Poseidon, remake dell’omonimo film del 1972 diretto da Ronald Neame è l’ultima fatica multimilionaria diretta da Wolfgang Petersen, autore di capolavori del cinema di genere come U-Boot 96, Nel centro del mirino e Il mio nemico, nonché di pellicole visivamente interessanti ed avvincenti, ma meno riuscite sotto il profilo narrativo come Air Force One, Troy e La tempesta perfetta.

Interpretato da Josh Lucas, Kurt Russell, Richard Dreyfuss e dalle attrici Emmy Rossum, Mia Maestro e Jacinda Barrett, Poseidon è stato girato interamente negli Studi della Warner Bros a Los Angeles, allagati per oltre cinque mesi da una massa enorme di acqua e detriti.

Lei ama sempre sfidarsi, complicandosi la vita: perché?

E’ la stessa cosa che mi chiede sempre mia moglie. In realtà quello che mi interessa è condurre il pubblico verso mondi che non hanno mai visto prima. Entrare in un mondo sconosciuto è una grande avventura: per me è sempre stato così sin da quando ero bambino e andavo a vedere al cinema i film americani. Era come esplorare la vita in mondi che non conoscevo. Così oggi come regista cerco di fare lo stesso creando universi che abbiano una base reale per poi diventare delle grandi avventure. In altri miei film come La storia infinita era più facile che soprattutto i ragazzi potessero scomparire. Questo è per me il cinema: non importa si tratti di film di fantascienza oppure epici come Troy. L’essenziale è potere far fare un viaggio.

In modi sempre differenti…

Creare questi mondi è sempre più difficile. Il pubblico è sempre più sofisticato e la ricerca visiva di noi registi è sempre più complessa. Dare vita a film che ti sorprendano non è mai stato così difficile. La mia sfida personale è – come cineasta – quella di accettare sfide apparentemente impossibili come Troy. Quando ho letto la sceneggiatura per la prima volta mi sono detto: “Ma chi può fare qualcosa del genere?” Poi, però, in me emerge l’ambizione di plasmare quel mondo e di portarlo sullo schermo.

Perché Poseidon?

Quando ho visto il film originale che avevo molto apprezzato trent’anni fa al cinema mi sono detto quanto – rivisto oggi – sembrasse semplice ed essenziale. Bisognava ricominciare daccapo e dare allo spettatore l’idea di un disastro gigantesco che coinvolgesse davvero 4000 persone.

Dopo U-Boot 96 e La tempesta perfetta perché un altro film sull’acqua?

Ho sempre amato i registi che affrontano nel loro cinema situazioni estreme come la guerra o i disastri naturali in cui le persone sono tirate fuori dalla loro vita normale e messe dinanzi ad eventi straordinari. Situazioni in cui l’apparenza che domina la nostra vita viene riportata all’essenzialità: dove non puoi mentire agli altri, né a te stesso. L’acqua è una delle forze più dirompenti della natura: è qualcosa di incontenibile e potente. Le storie che hanno a che fare con la forza dell’acqua sono per loro stessa natura estreme e meravigliose da raccontare. In Poseidon il muro di acqua che fa capovolgere la nave è un po’ come la mano di Dio che sconvolge il mondo. Tutte le persone ben vestite così vedono sconvolte la propria vita e si trovano tutte sullo stesso piano: quello che conta in questi casi è soltanto la possibilità di sopravvivere. Poseidon, per me, rappresenta la metafora del mondo di oggi: un pianeta sottosopra, sconvolto dal terrorismo e da disastri come lo Tsunami in cui la sopravvivenza del genere umano è diventata di primaria importanza. Basta pensare all’11 settembre: le persone erano andate alle Torri Gemelle per lavorare e – ad un certo punto – tutto è stato stravolto da eventi imprevedibili. Una metafora importante da utilizzare, ma in un film che non sia un documentario…

Spesso nei suoi film come Il mio nemico o Troy abbiamo un conflitto tra i due protagonisti che poi diventa rispetto o amicizia addirittura…

Questo perché io sono molto romantico. Alla fine dei conti credo sempre che le persone siano meglio di quello che crediamo. L’antagonismo diventa qualcos’altro. Per me è il mio modo di offrire uno sguardo positivo sull’umanità: se le cose vanno malissimo credo che le persone siano in grado di tirare fuori il meglio di loro stesse, diventando perfino amiche tra loro. Anche in Poseidon sebbene Kurt Russell e Josh Lucas siano ostili all’inizio, verso la fine del film dimostrano di rispettarsi e di essere diventati quasi amici.

Come ha scelto i personaggi che devono morire?

Basandomi sull’effetto sorpresa: devo dire che Richard Dreyfuss, ogni settimana, mi chiedeva di morire sullo schermo. Per me era troppo facile che un aspirante suicida volesse morire, ma Richard è un attore consumato e sa che se uno muore in un film resta nel cuore del pubblico. Io, invece, consideravo ironico e interessante che proprio un suicida rimanesse vivo e vegeto dopo avere combattuto per sopravvivere…

In U-Boot 96 il capitano del sottomarino dice al giornalista di non fotografare i marinai alla partenza, ma al ritorno. Quando il reporter gli chiede perché lui risponde: “Perché avranno la barba…”. Si può dire che – in nuce – questa frase contiene l’essenza del suo cinema?

Lei ha assolutamente ragione! E’ proprio così e sono molto contento di questa sua osservazione: il mio cinema è proprio questo. Un mio film è soprattutto un viaggio con una partenza e una fine. Si parte in uno stato di innocenza e – alla fine – tutto è cambiato per sempre con i protagonisti che sono stati trasformati dal loro viaggio interiore. Spero che anche il pubblico – in qualche maniera – si senta cambiato da questa esperienza cinematografica. Poseidon è la metafora di un viaggio nella follia: guardate come sono i protagonisti all’inizio e guardate come sono stati trasformati alla fine: in poco tempo sono stati cambiati da ciò che hanno vissuto in situazioni così estreme. Quello che accade in genere in vent’anni di vita queste persone lo hanno vissuto in due ore di film. Ma – alla fine – il loro viaggio interiore è qualcosa che li ha segnati per sempre.