aneddoti di

Vittorio Curtoni

Memories of green La sindrome da dibattito


Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Sono quasi in partenza per Camerino, dove l'11 novembre si svolgerà (si sarà svolto quando qualche anima pia mi leggerà su DELOS) un convegnetto organizzato da un'amica della mailing list di fantascienza, Maria Concetta De Vivo: un pomeriggio/serata con proiezione di un paio di film e, dalle 17 alle 19.30 circa, rituale incontro con gli ospiti. Che nell'occasione saranno Maurizio Carità, Vittorio Catani, Valerio Evangelisti, Claudia e Giovanni Mongini, e il sottoscritto. L'idea generale sarebbe parlare di fantascienza a un pubblico di giovani studenti universitari, dialogare con loro, stimolarli se possibile a interessarsi al genere. Nobili intenti che spero vivamente troveranno realizzazione concreta nella giornata. E' quello che ci si augura sempre quando ci si mette in movimento per cose del genere, anche se debbo confessare che una delle mie grandi molle segrete è la prospettiva di trascorrere un po' di ore in compagnia di amici carissimi sparsi qua e là per l'Italia, coi quali nel corso di un anno ci si vede solo sporadicamente; lo stesso identico motivo che mi spinge a migrare a Courmayeur ogni due anni e che, in tempi recenti, mi ha sollecitato a mettere in piedi le CurtoniCon per radunare a casa mia qualche pecorella del gregge fantascientifico italiano.

Di convegni, dibattiti, tavole rotonde ho lunga pratica. Probabilmente troppo lunga e troppo intensa, se debbo dire la verità. A volte ci rifletto su e mi chiedo: Ma quale malsano impulso mentale, quale deviazione patologica può spingere qualcuno a organizzare un convegno? E qualcun altro a parteciparvi come relatore? E chi lo sa? Io di certo non l'ho mai capito. Anche se innumerevoli volte mi sono trovato seduto a un tavolo, a concionare davanti a un microfono (questo è un optional, dipende dalle situazioni), e molte altre volte sono invece stato seduto tra il pubblico, ad ascoltare prima e poi a porre qualche domanda, trascinato dall'impetuosa meccanica di questo rito che, debbo ammetterlo, qualcosa di travolgente lo ha. Così come, per tanti anni, sono stato frequentatore terribilmente assiduo dei cineforum, un'istituzione che pare ormai precipitata nel dimenticatoio ma che io mi trovo non di rado a rimpiangere a calde lacrime. Dev'essere una specie di morbo, un'infezione virale: la sindrome da dibattito. E per questo virus, a quanto mi risulta, nessuno ha scoperto un antibiotico efficace. Tant'è che siamo ancora qui a parlarne e a prepararci per un nuovo inverarsi dell'antica magia. Davvero molto fantascientifico. E non scherzo.

Scavando nei miei ricordi, l'evento migliore che rimembri si è svolto a Parma attorno alla metà degli anni Ottanta (sorry, la data esatta mi sfugge. Sono troppo disordinato nella mia gestione del tempo). Un qualche dipendente delle biblioteche pubbliche parmensi si era accorto che i libri chiesti in lettura dai giovani con maggiore frequenza erano romanzi horror, e scattò la scintilla: le biblioteche stamparono un catalogo ragionato di tutto l'horror disponibile presso loro (catalogo assai ben fatto, salvo qualche bizzarra inclusione), allestirono un'intera settimana di proiezioni gratuite di film horror (due pellicole per sera in un cinemino di quartiere deliziosamente old style), e organizzarono un lungo pomeriggio di dibattito. Giuseppe Lippi, che avrebbe dovuto concionare con me, si defilò all'ultimo minuto perché colpito da una potentissima influenza; a parlare restammo io e una simpatica signora arrivata da Roma, una critica cinematografica della quale ho dimenticato il nome, preparatissima e accattivante. Lei disquisì di cinema, io di libri, in una saletta piena zeppa di pubblico, circondati da computer sui quali scorrevano le immagini di Shining. Alla fine, il diluvio di domande fu iper-abbondante, tanto da dovere concludere con una certa fretta perché si era ormai fatta l'ora di cena. Tutti contenti, soddisfatti, e gratificati. Perché, in sostanza, il vero segreto per la riuscita di un dibattito, o meglio la magia che non sempre si viene a produrre, è semplicissimo: occorre la presenza di un pubblico interessato al tema. Se manca quello, hai voglia a chiamare relatori in gamba.

