di Cesare Falessi

racconto

Svan si mosse con cautela sulla lastra gelata, sondando lo spessore del ghiaccio con il minuscolo detector che aveva fissato in cima alla sua piccozza da montagna. Se la luce rossa si fosse accesa, avrebbe indicato uno strato inferiore ai 30 centimetri, spessore minimo occorrente per sorreggere il pesante scafandro metallico che indossava. Non gli era ancora capitato, tuttavia doveva essere prudente in ogni cosa per far riuscire perfettamente il suo piano.

Strisciò le sue calzature massicce al di là di una sottile cresta di punte, frantumandole al semplice toccarle. "Strano" pensò "veder cadere le cose senza rumore, come in un mondo magico e ovattato." Non poteva udire nulla, anche se avesse aperto al massimo volume il piccolo microfono installato sull'elmo.

Titano non possedeva atmosfera e sulla sua superficie non vi era nulla che potesse trasmettere i suoni. L'atmosfera era lì, sotto i suoi piedi, ghiacciata dalla temperatura bassissima, uno strano miscuglio di metano e ammoniaca.

Rise tra sé, al pensiero di un mondo dove si poteva estrarre dal suolo l'aria. - Uno strano mondo - ripeté crollando il capo.

Poi si ricordò che il trasmettitore della sua radio era aperto e sentì la fronte imperlarglisi di goccioline di sudore; stava parlando da solo, benché pianissimo, e qualcuno poteva aveva casualmente intercettato la sua lunghezza d'onda.

Chiuse il circuito d'uscita e rimase immobile, manovrando lentamente la manopola del captatore, in modo da esplorare un raggio di parecchi chilometri: ma benché sondasse minuziosamente ogni frequenza, non riuscì a udire il minimo fruscio che indicasse un altro apparecchio in onda con il suo.

Quando fu convinto che nessuno doveva essersi accorto della sua presenza, riprese a camminare con un ritmo lievemente più veloce.

Questa volta abbandonò ogni considerazione rispetto al mondo ostile e minaccioso che lo circondava. La sua marcia era macchinale: automaticamente evitava le asperità del cammino, o frantumava con la massa dello scafandro gli ostacoli più piccoli. La superficie ghiacciata saliva con un lieve pendio, e la parvenza di sentiero che egli stava seguendo si incassava profondamente tra due alte pareti di ghiaccio che si elevavano per parecchie decine di metri.

Divenne più attento al percorso; rallentò l'andatura, ma mise a tracolla la piccozza col detector. Non aveva più davanti lastre gelate, ma solidi blocchi di ghiaccio. Fece ancora qualche passo, poi si fermò. Cautamente uscì dal sentiero, muovendosi a stento sulla superficie accidentata ai suoi lati. Si diresse sul costone di sinistra e cominciò a innalzarsi verso la sua sommità, tentando con la mano ricoperta dal grosso guanto metallico le sporgenze più resistenti e scegliendo con prudenza dei solidi appoggi per i piedi.

Due volte scivolò, durante la sua ascesa, e corse il rischio di precipitare. Tutte e due le volte si fermò tremante a riprendere fiato attendendo che cessasse la tensione nervosa.

"Sto diventando troppo vecchio per questo genere di vita" si disse mentalmente.

Finalmente riuscì a raggiungere la sommità del costone, ma non si levò in piedi: strisciando con indicibili sforzi, attaccandosi con le mani e trascinandosi faticosamente sul suolo, percorse una ventina di metri.

Era tutto dolorante, impossibilitato ad andare avanti: i muscoli gli dolevano con fitte lancinanti. Guardò con desiderio il ciglio di una scarpata con la quale terminava l'altura, un centinaio di metri più avanti.

Il terreno scendeva fino al ciglio: provò ad allungare una mano, poi il braccio. Si accorse che non era riuscito a muoversi di un centimetro.

Rimase fermo, immobile dentro lo scafandro, respirando affannosamente, torturato dai dolori alle braccia, alle gambe, a tutto ciò del suo corpo che fosse muscolo o nervi.

Un suono nell'interno del casco lo fece sobbalzare: l'altoparlante della radio stava gracchiando, modulando dei borbottii, dei grugniti, tutta una serie di suoni rauchi. Poi una voce profonda disse: - Uhm... proprio così.

"Il professore!" pensò Svan, e trasalì.

Con uno sforzo ritirò il braccio dalla manica dello scafandro e spostò il commutatore dell'apparato radiofonico sulla voce distanza. La lancetta oscillò lievemente e sfiorò ondeggiando i 200 metri.

"Solo duecento metri!"

La constatazione folgorò la mente di Svan. Duecento metri. Quanto ci avrebbe messo il professore a farli? Al massimo venti minuti. E lui doveva per forza arrivare a quel ciglione. Il pensiero era angoscioso, martellante. Quasi piangendo per la fatica, si rotolò sul ghiaccio. Il pendio, benché lieve, lo favorì: rotolando, sbandò leggermente e batté il capo all'interno dello scafandro. Poi scivolò di lato sempre più veloce, finché un urto violento contro uno spezzone di ghiaccio lo arrestò. Nell'interno la lancetta oscillò follemente, si stabilizzò poco a poco e infine si fermò sui 70.

