– Potrò dirglielo... fra un secondo, signore – rispose uno di essi, un colonnello dei servizi informatici con i capelli grigi. Stava armeggiando con il suo computer da tasca, battendo le palpebre nella radiazione luminosa emanata dallo strumento. – Non so quanto sia lungo questo tunnel... e non conosco l’esatta ubicazione del quartier generale. Ma ho già percorso questa tratta, e di solito impiegavamo poco più di tre ore per arrivare a destinazione. Se inserisco il tempo trascorso fino all’incidente, la velocità a cui stavamo andando e detraggo i valori dovuti alla decelerazione... – La sua voce divenne un borbottio, e Pere aspettò con impazienza, senza però muoversi. Aveva bisogno di quell’informazione, prima di potersi concentrare sulla mossa successiva.

– Mancano tra i sessanta e gli ottanta chilometri, al quartier generale, signore. Questi sono i diagrammi di calcolo, e se devo dare il mio parere, credo che siamo più vicini ai settanta.

– D’accordo. Voglio due volontari, tu e tu. Portatevi nella parte anteriore della vettura e controllate se è possibile aprirsi un varco fra i detriti. Quello che dobbiamo fare è cercare di passare oltre e continuare a piedi. La nostra presenza al quartier generale si fa sempre più necessaria, se il nemico è capace di colpirci così vicino alla base.

Quell’ultima considerazione l’aggiunse per dare morale ai suoi uomini: i corsi di addestramento raccomandavano sempre di sfruttare il tocco umano, quando possibile. Soprattutto in situazioni al di fuori del normale. E quello era senz’altro un modo inusuale, oltre che non troppo promettente, per dare inizio al suo primo comando. Lanciò un’occhiata ansiosa nelle tenebre. Dovette sforzarsi per tenere lontano la preoccupazione dal tono della voce, mentre impartiva gli ordini per far radunare tutte le scorte di cibo e di acqua.

Quando ebbero terminato, Pere mandò il suo attendente ad aiutare i due uomini che stavano scavando fra le macerie che ostruivano il tunnel. Un robot valeva come dieci uomini, per quel genere di lavori.

(…)