L'apatia generale dominerà l'ambiente, gli spettatori saranno scarsi (non di rado, ahimè, poveri cristi reclutati tra i parenti degli organizzatori, gente costretta a soffrire in silenzio per il bene della pace in famiglia), si respirerà una mefitica aria di disinteresse e anzi viva scocciatura. Troppo spesso, da quel che ho visto, si butta in piedi un convegno solo perché un ente, un'istituzione, un club o quel che è hanno necessità di produrre un minimo di iniziative nel corso dell'anno; ma se manca l'anima, la vera partecipazione, ci si ritrova nel gelo polare.

Come accadde al sottoscritto e a parecchi altri nell'aprile del 1982, nel corso di quella che è stata senz'altro la mia esperienza più catastrofica in quest'ambito. Oltre tutto, si trattava di un tour strutturato sull'arco di tre giorni, in tre località diverse, Udine, Monfalcone, e Trieste. A Trieste, debbo subito precisare, le cose andarono bene, suppongo perché eravamo ospiti del celebre cineclub La Cappella Underground che contava tra i suoi soci molti appassionati di sf (e Trieste, comunque, è sempre stata una sorta di epicentro periferico del fandom italiano); ma per il resto... Il cast dei relatori era piuttosto fitto (Danilo Arona, Giuseppe Festino, Giuseppe Lippi, Giovanni Mongini, e me; a Monfalcone si unirono a noi Franco Storchi e Karel Thole), e a Monfalcone era stata allestita, in concomitanza col nostro arrivo, una notevolissima mostra di pubblicazioni e illustrazioni (donde la presenza di Festino, Storchi, e Thole). Insomma, le intenzioni erano ottime; però il risultato concreto fu che nel cinematografo di Udine nel quale era previsto il dibattito si presentarono sette spettatori, e nell'elegante saletta di Monfalcone ne arrivarono ancora meno, tre o quattro, fatti salvi gli immancabili parenti degli organizzatori. Una situazione davvero deprimente, tanto che a Monfalcone, infischiandomene del discorsetto che mi ero preparato, quando fu il mio turno di concionare, andai a braccio e mi misi a parlare (non lo dimenticherò mai) dell'uomo invisibile, intendendo con ciò non il protagonista del romanzo di Wells ma me stesso e, per traslato, i rari operatori professionisti della fantascienza in Italia. Chi ci vedeva? Chi si accorgeva della nostra esistenza? Nessuno, a giudicare dalla consistenza del pubblico lì presente.

La strategia adottata in quella occasione fu geniale: un relatore per volta raggiungeva il tavolo e si metteva a parlare, sicché gli altri relatori, che non erano pochi, formavano il cinquanta per cento circa (vado a spanne) del pubblico. Poi c'era un trenta/trentacinque per cento formato da organizzatori e loro parenti, e un quindici/venti per cento di pubblico reale. Boy. Stavo lì a discutere dell'uomo invisibile che ero io, come lo erano gli amici partiti in tour con me, e sostanzialmente ne parlavo ad altre persone che stavano vivendo la mia stessa identica situazione... Uno dei momenti di maggiore scoramento del mio intero percorso professionale, a essere franco. C'era questo sapore di terribile inutilità, di superfluo totale, sospeso nella sala, e io lo stavo sì denunciando, lo sottolineavo senza la minima pietà, ma per chi parlavo? Però, come sempre accade, qualcuno era ben fornito delle orecchie per intendere. Il caro, pirotecnico, dolcissimo Karel Thole, forse turbato dal mio eloquio, si girò verso Giuseppe Lippi, che sedeva al suo fianco, e gli disse: "Stasera Vittorio è un po' giù di morale. Starà tirando le somme della sua vita professionale e non si trova molto soddisfatto." E Giuseppe ribatté: "Ma veramente Vittorio ha poco più di trent'anni." E Karel: "Ah, allora è un po' presto per tirare le somme..." (Di questo dialogo, ovviamente, sono venuto a conoscenza a posteriori, ma garantisco che è autentico nello spirito, se non nella lettera.)

Okay. Ho rievocato il meglio e il peggio. In mezzo stanno molte altre cose talora ottime, talora medie, talora deludenti; ma, in buona sostanza, io sono sempre qui, pronto a riempire la borsa da viaggio e a prendere un treno, o a fiondarmi su un'automobile, per correre a raccontare quel che penso del fantastico e della fantascienza. Se qualcuno ha voglia di sentirmi parlare, s'intende. Il virus l'ho contratto da vari decenni, e ormai probabilmente sono un malato cronico, per disgrazia mia e degli incolpevoli individui disposti a sottomettersi al rito. In questo preciso momento, uno dei miei motti più impellenti è "O Camerino, o morte!" E che dio la mandi buona agli indigeni di Camerino, ai relatori che converranno dal nord e dal sud, a chi ha organizzato questa kermesse, eccetera. Quindi, è sottinteso, anche a me.



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