Svan adesso non poteva perdere altro tempo. Con uno strappo violento si rizzò sulle ginocchia: ansimava per la fatica, ma non si rilassò finché non si trovò carponi intento a muoversi verso la sporgenza del ciglione. Allungò cautamente la testa in fuori e stette a guardare, affascinato.

Il sentiero era diventato in quel punto una specie di sottilissimo cornicione dello spessore di appena un metro, largo non più di due. Il costone opposto terminava bruscamente a picco. Il sentiero quindi procedeva lungo la parete a una altezza di almeno cento metri; sotto, in basso, un inferno di punte, guglie, speroni di ghiaccio aguzzi. Faceva impressione solo a guardare. Rimase qualche secondo affacciato sull'orrido crepaccio; si sentiva a disagio, una nausea crescente lo stava invadendo.

Si ritrasse e si spostò con cautela verso destra, dove tra un cumulo di punte spezzate sorgeva grosso prisma di ghiaccio dalla rozza forma, alto almeno due metri e mezzo.

Vi arrivò quasi subito e, standovi appoggiato, si sporse di nuovo a guardare il cornicione sottostante.

Improvvisamente i suoi pensieri divennero lucidi, concisi.

Una figura chiusa in uno scafandro simile al suo si muoveva lentamente ai bordi del sentiero, incamminandosi lungo il pericoloso cornicione.

Svan agì speditamente. Sfilò il sacco che portava a tracolla e ne tolse uno strano arnese che ammirò per un attimo. Una pistola termica. La impugnò saldamente e premette il pulsante. Una fiamma azzurrina uscì con violenza, diretta contro la base della colonna di ghiaccio.

L'aria, liquefacendosi al calore dell'arma, tentava di sfuggire in vapori che si congelavano e ricadevano sul suolo da ogni lato formando una spessa coltre ghiacciata.

Il getto di fiamma tagliava la base del prisma secondo un piano inclinato verso il ciglione; il calore appannava le trasparenze dello scafandro e faceva scorrere minute goccioline di gas liquidi sul braccio che reggeva la pistola. Poi, dapprima impercettibilmente e via via acquistando velocità, il gran masso si mosse. Infine si spezzò, precipitando tra un polverio di schegge oltre il bordo del ciglio.

Svan rinfoderò lentamente l'arma; si mise il sacco a tracolla. Soltanto allora si sporse ad osservare il sentiero frantumato, spezzato lungo la parete terribilmente liscia, e la ligurina che giaceva distesa giù in fondo al crepaccio, cento metri più sotto.

* * *

- Io non posso darti torto - concluse il Maggiore Olsen - ma questa volta è necessario che tu sia più minuzioso del solito, nella tua indagine. Il professor Hughes era un uomo riservato e molto prudente. Nessuno l'avrebbe spinto a rilevare qualcosa di cui non fosse stato ben sicuro. E' molto probabile quindi che non riuscirai a trovare quello che cerchiamo. E poi c'è la faccenda della pistola termica. Sarà una semplice coincidenza, ma comunque c'è stata. Dieci anni di servizio mi hanno fatto guardare con sospetto certe coincidenze.

Steve Flashes guardò indolentemente fuori della finestra.

- Ricapitoliamo - disse con un sospiro.

- Bene - fece Olsen. - Due anni fa venne impiantata su Titano una stazione di studi a cura del Dipartimento Ricerche, Sezione Affari Segreti. Vi si installarono il professor Hughes, dei laboratori governativi, il suo segretario, due assistenti e due tecnici. Risultati delle ricerche: ignoti. La Sezione fece più volte pressione per avere una relazione dettagliata sui suoi studi, ma il professor Hughes chiarì che non avrebbe parlato finché non si fosse sentito più sicuro sugli esiti delle ricerche. A nulla valsero le insistenze. Un pezzo grosso che si recò da lui personalmente non riuscì a ottenere nulla: anzi, in questa occasione uno dei due agenti che scortavano il pezzo grosso perse la sua pistola termica. Lui non seppe dire bene come era andata, il fatto è che la pistola non venne più trovata. Dieci giorni or sono il professor Hughes è precipitato in un burrone da una discreta altezza: naturalmente è morto. E ora, la Sezione Affari Segreti vuol essere sicura che si tratti di una disgrazia e non di qualche altra cosa. Gli assistenti e i tecnici sanno soltanto che il professore si interessava ai raggi cosmici e alle perturbazioni magnetiche, ma aveva l'abitudine di lavorare da solo e si avvaleva di loro unicamente per il controllo degli apparecchi e le osservazioni periodiche. Perché sia stata impiantata la stazione, Iddio solo lo sa: Hughes godeva di una fiducia illimitata, e aveva carta bianca per ogni sua idea. E noi ora abbiamo il compito di riuscire ad accertare se il lavoro del professore deve essere messo in relazione con la sua morte.

- Chi viene con me? - domandò rassegnato Steve, alzandosi dalla sua poltrona.

