Questa volta ci occuperemo di Michael Moorcock, personalità multiforme, autore e curatore della mitica rivista inglese New Worlds, suscitatore di avanguardie. In questi ultimi anni, Moorcock è noto in Italia quasi esclusivamente come autore di fantasy, questo soprattutto per la pubblicazione da parte della casa editrice Nord del ciclo di Elric di Melniboné, ma se andiamo a vedere i suoi esordi sulla scena italiana, scopriamo che in effetti questi furono come autore di fantascienza. In questa puntata prenderemo in esame tre dei suoi romanzi pubblicati sulla rivista Galassia tra il 1970 ed il 1972. Si tratta di: Programma Finale (The Final Programme, 1968 ed.ital. Galassia 123), di Il Veliero dei Ghiacci (The Ice Schooner, 1969, ed. ital. Galassia 163), ed Il Corridoio Nero(The Black Corridor, 1969, ed. ital. Galassia 172).

Programma Finale uscito inizialmente su New Worlds sotto forma di racconti sparsi, è il primo (e l'unico edito in Italia) romanzo di una trilogia che ha per protagonista Jerry Cornelius, strano personaggio che ritorna spesso nell'opera di Moorcock, quasi come un jolly da giocare quando occorre, o come il nome e cognome di una mera funzione narrativa: l'eroe. Cornelius, con il nome storpiato in vari modi, compare infatti anche in alcuni racconti del ciclo di Elric, ed è stato usato ripetutamente da altri narratori che ruotavano intorno a New Worlds, tra cui Norman Spinrad. Il romanzo è ambientato in una Londra hippy ed in un mondo giunto ormai al completo collasso; non guerre, ma una pura e semplice decadenza che distrugge la civiltà. È in questo ambiente che si muove Cornelius, eroe drogato ed allucinato, uccidendo uomini con la sua fedele pistola ad aria compressa ed organizzando feste orgiastiche che durano mesi.Programma Finale si presenta come una parodia dei romanzi e dei film di 007, e questo è forse il suo problema maggiore, visto che generalmente le parodie invecchiano prima e peggio dei parodiati. Non solo, il ritratto mondo che esce dalle pagine del romanzo poteva forse risultare scioccante all'epoca della sua prima pubblicazione, non ora, quando la fantascienza venuta dopo, e la nostra stessa realtà ci hanno mostrato ritratti ben più veritieri di decadenza e crollo e le droghe chimiche sintetizzate dal fratello di Cornelius non sembrano in grado di rivaleggiare con il nostro crack. Quindi, pur se ancora godibile, il romanzo non può non apparire datato. A questo si debbono aggiungere anche alcuni svarioni nella traduzione italiana che non aiutano di certo il romanzo a sopravvivere.

Il Corridoio Nero è in un certo senso più classico, anche se questa parola ben difficilmente può essere riferita a Moorcock. Classico comunque, se si tralasciano alcuni tentativi di sperimentalismo tipografico tutto sommato fine a sé stesso. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una decadenza del mondo, ma al contrario di quella diProgramma Finale, qui è chiaramente identificabile l'elemento principale: la paranoia. Vigilantes, gruppi di fanatici, religiosi o maschilisti, il mondo sembra terminare in una guerra per bande di tutti contro tutti. È vero che più che altro Moorcock è interessato al ritratto della Gran Bretagna, dilaniata prima da lotte tra inglesi e scozzesi e gallesi, con accenni alla pulizia etnica, e successivamente investita da una follia xenofoba verso degli inesistenti alieni, ma da alcuni rapidi accenni, la pazzia sembra aver investito il mondo intero. Il romanzo si snoda su un doppio binario, da un lato i flashback sul mondo morente, dall'altro le vicende di Ryan, in fuga su un'astronave con la sua famiglia ed alcuni amici verso una nuova terra da colonizzare. Ryan, unico sveglio su una nave di ibernati, si trova a lottare contro la propria follia da solitudine. Il romanzo, anche se in un certo senso "risaputo" in quanto trama, si caratterizza per la presenza dello scavo psicologico dei personaggi e nella sapiente alternanza del vuoto della solitudine con il pieno delle scene di massa.

Il Veliero dei Ghiacci è probabilmente il più "tradizionale" dei tre. Siamo alla fine di un lungo periodo di glaciazione che ha investito il nostro pianeta. Una spedizione parte su un veliero che si muove sulla superficie gelata scivolando su dei pattini, per risalire l'America dal Mato Grosso verso nord, alla ricerca di New York, la mitica città sede della Madre del Ghiaccio. Forse più che di un romanzo di fantascienza dovremmo parlare di un romanzo di avventure marinare, persino troppo lineare nel suo svolgimento: i mugugni tra i marinai, ammutinamenti, l'antagonista in in combutta con il primo ufficiale per sobillare l'equipaggio, le forze stesse della natura che con bonacce e tempeste sembrano disapprovare la "cerca". In ogni caso, questo monumentale romanzo - 185 pagine stampate in corpo microscopico - si legge tutto d'un fiato perché Moorcock, pur utilizzando dei vecchi cliché è insuperabile nel piegarli alla narrazione, e nonostante il ghiaccio, sentiamo l'odore di salmastro di romanzi come Moby Dick. E va a merito dell'autore, l'aver preso come spunto del romanzo il momento del passaggio, quando le vecchie credenze iniziano ad incrinarsi e gli uomini si dividono in chi accetta il cambiamento e chi si rifugia nell'ortodossia, trasformando quindi quello che poteva essere un mero romanzo di avventure in uno scavo psicologico di ben diverso spessore, un viaggio dell'uomo all'interno delle proprie credenze, senza per questo appesantire minimamente la narrazione.