Dieci milioni. Anzi, venti. Dieci al padre, dieci alla madre. Non sono pochi. Ho cercato di convincermi che la BBC non lo sapesse già da prima, che i finti genitori non li avrebbero mai presi quei soldi. Che l’esperimento sarebbe finito prima dei diciott’anni stabiliti. Non ci sono riuscito. Non del tutto. Perché dopo quello che era accaduto con Meg, era normale che il signor Duke (era questo il nome del finto padre di Cristine) tenesse nascosta una Smith & Wesson nel cassetto della biancheria. Quello che non mi spiego è cosa ci faceva una Beretta carica in tasca al finto padre di Meg, il giorno che lei era sbroccata. Tra l’altro, avrebbero fatto bene a dargli qualche lezione di tiro al signor Duke, prima di mettergli in mano un cannone come quello. O perlomeno spiegargli l’uso della sicura e, in particolare, come disinserirla. Cristine ha fatto in tempo a scucchiaiargli un occhio intanto che lui litigava con il grilletto. Farei meglio a non pensarci. Osservare Cristine mangiarsi quel bulbo bianco e molliccio, vederglielo esplodere in bocca, col siero della sclera a bagnarle le labbra…è stato ancora peggio di vederla srotolare l’intestino della sua finta madre sul pavimento della cucina. Tutto in neanche un minuto. E doveva essere una colazione perfetta. Cristine compiva tredici anni quella mattina.Lo hanno visto tutti. Chi, come me, non l’ha seguito in diretta, se l’è potuto gustare in differita. I tentativi di censura non hanno avuto successo. Era tutto in rete dieci minuti dopo che lo schermo si era oscurato. Ci scusiamo per l’interruzione diceva la traballante immagine statica nelle case dei telespettatori. Le trasmissioni riprenderanno appena possibile.  

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Oggi sono riprese le trasmissioni. Io sono seduto davanti al mio televisore, e credo che ci rimarrò per un po’. Sono vecchio ormai e, anche se il tempo non è più dalla mia parte, almeno non sta lì a dirmi cosa devo fare. A volte spero che si dimentichi di me, che mi lasci in pace abbastanza a lungo perché io possa vedere come andrà a finire. Stavolta voglio restarmene in casa, e guardare cosa succede. Non mi piace più quello che c’è la fuori. Ho paura auscire.

Forse hanno ragione loro. Forse è possibile creare degli esseri umani migliori di noi. Crescerli al riparo dalla violenza, dall’odio, dal denaro. Osservarli, per imparare ciò che hanno da insegnarci.

Creare delle divinità.

Forse bisogna insistere, non arrendersi di fronte ai fallimenti. Forse è stato solo un caso che con Meg e Cristine non abbia funzionato.

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Lei si chiama Michelle. La bambina numero tre. Ha i capelli rossi, e sorride sempre. Quand’era più piccola si sedeva sempre sulle ginocchia del suo finto padre, a colorare gli album di Titti e Silvestro. A lei piaceva molto Silvestro. Era un gatto. Così le avevano detto.

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Michelle oggi ha compiuto tredici anni. Il suo finto padre è arrivato a tavola con una sorpresa, stamattina. Era una scatola, e c’era qualcosa che miagolava dentro alla scatola. Michelle l’ha aperta, ridendo eccitata. Si chiama Silvestro, le ha detto il suo finto padre. Michelle ha avvicinato una mano, per toccare quella creaturina di cui fino ad allora ignorava l’esistenza. Il gattino l’ha graffiata.

Michelle non aveva mai avuto a che fare con il dolore.

Forse è per questo che ha strillato così forte e ha sbattuto la scatola per terra. Che ha cominciato a saltarci sopra. E che ha afferrato il coltello sporco di burro.

Il suo finto padre è stato più bravo del signor Whitman.

È riuscito subito a togliere la sicura.