gli aneddoti di Vittorio Curtoni

Da piccolo sognava di vivere di fantascienza. Purtroppo il suo sogno si è avverato.

Memories of green Una persona che non dimenticherò mai: Sandro Sandrelli

Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Pensare che Sandro Sandrelli non appartenga più al piano d'esistenza nel quale mi muovo di giorno in giorno mi dà l'idea di un universo molto più vuoto, molto più freddo. Un universo nel quale l'entropia è bruscamente aumentata e il gelo dello spazio esterno si è fatto tanto più vicino. Giusto per ricorrere a qualche metafora fantascientifica che, mi piace immaginare, a lui avrebbe fatto piacere.

La mia storia con Sandro è di quelle lunghe una vita, o quasi. Ero un ragazzino (ultimi anni delle medie, primi anni del liceo) e leggevo i suoi racconti su Oltre il Cielo, su Interplanet. Inizio dei Sessanta, tanto per intenderci. John Fitzgerald Kennedy, la crisi dei missili di Cuba, le canzoni di Edoardo Vianello e Gino Paoli e Neil Sedaka. Quasi un angolo di preistoria, ormai. E, di Sandro, le due antologie I ritorni di Cameron Mac Clure (1962) e Caino dello spazio (1964), pubblicate entrambe da La Tribuna di Piacenza (ma di Caino posseggo anche una rara prima edizione del 1962, Vianelli Editore, Venezia, che Sandro mi regalò con tanto di dedica. Uno dei pezzi più pregiati della mia modesta collezione).

Per me, all'epoca, Sandrelli era un mito come lo erano, indiscriminatamente, tutti gli autori di sf che leggevo, stranieri o italiani che fossero. Un semidio irraggiungibile. Solo che un bel giorno trovai, su un numero di "Galassia" edizione Udine, un racconto suo accompagnato dall'indirizzo di casa. Avrò avuto quattordici/quindici anni. Gli scrissi, a mano. Lui mi rispose, a macchina, con una gentilezza, una dolcezza che non ho mai dimenticato. Mi inviò anche una sua foto autografata che riposa nel mio album dei cimeli. Andammo avanti a scriverci per un po', a singhiozzi, e infine ci incontrammo (sì, questa è fondamentalmente una storia d'amore, mica mi vergogno ad ammetterlo): il nostro primo appuntamento fu a Trieste, anno 1965, terza edizione del Festival Internazionale del Cinema di Fantascienza. Avevo sedici anni, e conobbi tanta di quella gente della sf italiana che anche a pensarci ora mi gira la testa; e lui fu il primo, vero autore di sf in carne e ossa che sia mai apparso ai miei occhi. Prima di tutti gli altri coi quali da allora in poi ho fatto amicizia.

Era un tipo flemmatico, Sandro. Alto e snello (o così l'ho sempre visto io), braccia lunghe, occhiali che gli scivolavano di continuo sul naso e lui rimandava indietro con la mano. Capelli scuri. Un aplomb da gentleman inglese: uomo di poche parole, ma pregnanti, significative. Qualche sorriso, rarissime risate. Compostezza perenne, salvo quando s'accalorava nelle discussioni sulle doti ESP, delle quali era fustigatore assai più terribile di Piero Angela: a volte, solo per vederlo un poco agitato, gli confessavo di credere nella telepatia; e lui, laureato se non sbaglio in chimica, redattore scientifico del Gazzettino di Venezia, inossidabile nemico di ogni concezione paranormale, mi spiegava come e perché, se mai la telepatia esistesse, i cervelli di eventuali telepati umani dovrebbero bruciarsi... L'esatto contrario di Alfred van Vogt e John Campbell!

Nonostante questa sua intrinseca, tenacissima propensione per la coerenza scientifica, quando poi si metteva a scrivere riusciva a produrre racconti spesso contrassegnati dalle evoluzioni di una fantasia lanciata a briglie sciolte; sicché poteva parlare di macchine del tempo (Il fabbricante di pioggia), di tenebrosi mostri alieni (Il pungiglione, una delle storie più cupe e angosciose che io ricordi), di mirabolanti invenzioni capaci di provocare giganteschi sconquassi (Il suggeritrone), dei risvolti morali di improbabili mutazioni genetiche (Un trittico per i fratelli), e di molto altro.

