Brainhope lo guardò. — Lo Specchio? — chiese.— Questo è il punto. Mi ascolti: nessuno è mai riuscito a vedere lo Specchio, come lei sa. Eppure nessuno dubita che ci sia davvero. Altrimenti lei non sarebbe qui.Fece una pausa, durante la quale sorseggiò un liquido verdastro, ghiacciato, da un calice a bulbo.— Se lo desidera — riprese — quest’oggi la porterò a vedere la Stele.

Brainhope annuì. Poi i suoi occhi si fecero assenti.

La Stele era il centro, l’inizio di tutto, l’incubo ricorrente delle sue notti. — L’essenza di tutte le cose, cristallizzata per sempre nella pietra — mormorò, parlando a se stesso.

— Come ha detto? — disse Peenemunde.

Brainhope si riscosse. Posò il bicchiere vuoto.

— Mi scusi. Nulla d’importante. Pensavo a una favola, una mia illusione.

Si volse ancora al lontano tetraedro fulgido, sfaccettatura nel mare argenteo.

— Di quanto tempo ho bisogno per acclimatarmi? — domandò.

— Direi circa sei settimane. Intorno alla media solita. So che lei si è preparato a lungo sulla Terra, prima di rivolgersi a noi. Dipende dal suo fisico, da come lei sosterrà i nostri ultimi esercizi, dal modo in cui reagirà al clima. Non meno, comunque. — Si avvicinò, squadrò il viso di Brainhope. — Si sente stanco, per caso?

— No.

— Molto bene. Capita spesso il contrario. Non sembra, ma il viaggio è molto faticoso. E il caldo debilita gli organismi terrestri.

Il sole, colossale, era allo zenit. I contorni della Piramide sfocavano nella finestra, si confondevano, scivolavano via. Non era possibile fissare a lungo il deserto, anche dietro la protezione di filtri e schermature, i riflessi facevano lacrimare gli occhi, ogni cosa appariva liquefatta. L’aria stessa colava in lunghe strisce fluorescenti, s’incanalava in ruscelli di fuoco liquido rivolti dalla sabbia verso l’alto.

— Più tardi vorrei vederla da più vicino — disse Brainhope.

— Certamente.

La cupola che conteneva la Stele era immensa. Peenemunde vi portò Brainhope nelle ultime ore di quel pomeriggio, durante il periodo riservato alle razze respiranti ossigeno, quando già la temperatura stava calando al di sotto dei cinquanta gradi.

Entrarono da un ingresso laterale riservato agli Scalatori. Altrimenti avrebbero dovuto attendere più di un’ora. Gli altri accessi erano intasati dai turisti.

La Stele si ergeva nei suoi cinque metri di altezza al centro del lato piatto di un ampio semicerchio; una barriera magnetica a una decina di metri di distanza la divideva dal resto del salone. Una seconda barriera, concentrica alla prima, teneva separati i visitatori comuni. Lo spazio tra le due, indicato da sottili cordoni di seta, formava un’intercapedine di alcuni metri, nella quale Brainhope camminò fino a portarsi proprio di fronte al monolito. Era l’unico Scalatore presente. Con la coda dell’occhio, vide diverse mani che lo indicavano, colse di sfuggita evanescenti lampi all’infrarosso rivolti a lui, fotografie, souvenir per qualche turista. Sorrise debolmente. La Stele era illuminata su ogni lato da potenti fotocellule. Gli spigoli si mutavano in lunghe e sottili lamine iridescenti, le iscrizioni diventavano brillamenti contorti.

Brainhope conosceva quell’immagine a memoria: sulla Terra aveva passato giornate intere a scrutarne le riproduzioni olografiche. Ma essere lì era tutta un’altra cosa. I simboli erano impressi in rilievo sulla superficie. Apparivano completamente alieni. Pure, erano stati decifrati in meno di un anno e si prestavano facilmente alla traduzione in qualunque linguaggio galattico.

In effetti, i primi a scoprire la Stele e a interpretarla erano stati i Granchi di Vega, il cui alfabeto era totalmente dissimile da quello terrestre.

Brainhope lasciò che la mente e lo sguardo vagassero intorno ai caratteri, ne seguissero gli anfratti e le curve, cercando invano di associare a ciascun ideogramma il suo corrispondente significato. Il monolito aveva svelato la funzione della Piramide. Aveva dato il via a tutto quanto. Anche nel suo caso, quelle poche semplici frasi avevano avuto il potere di modificare radicalmente la sua vita. Mentre osservava la Stele, Brainhope non avvertiva lo scorrere del tempo. Intuiva a malapena il brusio persistente alle sue spalle. Si accorse appena di quando Peenemunde gli parlò.

— Siamo vicini al termine del nostro periodo — gli disse l’ometto, posandogli una mano sul gomito. — Potremo tornarci, se vuole.

Brainhope guardò ancora la Stele, vecchia quattro milioni di anni, formata dello stesso materiale della Piramide. Appariva scavata in un cristallo purissimo.

— No, non sarà necessario — disse. — È sufficiente così.

Si avviarono. Fuori era buio. Faceva caldo, ma l’aria, adesso, sembrava solamente tiepida. La sabbia luccicava debolmente, come fosse una piana d’argento radioattivo. Salirono sullo Scarabeo mobile. Dalle uscite, illuminati da lampade azzurre, sciamavano turisti di ogni razza, infagottati in tute di foggia strana, alcuni di essi goffi e impacciati per la gravità differente.

— Dove saranno i suoi costruttori, ora? — chiese Brainhope, più per se stesso.

Peenemunde si limitò ad alzare le spalle.