La produzione di Charles Stross sembra riprodurre in campo fantascientifico una delle sue più caratteristiche ossessioni letterarie: la Singolarità. Attivo sulla distanza breve del racconto fin dalla metà degli anni Ottanta con opere pubblicate sulle più prestigiose testate britanniche (da Interzone a New Worlds), dopo uno stallo di qualche anno negli ultimi tempi l’attività di questo esuberante scrittore inglese di Edimburgo ha subito una brusca impennata. Dopo aver avviato una duratura e proficua collaborazione con la Asimov’s (dove sono apparsi tutti i racconti poi riuniti a formare il suo lavoro più noto, Accelerando), dal 2002 ha sfornato un libro all’anno, quando non due, manifestandosi d’improvviso come una rivelazione agli occhi dei lettori estranei al circuito delle riviste. Così, a distanza di solo un anno dal poderoso Accelerando, il libro che ha fatto incetta di riconoscimenti consacrando il suo autore come la voce più interessante della fantascienza contemporanea, ecco arrivare l’atteso seguito: Glasshouse. Uscito il 27 giugno sul mercato americano per la Ace Books, in una elegante edizione rilegata, il libro sbarcherà in Gran Bretagna la prossima primavera direttamente in versione economica.

In realtà, come fa notare un entusiasta Paul Di Filippo dalle autorevoli pagine elettroniche di Science Fiction Weekly, Glasshouse può essere inteso come una prosecuzione del precedente capolavoro in un senso piuttosto lato, dal momento che in assenza di comuni personaggi la continuità è affidata esclusivamente all’ambientazione. E se Accelerando metteva in scena gli effetti immediati della rivoluzione tecnologica e culturale comportata dall’avvento della Singolarità, visti attraverso gli occhi di tre diverse generazioni a coprire un arco narrativo lungo grossomodo quanto il XXI secolo, Glasshouse fa un balzo di altri 400 anni nel futuro mostrandoci una divertente e fantasmagorica civiltà postumana con un senso del meraviglioso degno della più classica fantascienza. Ma il “classicismo” di Stross si ferma al tono della narrazione e a una manciata di riferimenti e citazioni sparse sul testo, con rimandi che vanno dalla fantascienza “alta” di Philip K. Dick e della sua concezione della realtà come un sadico gioco di scatole cinesi, di Isaac Asimov e dei suoi imperi galattici, della satira sociale di Samuel R. Delany, di Roger Zelazny e del suo ciclo d’Ambra, di James Tiptree – un personaggio minore porta il vero nome della grande scrittrice americana: Alice Sheldon – o di John Varley, a quella più popolare dei telefilm inglesi degli anni Settanta, tra cui spicca Il prigioniero. Per il resto, il romanzo viene descritto da praticamente tutti i commentatori d’oltreoceano come un fuoco pirotecnico di trovate sospese tra il visionario e l’esilarante.

La trama è incentrata su Robin, un antieroe male in arnese appena sopravvissuto a un duello d’onore, reduce da una rimozione volontaria di un consistente blocco di ricordi e alla ricerca adesso di una nuova stabilità esistenziale. Proposito che viene puntualmente vanificato dall’incontro con Kay, un’avvenente ragazza provvista di un paio di braccia ausiliarie, appena dimessa anche lei da un soggiorno in clinica per una ridefinizione della propria personalità. Il loro mondo è in lenta ripresa dai devastanti effetti di un virus memetico chiamato “Giallo Curioso”, che anni addietro ha sconquassato il sistema di wormhole che rappresentava l’infrastruttura di comunicazione e trasporto di una civiltà postumana proiettata verso lo spazio (i cosiddetti T-gate), portando al collasso della Repubblica di Is che su tale rete aveva fondato la propria prosperità. In cerca di un senso per la propria vita, Robin decide di prendere parte a un singolare esperimento ideato da un trio di scienziati fuori dalla norma, intenzionati a ricreare in un ambiente virtuale le condizioni di vita in una società pre-Singolarità: oggetto d’indagine è in particolare il periodo che va grossomodo dal 1950 al 2040, passato alla storia come gli “anni oscuri”. Kay si unisce a lui, ma quando Robin apre gli occhi nella ricostruzione di un ambiente novecentesco di lei non c’è traccia e, per di più, il nostro sventurato protagonista deve fare i conti con la sua nuova vita di… casalinga. La ricerca della perduta personalità condurrà Robin/Reeve a una serie di sconcertanti rivelazioni, svelando un piano mortale, di cui l’esperimento è parte integrante, per ricreare una versione aggiornata e infallibile del virus memetico che già una volta ha portato l’umanità sull’orlo dell’estinzione.

Con Glasshouse veniamo quindi proiettati nello scenario alieno del “dopo Accelerazione”, un caleidoscopio di invenzioni che solo la brillante trovata di ambientare il nucleo del romanzo in una surreale ricostruzione della nostra contemporaneità (o, meglio, del nostro recentissimo passato), permette di tenere a freno su un livello di basso “ermetismo”, accessibile anche al lettore meno incline agli ultimi sperimentalismi emersi in ambito fantascientifico. Tra i tanti commenti al romanzo che è possibile leggere in rete, dalle pagine di SCI FI Weekly Di Filippo incensa Stross come un classico contemporaneo: “Cosa significa operare nella lunga stirpe della grande fantascienza del passato?” si chiede dalle colonne della sua rubrica. “Vuol dire servire al lettore per l’ennesima volta la stessa minestra, con precisione commerciale? Certo che no. Dal mio punto di vista, i migliori scrittori di fantascienza intraprendono un dialogo intellettuale con i modelli del passato, riconoscendo e onorando i loro insegnamenti e allo stesso tempo estendendone il raggio d’azione. Per questo un nuovo lavoro di fantascienza rigorosa e credibile echeggerà opere del passato, riuscendo al contempo ad esprimere con una voce originale nuove vedute e prospettive”.

Di Filippo prosegue poi la sua analisi del romanzo – cui tributa il massimo dei voti nel sistema di valutazione di SCI FI Weekly, un A+ pieno e privo di esitazioni – puntualizzando come le allusioni ai citati classici del passato restino comunque relegate a un livello sottotestuale di lettura. “La superficie narrativa è puro Stross, al cento percento, un assalto organico e spietato a tutte le più stantie concezioni del futuro. La lingua di Stross è tagliente, innovativa e dinamica. La sua caratterizzazione dei personaggi credibile e affascinante. La narrazione è vigorosa e propulsiva, […] il tono leggero e scanzonato malgrado non sia estranea una certa gravità”. Per concludere infine che “questo è un romanzo che incarna le migliori caratteristiche della vera fantascienza, dimostrando che c’è ancora piena vitalità nel vecchio genere”. E se la fantascienza è tutt’altro che morta, se non si è ancora definitivamente inviluppata sulla triste riproposizione di vecchi luoghi comuni, se non ha esaurito per sempre il potenziale propulsivo delle idee e dell’immaginazione, è in buona parte merito di autori come Charles Stross e gli altri avanguardisti del nuovo Rinascimento scozzese. Lunga vita a scrittori come Stross, dunque, che non hanno paura di osare!