Trieste 1965. III Festival del Cinema di fantascienza. In piedi: Luigi Naviglio, Luigi Cozzi, Luigi Berto, Vittorio Curtoni, Leandro Lucchetti, Sandro Sandrelli; Accosciati: Adalberto Cersosimo, Gogo Tao Carrara (foto: Curtoni) Era un autore singolare, un caso decisamente isolato all'interno della sf italiana. Oscillava tra due estremi che parrebbero inconciliabili e che lui invece riusciva a gestire con identica maestria: da un lato la passione per la narrativa dai fortissimi connotati tragici, dall'altro un beffardo desiderio di ironia e di grottesco che lo ha portato a essere uno dei nostri pochissimi umoristi fantascientifici, con risultati talora clamorosi come la divertentissima trilogia I fannulloni di Orione. Nutriva anche una spiccata predilezione per le parolacce, altro tratto che lo univa al sottoscritto e me lo faceva sentire così affine; e so che proprio per questo, come per la sua vena umoristica, è stato spesso guardato con sospetto, quando non apertamente criticato. Sandro, che a modo suo era un duro, se n'è sempre infischiato; ha tirato diritto per la sua strada di eccentrico, di irregolare, arrivando a produrre fanzines (battute a macchina con la carta carbone, in quattro o cinque copie per volta!) che avevano titoli balordi come Interplot o Plot-Plot, a scrivere racconti al limite della schizofrenia come La passeggiata di Patty, a tentare la strada del poemetto fantascientifico con lo straordinario Dumferline Concerto. Ed è stato, con grande generosità (nel senso che ha rischiato di tasca propria e, per quel che ne so, ha pagato in moneta sonante), uno degli artefici principali della fantascienza nazionale: i sette volumi delle antologie Interplanet, da lui assemblati tra il 1962 e il 1965 (gli ultimi due con la collaborazione di Gianfranco de Turris e Sebastiano Fusco), restano tra i migliori risultati di quel decennio, e per l'ampio ventaglio di nomi ospitati, e per la qualità dei testi. Aveva in progetto un ottavo numero della serie, dedicato al tema del fantamore, allora di notevole attualità, ma l'editore che aveva pubblicato gli ultimi tre Interplanet (Dell'Albero, torinese) chiuse i battenti, e quella fu la fine dell'avventura.

Dal 1965 ai primi anni Ottanta ci siamo rivisti spessissimo al festival triestino. La presenza di Sandro era una delle costanti fisse che davano sapore a quel rito annuale, non certo eccezionale per la qualità dei film presentati ma delizioso per il riformarsi ogni volta di una compagnia di amici accomunati dall'amore per la fantascienza. Per tante edizioni siamo stati ospiti assieme dello stesso hotel, e quelle giornate erano scandite da una continua frequentazione: dalla prima proiezione al mattino per la stampa, dopo la quale lui scappava a scrivere il suo pezzo per il "Gazzettino", fino alle chiacchiere della notte fonda, tra birra e liquori. Eh sì, di litri di alcol Sandro e io ne abbiamo mandati giù parecchi assieme; con l'apice canonico della cena conclusiva, quando noi due riuscivamo sempre ad accaparrarci sontuose quantità di cibo e bottiglie di vino. Eravamo diventati, con la pratica delle vecchie volpi, un mirabile duo di incursori enogastronomici, e quant'era divertente! La sua tempra, come quella di un altro amatissimo amico scomparso quest'anno, Karel Thole, era titanica anche in questo: mai una volta che l'abbia visto sbronzo, o magari solo un tantino alticcio. Sandro era uno di quelli che la realtà la dominano, la forgiano a proprio piacimento, la sanno cavalcare con impeto.

Almeno sino agli ultimi anni. C'eravamo persi di vista, è triste ammetterlo, per la distanza geografica che ci divideva, perché a Trieste non esiste più quel festival, perché dopo le sue collaborazioni a Robot non abbiamo più avuto occasione di lavorare assieme a qualche progetto editoriale. Non è mai uscito dalla mia mente, ricordato sempre con tutto l'affetto che si può dedicare a un padre e fratello spirituale; però lui, nei Novanta, si è isolato, è rimasto estraneo al giro delle convention e dei convegni più o meno grossi che io invece frequento con una certa assiduità. L'ho sentito per telefono un'ultima volta all'inizio del 1999, dopo avere letto su Nova SF* il suo pezzo autobiografico Gli anni di Interplanet nel quale, con la consueta dolcezza e ironia, il mio nome compare più volte, a mo' di tormentone: restai talmente felice nello scoprire che anch'io vivevo ancora nei suoi pensieri che lo chiamai subito. E fu un doloroso impatto. Era poco loquace, sembrava preferire il silenzio. Mi disse di stare bene fisicamente ma di essere terribilmente depresso. Continuò a ripetere quella frase, "sono molto depresso". Gli spedii una copia della mia autobiografia poi apparsa in Retrofuturo, La mia love story con la fantascienza; gli dissi di scrivermi, di telefonarmi, di farsi vivo. Magari ci si sarebbe potuti incontrare. Temo però che lui preferisse ormai la solitudine ai contatti col mondo: dopo quella volta, non ci fu la minima reazione da parte sua, e io giudicai più saggio, meno invadente, lasciarlo in pace.

Adesso, anche se volessi, non potrei più tormentarlo. E' morto, scomparso, svanito. Miseria baldracca, come direbbe il Poeta. A volte il procedere delle cose del mondo fa proprio incazzare. E ti butta giù che più non si potrebbe.

Sandro Sandrelli è morto il 6 luglio di quest'anno.

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