La risposta fu pronta: - Nessuno. Non posso privarmi di altri uomini. Dovrai arrangiarti da solo. Avrai soltanto il più veloce astroaereo che possediamo, l'Argus. Buona fortuna, Steve.

- Salute, Maggiore - disse Steve andandosene.

La prima cosa che fece appena lasciato il suo superiore, fu recarsi alle piste di lancio. Il veicolo spaziale era già pronto sulla linea di volo, il che testimoniava come Olsen si muovesse in fretta quando aveva qualche cosa di importante per le mani. Un meccanico sull'astroaereo agitò la mano:

- Ehi, Tenente!

- Ciao, Richard - rispose lieto Steve - sono contento che te ne occupi tu.

- Grazie Tenente, sto facendo del mio meglio. Ma dovrà volare con i generatori chimici invece che atomici, perché la ditta costruttrice non ci ha ancora inviato la calotta antiradiazione per il motore.

- Mi importa poco, Richard. Il viaggio è breve. Io vado a prepararmi: mi occorreranno una ventina di minuti. Fammi trovare tutto pronto, diciamo tra mezz'ora.

Steve Flashes era abituato alle partenze improvvise e il suo bagaglio si trovava perciò sempre in ordine. Non ebbe che da cambiarsi d'abito, e lo fece rapidamente, indossando la tuta di volo.

Afferrò la valigia, passò all'Ufficio Notizie per farsi consegnare il fascicolo Hughes, piuttosto scarso però, e venticinque minuti dopo si trovava sulla pista intento a provare i comandi dell'Argus.

- Auguri Tenente - gli disse Richard. - E non abbia timore. Questo apparecchio va maledettamente bene, anche senza i generatori atomici.

Le sue ultime parole furono coperte dal rombo assordante dei motori: qualche secondo più tardi l'Argus spariva nel cielo limpido e luminoso.

* * *

Steve Flashes balzò pesantemente sul ghiaccio che stava liquefacendosi al contatto con i roventi tubi di scarico dell'astroaereo. Aveva indossato lo scafandro per recarsi fino all'edificio della Stazione, che sorgeva alla sua destra, spiccando ben distinto tra lo squallore del paesaggio circostante.

"Brutto posto per passarci un paio di anni" pensò ammusonito. Si diresse verso la Stazione: dovevano avere preavvisato il suo arrivo e stavano certamente aspettandolo.

Infatti la porta della camera di decompressione si aprì automaticamente come le giunse davanti. Entrò nella stanza, a una parete della quale pendevano parecchi scafandri, e si tolse il suo. Appena ebbe finito, la porta che comunicava con l'interno si aperse e sulla soglia apparve un giovane alto e bruno, vestito di un maglione e di attillati pantaloni di lana, che gli porse sorridendo la mano.

- Sono il segretario del povero professor Hughes. Lei è il Tenente Flashes della Polizia Interplanetaria?

- In carne e ossa - rispose Steve, lieto dell'accoglienza cordiale. - E gli altri dove stanno?

- Quali altri? - fece il giovane un po' stupito.

Steve lo guardò incerto. - Ma, diamine, gli assistenti e i tecnici che erano con voi. Dovreste essere cinque persone.

- Lei è male informato, Tenente. Qui ci siamo soltanto io e uno dei tecnici, l'ingegner Hansen. Siamo rimasti per imballare tutti gli apparecchi del laboratorio perché la Stazione verrà abbandonata, ed è ben comprensibile, dato che con la morte del professore sono venute a mancare le ragioni della sua esistenza.

Steve non riuscì a mascherare una smorfia di disappunto. Il giovane parve notarla e proseguì: - Del resto, se non erro, lo scopo della sua visita è quello di trovare qualche documento o prova che ci dia un'idea di ciò che il professor Hughes stava ricercando. E in proposito le posso assicurare che quei ragazzi non avevano la più pallida ipotesi sull'argomento.

- Lei crede - lo interruppe Steve - che io possa riuscire a qualche cosa?

- No - rispose l'altro, tanto prontamente quanto francamente.

In quel momento una luce rossa si accese sopra la porta e una suoneria appena percettibile cominciò a gracidare.

- Oh - disse il segretario del professore - ecco l'ingegner Hansen che sta rientrando.

Passò qualche minuto, poi la porta si aprì violentemente e ne entrò un uomo dalla corporatura massiccia, di altezza media, con i capelli di un biondo pallido radi e pettinati all'indietro.

Si fermò sulla soglia a guardare il nuovo venuto, squadrandolo dalla testa ai piedi, mentre dal canto suo Steve faceva altrettanto.

- Hansen - disse il segretario - questo è il Tenente Flashes della P.I.

- Piacere, Tenente. - Hansen porse al giovane una mano enorme e quasi stritolò la sua. - Immagino che sia venuto per la solita storia.

- Ha qualche idea sull'argomento? - chiese Steve piuttosto interessato.

- Ma neanche per sogno. Creda a me, Tenente, qui sotto c'è solo un abbaglio del Dipartimento Ricerche. Circa tre mesi fa arrivò a Titano un dirigente della Sezione Affari Segreti pretendendo di essere messo al corrente dei lavori svolti dal professor Hughes. Il professore si arrabbiò molto: disse che avrebbe resi noti i suoi studi quando gli avesse fatto comodo e non tollerava che alcuno si venisse ad impicciare delle sue ricerche.

