“Cosa stai guardando? Un vero duro... Non riesci nemmeno a dirle che la ami. Devo andarmene da questa dannata riserva. Se solo lei venisse via con me sarebbe tutto diverso... Tutto avrebbe... Chi credi di prendere in giro”. Prey si apre nel cesso sudicio di un bar della riserva, davanti allo specchio, in una notte come tante. La telecamera indugia su un monologo di Tommy, il cherokee stanco delle favole sugli spiriti e delle tradizioni del suo popolo protagonista di questa storia, che in realtà inizia molto prima. Più di dieci anni fa, in 3D Realms, gli sviluppatori divenuti famosi per Duke Nukem 3D, un altro sparatutto tridimensionale che con Prey condivide il gusto per i personaggi dalla lingua sciolta e le battute pronte; per l’atmosfera carica di splatter e umorismo nero. E per le invasioni aliene da rispedire nello spazio a calci nel sedere. Anche Tommy ha la sua. Gli alieni brutti, grossi e cattivi arrivano proprio quella notte. Una sfilza di luci avvistate nei cieli di tutto il Nord America. Le trasmissioni che si interrompono per diramare un comunicato di emergenza. Poi black-out e il tetto del bar scoperchiato quasi fosse di cartone, mentre oggetti e persone cominciano a fluttuare nell’aria, catturati come Tommy, la bella Jen e nonno Enisi da una selva di raggi traenti. I più fortunati moriranno per primi. Gli altri saranno vittime di orribili torture, che non risparmiano nemmeno i bambini, all’interno di una malefica sfera di Dyson dove la cattiveria è pari solo all’avanzatissimo livello della scienza extraterrestre che l’ha concepita. Se la gigantesca “astronave” biotecnologica degli alieni sarà fonte di indicibili pene per il genere umano, allo stesso modo Tommy si scoprirà presto un ospite fastidioso al banchetto degli sgorbi sadici venuti dallo spazio profondo. Costretto dalle circostanze a rivedere le sue convinzioni, troverà dentro di sé la forza dei guerrieri cherokee.

Su questa prima svolta narrativa si fondano alcuni degli inediti introdotti da Prey per diversificare l’esperienza di gioco dal resto degli sparatutto 3D. La discendenza di Tommy dona al personaggio poteri mistici, come la proiezione astrale, che permette di separare lo spirito dal corpo. In quanto etereo, lo spirito può attraversare ostacoli fisici, a patto di avere comunque la visuale libera (una specie di Nightcrawler meno propenso alle acrobazie), e in questa forma eliminare di soppiatto i nemici con le frecce incantante dell’arco spirituale. Durante il viaggio però il corpo rimane indifeso, in balia degli eventi. L’altra facoltà concessa a Tommy dal suo popolo per completare la sua missione rende addirittura impossibile morire. O, più precisamente, una volta morti si passa in un piano spettrale dove, con un minigioco di mira, è possibile recuperare le forze per poi riprendere l’avventura da dove la si era lasciata. Sulla sfera di Dyson nella quale si dipana tra mille stranezze quasi tutta l’avventura, esistono inoltre un’infinità di portali intercomunicanti che, squarciando e sciogliendo l’aria, danno accesso a qualsiasi luogo e qualsiasi prospettiva, secondo un gusto che ama chiaramente ribaltarle. Ragion per cui le architetture tecno organiche di Prey sono ricche di passatoie voluttuose, per corse verticali e a testa in giù, nella più contorta logica di Escher.

Di contro, tutte queste idee innovative non risultano sempre approfondite nella stesura estremamente lineare del videogame redatta da Human Head Studios, se si esclude la caleidoscopica digressione sui capovolgimenti fisici, al centro di enigmi inseriti qua e là nel gioco, per spezzettare l’azione. In ogni caso, le idee nuove in Prey almeno ci sono. Il titolo pubblicato da 2K Games affascina però essenzialmente per altri motivi. Il carattere è il primo. Si riconosce cioè che dietro a Prey ci sono degli autori, che sguazzano felicemente tra i déjà vu (probabilmente volontari, anche se è difficile dirlo con certezza, visto lo sviluppo così lungo e travagliato) e le megalomanie di un b-movie interattivo straordinariamente abbondante di dettagli che ne testimoniano la passione. Di firme messe dove te lo aspetti, ma anche dove non penseresti di trovare tutta quella dedizione di cui Prey è invece pieno, insieme a non comune senso per l’immagine, filtrato dal motore grafico di Doom 3, del quale l'opera Human Head Studios sembra ereditare quasi necessariamente l’alone dello stile.

Proprio come dimostrato in precedenza da Doom3, pur essendo pensato per personal computer, Prey si adatta piuttosto bene a essere giocato su console. La conversione per Xbox 360 condotta da Venom Games non sembra sacrificare molto dello spettacolo visivo, a patto di utilizzare un televisore ad alta definizione che permette di godere al meglio del salto generazionale, in linea con la resa delle produzioni di grido sui pc di fascia medio superiore. Se si ha a disposizione anche un buon impianto dolby digital, probabilmente più facile da trovare in salotto che sulla scrivania, è spontaneo venire rapiti da un sonoro studiato con attenzione. Il controllo via pad non crea nessun problema nella frenesia dei combattimenti, anche perché il videogame, nel suo citazionismo, è uno sparatutto classico, senza troppe smancerie, ma di qualità.