Se Karl Marx fosse stato un autore di fumetti, probabilmente invece di scrivere Il Capitale avrebbe disegnato Stratos. L'affermazione “i proletari non hanno anima” riecheggia infatti nelle tavole di questo volume, che dipinge una inquietante visione della società capitalista/consumista del futuro prossimo.

A occuparsi di testi e disegni è stato invece Miguelanxo Prado, bravo autore spagnolo purtroppo poco noto al grande pubblico italiano, viste le sue sporadiche apparizioni su riviste contenitore prestigiose ma poco diffuse. Sette racconti di 4/8 pagine ciascuno, leggibili autonomamente ma allo stesso tempo strettamente connessi: non solo pezzi di un unico puzzle, ma veri e propri capitoli di una storia maggiormente complessa, con un inizio e una fine. Già da questa impostazione si avverte la cura posta da Prado nella realizzazione dell'opera, che quando cominciò a serializzarla su rivista (nel 1984) si preoccupò di conferire la medesima leggibilità sia al singolo episodio che alla serie nel suo complesso.

Il meccanismo narrativo è in fondo molto semplice, e tuttavia estremamente efficace, andando a esasperare nel futuro difetti già visibili nel presente. La società di Stratos ha portato ai massimi livelli il consumismo, la mercificazione, aumentando così l'importanza del denaro e di chi lo possiede in quantità. Denaro, e di conseguenza potere, portano alla formazione di “ranghi” differenti. Il rango più basso è quello degli operai, che producono pezzi che non comprendono di cose che non possono acquistare, e che diventano a loro volta merci, da tenere o buttare a seconda della convenienza. Un mondo ove tutto è esasperato, dove i valori si smarriscono e la vita umana (perlomeno quella dei “ranghi” inferiori) perde di significato, tanto da organizzare safari per ricchi tra i “selvaggi africani”, i pochi che ancora vivono in modo primitivo. La storia si morde la coda, cambia la tecnologia ma gli istinti peggiori restano. Resta da domandarsi, come fa Prado, se il sistema reggerà per sempre e, seppur crollando, non risorgerà dalle ceneri per riproporre ancora una volta la dittatura del forte sul debole, del ricco sul povero. Dietro situazioni esasperate e personaggi grotteschi, si nascondono quindi i germogli di riflessioni molto serie, che instillano dubbi più che dare risposte. Una scelta ben supportata da un disegno in bianco e nero fitto di tratteggio, di migliaia di piccoli segni che si depositano su tutto e tutti, come una fastidiosa polvere del tempo, eccessivi come il desiderio di superfluo che condiziona i personaggi. Faticano a trovare asilo gli spazi bianchi, soffocati in questa grafica cupa che rende i volti degli uomini ridicole maschere e i corpi delle donne procacemente volgari, mentre le città sprofondano nella loro sovrabbondanza di insegne, edifici, pubblicità. I grandi spazi bianchi si manifestano solo lontano da quelle assurde metropoli, resta da vedere se gli uomini avranno mai il coraggio di abbandonarle assieme alla parte peggiore di se stessi.