- Ma allora - disse Steve - perché fece quella comunicazione al Dipartimento?

- E qui sta il bello - si accalorò Hansen - la comunicazione non fu mai fatta. O meglio, così sosteniamo noi, mentre il Dipartimento mostra di credere che fu trascritto dall'R.T. che si mise in collegamento con la Stazione.

- E' sicuro di questo?

- Altroché! Lo effettuai io, quel collegamento. Secondo me confusero il significato delle parole in codice; la trasmissione fu piuttosto difficile quella volta, era disturbata dai soliti violenti cicloni magnetici.

- Questo comunque non spiega perché si ritenesse necessario inviare subito un funzionario del Dipartimento qui.

- Lo spiega e come! - Hansen era molto sicuro di quello che diceva. - Il professore era tenuto in grande considerazione: se veramente lui avesse trasmesso di avere importanti comunicazioni da fare, valeva la pena di mandare a Titano tutto il quadro dirigente del Dipartimento.

Steve era piuttosto deluso: - Cosicché sembra che io abbia fatto proprio un viaggio inutile, eh? Va bene, domani darò un occhiata al posto dove avvenne la disgrazia e poi me ne tornerò al Centro.

Lo interruppe il segretario: - Venga a mangiare qualche cosa, Tenente, e poi vada a riposare: immagino che sarà stanco.

- Accetto di cuore - rispose sorridendo il giovane - lei è molto gentile, signor...

- Wright... Owen Benjamin Wright. Si accomodi da questa parte, prego.

Attraverso una piccola porta in forma circolare entrarono in un locale a cupola, nel quale si affacciavano tre stanze. Al centro una tavola apparecchiata risvegliò gli appetiti sopiti di Steve.

- Da quella parte - fece Wright - si va al laboratorio. Quella invece è la porta della stanza dove alloggiavamo io ed il professore, mentre dalla parte opposta dormivano Hansen e gli assistenti.

La cena fu abbondante e vivace. Steve parlò della vita movimentata di un agente P.I., e gli altri dei progetti che avevano in mente di realizzare tornando a casa. Nessuno accennò al professor Hughes e alle sue ricerche. Steve capì come sia Wright che Hansen fossero fermamente convinti che non sarebbe arrivato a capo di niente.

"Pazienza" pensò "Olsen sarà contento di sapere che questa faccenda non costituisce affatto il ginepraio che credeva gli avessero lasciato nelle mani." Comunque, anche più tardi, mentre nel comodo letto di uno degli assistenti stava lentamente cedendo al sonno, pensò che prima di andarsene avrebbe fatto bene a controllare parecchie cosette.

* * *

Steve si svegliò di ottimo umore. Fece rapidamente toeletta e notò che Hansen si era già alzato: il letto vuoto era rifatto.

Uscì nella sala dove avevano cenato e trovò Wright che stava accuratamente controllando e impaccando parecchi fogli di appunti. Wright fu lieto di vederlo.

- Già sveglio, Tenente? Hansen è al lavoro: è uscito da un pezzo per terminare di smontare uno specchio solare che avevamo installato qui vicino. Lei che fa?

- Credo proprio che andrò a dare un'occhiatina al posto dove avvenne la disgrazia.

Wright ripose le carte che stava maneggiando e si alzò.

- Attenda un attimo, che l'accompagno.

Indossarono lo scafandro e si avviarono; lungo il canimino Steve chiese: - Come è successo?

- Beh... il professore era uscito esattamente alla stessa ora degli altri giorni, per recarsi in un punto dove aveva impiantato degli strumenti per la registrazione di alcuni dati relativi ai raggi cosmici. Per abbreviare la strada faceva un cammino un po' pericoloso, in quanto attraversava un crepaccio lungo uno stretto cornicione. Di solito io mi tenevo sempre in collegamento con lui tramite la radio, perché il professor Hughes non voleva che nessuno lo accompagnasse mai. Quel giorno avevo da fare, e allora mi misi all'apparecchio più tardi. Seppi poi che erano passati quattordici minuti dall'incidente.

- Come fa a saperlo? - chiese sospettoso Steve.

- Abbiamo trovato l'orologio nello scafandro, fermo sull'ora della caduta. Avevamo sempre gli orologi sincronizzati, era necessario per i nostri esperimenti.

- Vada avanti, signor Wright.

- Poiché non riuscivo a comunicare col professore, cominciai ad impensierirmi. Tuttavia avvisai gli altri, e mi risposero che avrebbero tentato anch'essi. Fu quando vedemmo che non ci era possibile metterci in contatto con lui che tememmo una cosa del genere.

