Lois, anzitutto grazie per avere concesso questa intervista. Una prima risposta la stanno aspettando tutti i fan italiani di Miles Vorkisgan: quando torneremo a leggere delle sue avventure in un romanzo lungo?

Miles si sta ancora godendo le sue meritate vacanze mentre gli altri lavori procedono. Io sono una scrittrice che procede un libro per volta, e al momento sono molto impegnata con un nuovo progetto fantasy che si sta sviluppando molto di più di quanto mi aspettassi. Ne parleremo più avanti.

Hai forse deciso di abbandonare la saga dei Vor?

Difficile dare una risposta. Molti autori hanno giurato di chiudere una serie solo per accorgersi, anni dopo, di avere comunque ancora qualcosa da dire. Perciò mai dire mai. Quello che so per certo è che per ora e fino all’anno prossimo non sto bollendo nulla in pentola per quanto riguarda Miles e i suoi amici, e questo per la semplice ragione che sto lavorando a dell’altro. Il sequel di The Sharing Knife per ora ha il titolo provvisorio di The Wide Green World, ma non so se rimarrà quello.

Perché hai deciso di passare dalla fantascienza al fantasy?

In realtà non ho mai considerato i generi come fossero separati, ma al contrario, come appartenenti a un continuum. Molti degli scrittori che riconosco come modello – Poul Anderson, C.J. Cherryh – si sono spesso mossi a loro volta avanti e indietro lungo lo stesso confine, e anche io ho pensato sempre di poterlo fare. Ricorda che la mia prima opera fantasy, in retrospettiva una sorta di lavoro minore, è stato The Spirit Ring, che risale agli anni ’90. Questo libro è ambientato in un piccolo ducato di un’Italia del Nord alternativa, in un mondo dove esiste la magia. Si tratta di un romanzo che è figlio della mia lettura dell’Autobiografia di Benvenuto Cellini, del De re metallica di Agricola, e di un libro di testo di folklore scritto agli inizi del Ventesimo secolo da un mio prozio accademico. Non ho la più pallida idea di quale impressione questo libro (il titolo italiano è Terra di Incantesimi, pubblicato da Urania nel 1994, ndr) possa suscitare presso i veri italiani, visto che all’epoca non potei controllare adeguatamente il manoscritto; ricordo però di essermi chiesta se avessi assegnato nomi immaginari alle classi sociali sbagliate, oppure se qualcuno dei miei nomi inventati potesse suonare strano all’orecchio di un italiano.La maggior parte degli scrittori di fantascienza e fantasy è appassionata di storia e, in maniera diretta o indiretta, convoglia voraci letture all’interno delle proprie opere. In ogni caso, anche se l’ispirazione era sotto l’influenza della storia della Spagna medievale, quando ho cominciato The Curse of Chalion (L’ombra della maledizione) sapevo che intendevo creare il mio mondo personale, e fare con la teologia cose piuttosto diverse rispetto a quanto una ricostruzione storica mi avrebbe permesso. Non potevo peraltro mettere in gioco delle divinità nel mondo fantascientifico di Miles Vorkosigan: si suppone che quell’universo discenda dal nostro, e quindi il soprannaturale non gli appartiene.

Come moda letteraria, la fantascienza sembra rimanere indietro rispetto al fantasy. E’ perché abbiamo tutti cominciato ad adorare incantesimi e maledizioni e la nuova frontiera dello spazio non ci seduce più?

Non sono sicura. Di certo, negli anni ’60, quando io ho cominciato a leggere fantascienza, potevo immaginare me stessa diventare astronauta o colono spaziale; non posso immaginarlo più ora, in parte perché sono passati gli anni, in parte perché è diventato chiaro che nel vicino futuro, o in quello facilmente prevedibile, estremamente pochi esseri umani riusciranno a muoversi nello spazio. In più, adesso è chiaro che non c’è altra vita da trovare nel nostro sistema solare, e questo ha freddato un po’ gli entusiasmi. Lo spazio è diventato funzionale, pratico, piuttosto che un rifugio per i romantici.

Qual è la giornata tipica della scrittrice Lois? Come ti viene l’ispirazione e poi: ti definiresti una scrittrice ‘ordinata’ o ‘caotica’? Mi spiego meglio: per scrivere un romanzo fai prima un canovaccio, oppure segui uno schema nella tua mente?

Per come mi viene in mente, uso una sorta di tecnica del copione cosiddetto ‘rotolante’. Mi applico cioè a una sezione alla volta, perché questo è quello che mi consente il mio cervello. Comincio con il lavorare a idee per una storia da ogni fonte possibile e immaginabile – altre letture, la storia, il cinema, la televisione, mie esperienze di vita, discussioni con amici circa idee o altri libri. Quando i miei occhi o il mio cervello bruciano per il troppo leggere, amo fare ricorso a tutti i DVD no-fiction che posso prendere in prestito dalla libreria di quartiere: scienze, viaggi, storia. A un certo punto tutto questo lavoro fa sprigionare la scintilla oppure si coagula intorno a un personaggio, o dei personaggi, il loro mondo, e alla situazione che apre un romanzo; alle volte, ma non sempre, anche a una pallida idea della fine. Così, comincio a prendere appunti a matita su un bloc notes. Quando ne ho raccolto quaranta o cinquanta pagine, comincio a vedere come potrebbe cominciare la storia.A questo punto preparo un’ampia sezione a canovaccio, che io chiamo ‘orizzonte degli eventi’, che raccoglie quanto mi sento di poter scrivere finché devo fermarmi e inventare dell’altro.In genere ciò corrisponde a uno o tre capitoli. Mi creo quindi un’immagine mentale di quali scene dovrebbero andare nel prossimo capitolo e le sviluppo, finché non si incastrano in sequenza. Poi prendo la scena successiva e l’abbozzo con cura, diciamo una specie di brutta copia. Mi dedico con attenzione specialmente ai dialoghi. Quindi esporto questi appunti sul computer e scrivo la scena vera e propria. Successivamente, ripulisco e ripasso finché non arrivo a fine capitolo, e con il cervello finalmente libero di occuparsi d’altro, passo al prossimo livello, ricominciando ad abbozzare. Ogni scena che scrivo potenzialmente può cambiare quello che succede dopo, o perché un personaggio fa qualcosa di inaspettato, o per via del mio punto di vista più chiaro su ciò che ora è nero su bianco. Così continuo a rifare il canovaccio tutto il tempo.