/catalogo/). Per una bibliografia completa, un pratico riferimento per chi volesse unirsi nella riscoperta di Howard può essere: http://www.internetbookshop.it/ame/ser/serpge.asp?ty=kw&x=Robert+E%2E+Howard. Il più classicamente fantastico è Kull, l’ex schiavo che diventa re, sconfiggendo la decadente oppressione dell’antica Atlantide nel nome di un principio di praticità (By This Axe I Rule!, è grazie a quest’ascia che prendo il potere, dice un titolo) che i governanti corrotti hanno completamente perso, trovando un aiutante nel “pitto” Brule che, nel nome, fa più pensare alle popolazioni meticce del Nordamerica francofono (i “Brulés”, appunto) che

non alle mitologie celtiche. Nel Regno fantasma, del 1929 (il Regno ombra, dice il titolo originale), è Brule a guidare Kull in un labirinto di passaggi segreti che gli permette di conoscere e sconfiggere gli uomini serpente: contro i simboli del vecchio, del potere e del male, il miglior alleato è chi ha imparato, essendo privo di potere, a studiare e attendere. E i Pitti, riportati alla loro epoca, quella del dominio romano sulle Isole Britanniche, forniscono un altro dei personaggi, Bran Mak Morn, restando chiaramente influenzati dal folklore sui guerrieri indiani. Se la forza letteraria di Kull e Kane nasce dall’insieme delle storie (create intorno a straordinari climax), a Morn spetta il ruolo di protagonista di uno dei racconti meglio costruiti, Vermi della terra (1932): un mondo notturno, sotterraneo, in cui l’eroe incontra (nelle storie ascoltate e nell’esperienza diretta) un orrore risultante da una violenza antica, che continua a minare le fondamenta stesse del dominio romano. Per Morn, l’orrore è intravedere allo stesso tempo la prospettiva di potersi trovare da entrambi i lati di quella violenza: usare armi indegne, subire una sconfitta disumanizzante.

Poi i personaggi fantastici minori: James Allison, che come Il vagabondo delle stelle di London si trova proiettato in un passato lontanissimo e magico; Turlogh Dubh, cupo guerriero di un clan celtico che lotta contro la schiavitù umana e divina; e Cormac Mac Art pirata irlandese dell’era di Re Artù.

Più trascurate di tutte, le figure semplicemente avventurose, in cui l’elemento fantastico è assente o comunque marginale. Facciamo almeno qualche nome: i boxer Steve Costigan il Marinaio, Dennis Dorgan e Iron Mike Brennan; gli avventurieri Francis X. Gordon, ex pistolero texano “dalla pelle scura”, e Kirby O’Donnell, che seguono l’ambiguo richiamo dei tesori favolosi dell’Asia; il detective proto-noir Steve Harrison, con la sua notturna città portuale del Sud degli Usa; il pirata Terence Vulmea detto (come Turlogh) “il Nero”; la bellissima maschera comica western di Brackinridge Elkins, la cui straordinaria veemenza dialettale avrebbe meritato (e forse ottenuto) ulteriori incarnazioni narrative.

Ovviamente, non tutto è parte di serie, come nel caso dei racconti horror (c’è anche, nel romanzo Almuric, un’incursione fantascientifica). Ma un tenue filo unificante è l’ambientazione regionale: pensiamo a un’antologia come Skull Face. Una fra tutte, a contrastare le frequenti accuse di razzismo (non assente da Howard, ma in misura infinitamente minore da tanti suoi contemporanei anche più illustri), Black Canaan (1936): a comprendere e sconfiggere il lascito di orrore generato dalla schiavitù (quella recente, e quella antichissima dell’era di Atlantide) in un’isolata regione della Louisiana, insieme all’eroe, sono gli ex schiavi neri.

Fra le tante altre cose, infinite e inaspettate sono le fonti letterarie e culturali. Ci sono le leggende irlandesi, forse le più analizzate. Ma le suggestioni sono disparate: dal Gobbo di Notre Dame, il film del 1923 (per il quartiere dei ladri) a Shakespeare (per nomi come Prospero e Rinaldo). I nomi propri e geografici, in realtà, meriterebbero un’analisi approfondita, che esalterebbe la sfrenata, disinvolta libertà con cui Howard accumula allusioni a beneficio del suo bricolage. Che si basa su letture a 360 gradi, dai poeti inglesi come Coleridge, Tennyson, Swinburne, l’americano Sidney Lanier e il canadese Robert W. Service, ai narratori come Walter Scott, Kipling, Chesterton, Wilde, Ambrose Bierce, Jack London, Poe, e ovviamente Lovecraft. Quanto al folklore, basta aver ascoltato un po’ di country music o di blues per capire quanto Howard fosse radicato nel mondo popolare del “suo” West: Black Canaan, Rattle of Bones, Old Garfield’s Heart, Dig Me No Grave, The Dead Remember, For the Love of Barbara Allen (quest’ultima, esplicitamente un aggiornamento horror di una classica ballata scozzese).

Ma al di là della volontà dell’autore, a fornire al lettore italiano il legame col western è quella prima storia di Kane: Ombre rosse, appunto.