Wright tacque un momento, poi riprese: - Due giorni dopo riuscimmo a metterci in contatto con la Stazione Metereologica Artificiale Opel 311, e mandarono un astroaereo. Così potemmo recuperare il cadavere del professore. Dopo una settimana arrivò il razzo del Dipartimento e caricò Van Bolden, Stettinus e Marchetti. Noi siamo qui per preparare il materiale da portare via e il razzo tornerà tra nove giorni. Oh, ma eccoci arrivati dove il sentiero si stringe. Attenzione adesso, e mi lasci andare avanti. Uno scivolone qui può costare la vita.

Il sentiero, incassato tra due pareti di ghiaccio, si andava restringendo fino a terminare in uno stretto cornicione che declinava dolcemente lungo la parete, a picco su di un profondissimo crepaccio.

- Ecco là - disse Wright con voce un po' emozionata.

Trenta metri più avanti il sentiero era spezzato per un lungo tratto.

- Evidentemente non ha resistito più al passaggio del professore: gli scafandri sono pesanti.

Steve contemplò a lungo senza parlare la scena terrificante, poi domandò al segretario: - Mi dica un cosa, Wright: è lontano il posto dove erano impiantati gli strumenti?

- Non molto: subito dietro quel costolone, al di là del crepaccio. Non li abbiamo più ritirati perché sono stati collegati via radio al registratore del satellite artificiale Opel 311. Così, anche quando non ci sarà più nessuno si potranno rilevare dati preziosissimi. E una zona molto interessante, questa, però i violenti cicloni magnetici che si scatenano spessissimo interrompono praticamente ogni trasmissione. Questa d'altronde è forse l'unica ragione che ha impedito di impiantare qui una stazione stabile. E se non fosse stato per il professore... Ha terminato Tenente? Vorrei tornare.

Durante il ritorno Wright rimase silenzioso.

"Deve essere turbato da qualche cosa" pensò Steve. Ma non disse niente: quando però giunsero alla stazione si diresse senza far motto verso l'Argus.

- Dove va, Tenente? - chiese un po' sorpreso Wright.

- A dare un'occhiatina dall'altra parte del crepaccio - rispose con calma Steve.

- Mi porta con lei?

- Mi dispiace, ma l'aereo ha un solo posto.

- Va bene, vuoi dire che mi troverà al mio lavoro nella stazione.

Mentre saliva sull'aereo Steve pensò che il segretario aveva bevuto benissimo la piccola bugia che gli aveva detto. Non che avesse qualche motivo fondato per non volerlo a bordo, ma preferiva essere solo. Comunque il caso sembrava così semplice che non sapeva perché si desse tanto da fare: forse era il suo istinto di detective, sempre desto, che lo spingeva a vedere la parte peggiore delle cose.

"Sciocchezze!" mormorò tra sé. "Bisogna che me ne vada da qui prima di cominciare a sospettare anche di Wright o Hansen."

Non ebbe difficoltà, volando a bassa quota e molto lentamente con i giroscopi in moto, a trovare il punto dove il professor Hughes era precipitato nel burrone: visto dall'alto il paesaggio era ancora più squallido e orrido di quanto pensasse. Il crepaccio si estendeva per una notevole lunghezza.

Dall'aereo vide quasi subito la macchia scura degli apparecchi e degli strumenti al di là del costone. Vi planò vicino: scese subito perché non si era neanche tolto lo scafandro, e del resto non ne valeva la pena, data l'esiguità del percorso.

Esaminò attentamente gli apparecchi: erano due cassette quadrate con antenna circolare che somigliavano più a due fonografi di vecchio tipo che a moderni strumenti di studio. Si volse per andare verso il ciglio del costone ma scivolò sul ghiaccio cadendo addosso alle due cassette.

- Maledetto scafandro - imprecò tra i denti - dovevo applicargli i tamponi da ghiaccio. - Alzandosi dolorante tentò di rimettere a posto gli strumenti; ma come si chinò rimase a bocca aperta per lo stupore. Le cassette, che erano aperte, erano vuote, completamente vuote.

Ma, e gli strumenti? La cosa era piuttosto strana. Proprio quella mattina Wright gli aveva accennato che erano stati collegati con Opel 311 via radio, ma lui invece poteva constatare che lì non c'era nulla del genere. Due semplici cassette vuote provviste di antenna e null'altro.

"Devo andare subito da Wright" si disse. Rimise a posto le cassette e salì sull'Argus. Girò la manopola del generatore primario e per la seconda volta in pochi minuti rimase di stucco: i motori non funzionavano più.

Furente e innervosito tentò tutti i controlli del cruscotto. L'aereo sembrava a posto: non riusciva a scoprire che cosa avesse, ma il generatore non si metteva in moto. Si tolse lo scafandro per essere più libero e penetrò nella parte posteriore, dove era installato il motore. Non ci mise molto a capir la ragione del guasto: il sensibilissimo tubo dell'ampère-vibratore che comunicava l'accensione ai generatori era scoppiato. - Chissà che gli è preso - borbottò accingendosi a riparare il guasto.

Cambiò il tubo e per evitare altri incidenti del genere, dato che mancava la calotta protettiva del complesso motore, lo avvolse strettamente con nastro ultra-armor. "Richard poi farà i conti con me" si disse mentre eseguiva il lungo e paziente lavoro.

Ci mise una ventina di minuti a terminare. Quando ebbe finito, tornò nella cabina e girò nuovamente la manopola del generatore primario: questa volta il mormorio sommesso e potente del motore si fece subito sentire. Soddisfatto, si accomodò nella sua poltroncina e accese le luci del cruscotto, ma stavolta poco mancò che saltasse fuori dalla sorpresa. Sul quadrante Radioattività la lancetta che avrebbe dovuto segnare 0 tremolava lievemente sul 12.

- Santo cielo! - esclamò stupefatto.

* * *

Quando lo vide entrare, Wright gli disse subito: - Ha fatto tardi! Mi stavo impensierendo. A momenti pensavo che fosse già partito.

- No, ho deciso di trattenermi ancora per oggi. Partirò domani presto.

- Trovato niente, Tenente? - La domanda gli era stata rivolta da Hansen che, seduto in una poltrona, era quasi completamente nascosto al suo sguardo.

- Niente, assolutamente niente. - Steve lo scrutò senza parere.

- Come pensavo - rispose tranquillamente Hansen, e si rimise a guardare le carte che aveva in mano.

Steve lasciò passare un conveniente lasso di tempo, poi con aria indifferente formulò una domanda: - Avete finito di imballare gli strumenti del laboratorio?

Fu Wright a rispondere: - Non abbiamo neanche incominciato. Hansen ha finito solo oggi di smontare lo specchio solare e domani incominceremo a sistemare gli strumenti. Del resto il razzo del Dipartimento arriverà solo tra nove giorni, gliel'ho già detto.

- Mi piacerebbe visitare il laboratorio - disse Steve, come se la cosa non lo interessasse gran che.

- Ma sicuro! - Questa volta aveva parlato Hansen. Depose sul tavolo quello che stava esaminando e gli disse: - Venga pure con me.

Aprì la porta del laboratorio e introdusse il giovane in una vasta sala, senz'altro la più spaziosa della Stazione, che conteneva molti apparecchi per lo più addossati alle pareti e pieni di quadranti e manopole.

- Non tocchi nulla, mi raccomando - avvertì Hansen, poi proseguì: - Quella strana macchina in fondo serve per controllare l'andamento dei cicloni magnetici. Purtroppo non siamo riusciti a capire l'origine di certi disturbi che si verificano sul Titano e nelle zone spaziali circonvicine. Mentre invece...

- E quell'arnese lì cosa è? - chiese interrompendolo Steve.

- Quello? ah, è un Geiger, un rivelatore di radioattività. Uno strumento comune ormai, che tutti dovrebbero conoscere, benché questo sia un tipo molto moderno e sensibile, di forma inusitata.

Riprese a illustrare i vari apparecchi e strumenti, poi rendendosi conto che Steve lo ascoltava con aria annoiata, terminò bruscamente dicendo: - Non c'è niente di interessante per un profano, qui. E' meglio che ce ne andiamo a far colazione, ora.

Uscirono dal laboratorio: Wright, che sembrava essere anche il cuoco della Stazione, stava preparando il caffè in un curioso fornelletto elettrico. Dopo qualche minuto, alzandosi, Hansen disse: - Se permette, io torno fuori a sistemare i pezzi smontati dello specchio solare. Vorrei terminare in un paio di ore.

Andò a mettersi lo scafandro e si allontanò muovendosi lentamente sulla superficie ghiacciata. Steve lo seguì per un poco con lo sguardo dalla finestra, poi si volse e, preso un libro da uno scaffale, si sedette in una poltrona immergendosi nella lettura.

Wright lo interruppe: - Se cercasse di me, io esco qualche minuto per verificare l'impianto illuminante all'esterno.

Steve annuì, distrattamente, come se fosse troppo preso dal libro che stava leggendo per prestare soverchia attenzione. Però appena Wright fu uscito balzò rapidamente in piedi, aprì la porta del laboratorio e si diresse verso il contatore Geiger.

Tenendolo a tracolla, andò verso la camera stagna e passò rapidamente il captatore dello strumento sui ganci dove si appendevano gli scafandri. Sostò particolarmente su quelli di Wright e di Hansen, osservando attentamente la lancetta del contatore.

Poi, con la stessa rapidità con la quale si era mosso, ritornò al laboratorio, rimise l'apparecchio a posto e tornò nella sua poltrona. Aveva ancora qualche minuto di tempo. Estrasse da una tasca della tuta l'incartamento Hughes e rilesse qualche pagina con molto interesse. Un lieve sorriso gli si delineò sulle labbra: molte cose cominciavano a chiarirsi. Riprese il libro e cominciò ad attendere che Wright e Hansen tornassero.

* * *

Più tardi, dalla poltrona dove aveva passato quasi l'intera mattinata mentre Wright preparava il pranzo e Hansen lavorava nel laboratorio, Steve si alzò e disse: - Domani mattina parto. Vado a preparare l'astroaereo.

- Faccia presto - rispose Wright - noi l'aspettiamo, Tenente.

- No, pranzerò più tardi - fece Steve scrollando il capo. - Voglio provare per qualche minuto l'aereo. Stamane mi si era fermato il motore. A proposito, può prestarmi una scatola a chiusura ermetica? Anzi - continuò - ripensandoci meglio, me ne dovrebbe dare due.

Wright lo guardò sorpreso: - Come le vuole? - disse solamente.

- Oh, bastano anche piccole. Devo fare un piccolo esperimento.

Wright andò nel laboratorio e ne tornò quasi subito recando due recipienti in plastica con chiusura ermetica e un beccuccio da una parte.

- Il beccuccio è chiuso - spiegò - serve per controllare il contenuto della scatola.

- Proprio quello che volevo - disse Steve soddisfatto. Le mise in una reticella e andò ad indossare lo scafandro.

Wright lo seguì con lo sguardo. Lo vide sparire nell'astroaereo che un momento dopo si innalzava con una scia di fuoco.

Hansen entrò in quel momento: - E' pronto? - chiese. Poi, guardandosi intorno aggiunse: - Dov'è Flashes?

- Oh - rispose con noncuranza Wright - sta provando l'aereo. Domani mattina parte.

Hansen sogghignò: - A mani vuote eh?

- Sembra - rispose laconicamente Wright.

Pranzarono in silenzio. Era passata circa una mezz'oretta, quando videro accendersi la lampada rossa e la suoneria gracidò.

- Eccolo di ritorno - mormorò Hansen.

Passò qualche minuto.

- Che diamine sta facendo di là! - sbottò Wright; pareva diventato nervoso.

Si alzò avviandosi verso la porta, ma questa si aprì e Steve entrò sorridendo. In mano reggeva con precauzione le due scatole.

Hansen, che ignorava la storia della scatole, esclamò meravigliato: - Che diamine sono? - Una trappola - rispose allegramente Steve. I due si guardarono in viso stupefatti, Steve continuò:

- Signor Hansen, stamattina, nel visitare il laboratorio, mi ha indicato uno strumento per la misurazione della composizione dell'aria. Le dispiacerebbe prenderlo un momento?

Hansen guardò curiosamente il giovane e gli chiese: - Si può sapere che ha in mente?

Steve rispose seccamente: - Non si preoccupi, ingegnere. Faccia per favore quello che le chiedo.

Stupito dall'improvviso modo di fare di Steve, Hansen andò senza dire parola nel laboratorio e ne tornò quasi subito con un cilindro grosso quanto un braccio che portava a una estremità uno strumento di misura.

- Che devo fare? - chiese bruscamente.

- Mi controlli il contenuto di questa scatola - fece l'agente

Storcendo il labbro in una smorfia di rassegnazione, Hansen applicò un tubicino al beccuccio della scatola, lo collegò al cilindro e girò lievemente una chiavetta. Osservò attentamente i movimenti della lancetta dello strumento spostando varie manopole, Poi voltandosi verso Steve disse:

- Né più né meno che aria, come quella che stiamo respirando adesso qui dentro.

- Esatto. Infatti proviene proprio da qui dentro.

A questo punto Wright lo interruppe.

- Senta Tenente, la smetta, per favore, con i misteri e con quelle scatolette, e ci dica che cosa significa tutto questo.

Steve sorrise: - Ma certo. Accomodatevi, prego. Ciò che debbo dirvi è abbastanza lungo.

Diede l'esempio stendendosi comodamente in una grande poltrona.

Hansen e Wright lo imitarono senza dir parola, limitandosi a guardarlo fissamente.

- Quello che voi chiamate giochetto - cominciò Steve senza preamboli - non è altro che una prova: la prova che mi occorreva per sincerarmi di una cosa. - Fece una pausa guardando gli altri due.

- Il professore Hughes - riprese - non è stato vittima di una disgrazia. E stato invece assassinato.

Wright saltò in piedi furioso: - Lo dimostri, perdio! E' pazzo?

Hansen si limitò a sorridere e mormorò: - Continui pure Tenente, è molto interessante.

- Confesso che l'idea non mi era neanche passata per la mente - riprese Steve pacatamente, senza curarsi dell'effetto delle sue parole - finché non feci una scoperta casuale. Anzi furono due le scoperte casuali. La prima mi portò a conoscenza del fatto che le pretese scatole degli strumenti di registrazione collegati con Opel 311 erano vuote. Trovai infatti gli strumenti funzionanti regolarmente, a una ventina di chilometri dal posto dove dovevano essere. Lì per lì non capii il perché della faccenda: che scopo c'era a spostarli? Poi feci la seconda scoperta. Quando provai a risalire sull'Argus per ripartire, scopersi che era scoppiato il tubo dell'ampère-vibratore. Come poteva essere successo? Mi ricordai che il meccanico aveva detto, alla mia partenza, che per mancanza della calotta anti-radiazione non poteva montare i generatori atomici. Capivo che c'era qualche relazione tra i due fatti, ma non riuscivo a scoprire quale. La rivelazione me la diede lo strumento di radioattività, che mi indicò a bordo una radioattività di ben 12 C.R.! Non appena mi allontanai con l'aereo, la radioattività decrebbe quasi istantaneamente. Ecco la causa della rottura del tubo. Mi ero posato nientemeno che su un giacimento di uranio, ricchissimo e in superficie. E questo spiegava perché gli strumenti non fossero al loro posto. Era logico: avrebbero segnalato le radiazioni del giacimento e ne avrebbero subito permesso la identificazione.

"Ciò premesso, era facile capire che qualcuno aveva interesse a non far scoprire il giacimento. Questo qualcuno lo aveva saputo dal professor Hughes, che lo deve aver scoperto forse casualmente. Incidentalmente, si spiega anche perché il povero professore si irritasse tanto nel vedersi arrivare quaggiù funzionari del Dipartimento. Temeva che alla notizia della scoperta dell'uranio calassero a sfruttare il giacimento, e interrompessero così i suoi studi. Voleva terminarli prima di darne notizia.

"D'altra parte chi poteva avere interesse a far venire alla stazione un funzionario del Servizio? La sparizione della pistola termica di uno degli agenti sta a significare che soltanto l'assassino poteva avvantaggiarsi di quella visita. E per questo l'assassino doveva essere una persona bene al corrente delle abitudini del Dipartimento, quale quella di far sempre scortare i propri funzionari da agenti armati.

"Certo, era un rischio. Ma si poteva sempre dire che la trasmissione era stata mal ricevuta. Vero, ingegner Hansen?

- Ciò che sta raccontando mi lascia completamente indifferente, Tenente. Vuole per favore provare le accuse che sta lanciando?

- Egregio ingegnere: il problema che dovevo risolvere era questo. Se il professor Hughes fu assassinato, come agì l'assassino? Sono andato quindi a esaminare il punto dove il crepaccio si era spezzato. Sui bordi ho trovato degli aghi di ghiaccio sottilissimi, dalla strana forma. Li ho prelevati e messi in queste due scatole che lei vede.

- Una scoperta interessantissima - esclamò sarcasticamente Hansen. - Tutto il pianeta è completamente coperto di ghiaccio, e lei ne scopre dell'altro. Via Tenente, non sia ridicolo.

- Lei può insegnarmi, ingegnere, che il ghiaccio dal quale è ricoperta l'intera superficie di Titano è composto quasi esclusivamente di metano e ammoniaca, che formavano un tempo l'atmosfera di questo posto, e ora giacciono al suolo condensati. Se quindi gli aghi da me trovati sul bordo del crepaccio fossero stati frammenti del cornicione, lei non avrebbe dovuto trovare aria respirabile in quelle due scatole, ma metano e ammoniaca. Che cosa sono in realtà quei frammenti? Aria, aria sfuggita dallo scafandro del professor Hughes quando un pesante blocco di ghiaccio gli cadde addosso, sfondandoglielo. E evidente che ciò sarebbe potuto accadere soltanto in fondo al precipizio, se le cose non fossero andate in questa maniera.

"Questo poteva averlo fatto soltanto lei, ingegnere. Solo lei, quando avvenne la disgrazia, della quale conosciamo l'ora precisa, era fuori della stazione, o per lo meno non aveva un compagno accanto.

Hansen tentava di sorridere ma i suoi occhi lanciavano cupi lampi.

- E quale sarebbe stato, secondo lei, il motivo della mia condotta per lo meno stranissima?

La risposta di Steve Flashes fu pronta. - Due motivi. Il primo, uccidendo il professore e spostando gli strumenti, occultare la notizia che un ricchissimo giacimento di uranio esiste a portata di mano su Titano. Il secondo, evitare che, completando i suoi studi sui cicloni magnetici, il professor Hughes riuscisse a scoprire la maniera di neutralizzare i disturbi da essi provocati durante le trasmissioni. Questo avrehbe reso possibile l'impianto di una stazione spaziale e reso inutile il suo progetto, Hansen.

- Quale progetto? - chiese Wright con voce strozzata.

- Quello di tornare con comodo su Titano, tra uno o due anni, e sfruttare con calma il giacimento di uranio, di quel prezioso uranio che le industrie terrestri pagano più che a prezzo d'oro. Lei, ingegnere, è stato un valente tecnico minerario e...

- Attenzione! - urlò Wright.

Hansen si era alzato con una agilità insospettata in una persona della sua età e con un balzo aveva raggiunto la porta della camera di decompressione. Flashes e Wright arrivarono troppo tardi e i loro pugni incontrarono l'acciaio della solidissima porta.

- Fuggirà con il suo astroaereo, Tenente! - disse angosciato Wright. - Oppure può distruggere la stazione. Non dimentichi che dovrebbe avere da qualche parte una pistola termica.

Steve non rispose: senza dire una parola andò verso la finestra che guardava lo spazio in cui era atterrato.

- Guardi, Wright - disse solamente.

Sul ghiaccio barcollava, procedendo lentissimamente, una piccola figura chiusa nello scafandro. Steve la fissò, affascinato. D'un tratto la figura agitò le braccia e si abbatté al suolo, distesa.

- Che succede? - domandò pallido Wright.

Steve Flashes si guardò accuratamente le unghie: - Prima di rientrare ho vuotato quasi completamente i serbatoi degli scafandri.

E crollando il capo andò verso la radio.

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