Forse più che dal film del 1933, l'ispirazione per il suo King Kong è derivata a Peter Jackson dai cosiddetti B - movies degli anni Cinquanta. Pur essendo estremamente fedele all'originale di Merian C.Cooper (peraltro citato nel film dal personaggio di Jack Black che lo considera un suo 'rivale'…) Jackson trasforma l'isola del teschio - Skull Island, in un luogo pieno zeppo di creature fantastiche e letali riportando - inevitabilmente - la memoria del cinofilo alle saghe in technicolor dove intrepidi esploratori venivano attaccati da mostri tanto pericolosi quanto fuori misura.

Un po' Jurassic Park, un po' La bella e la bestia in versione postmoderna, il King Kong del 2005 è una favola animalista sorprendentemente frettolosa nonostante le tre ore di durata. Una pellicola che nonostante il dispiego di effetti speciali peraltro non sempre perfetti, soffre di una crisi di identità non volendo cambiare nulla rispetto alla trama originale se non dettagli che, però, nel contesto complessivo rendono la storia più pesante e meno riuscita. Quando conosciamo il regista Carl Denham (Jack Black) nella New York della piena depressione post-crollo di Wall Street, capiamo subito che è un visionario pronto a tutto per il suo cinema. Anche a raccattare 'al volo' un'attricetta sconosciuta che cacciata dal suo teatro di vaudeville insieme ai suoi compagni, ha dinanzi a sé lo spettro della fame e della disperazione. Ann Darrow (Naomi Watts) avrebbe altri sogni come attrice. Come quello di interpretare una commedia scritta da Jack Driscoll (Adrien Brody) che - casualmente - viene incastrato da Denham a bordo della nave che parte frettolosamente verso una destinazione ignota anche all'equipaggio. Un'ora di film se ne va nel conoscere i vari personaggi: il capitano senza scrupoli, il suo secondo saggio e pronto a tutto, il cuoco burbero, etc., etc. Mentre tra Ann e Jack inizia a nascere qualcosa, in maniera un po' misteriosa la nave si incaglia presso l'isola del teschio. Qui la troupe cinematografica scende per delle riprese, ma viene presto presa prigioniera da una tribù di nativi. Mentre il film ha un'escalation di violenza, arrivano i nostri che liberano tutti. Quella notte stessa, però, Ann è presa prigioniera ed offerta in sacrificio ad un mostro gigantesco di nome Kong.

Il resto è storia. E non si tratta di una frase fatta, ma di una triste constatazione. Il film procede più o meno senza belle sorprese nel tranquillo binario del già visto. Questo al di là di una vocazione più splatter del film con tanti dinosauri, scarafaggi giganti e altre schifezze pronte a fare fuori i nostri eroi con Kong che salva sempre la situazione.

Tra una battaglia e un inseguimento, con il gorilla mattatore della scena, siamo intorno alle due ore di durata. Lei cerca di connettersi emotivamente con il gigantesco gorilla, stanco, ultimo della sua specie e - soprattutto - ferito. In un'alternarsi di poesia e azione, Kong, grazie alle animazioni digitali basate sull'attore Andy Serkis risulta talmente espressivo da superare quasi emotivamente il personaggio originale. Kong diventa quasi umano. Troppo umano. E l'essere umani in questo caso non è un valore, bensì potrebbe rappresentare un errore perché fuorviare il vero senso della storia. L'apologo animalista vuole, giustamente, evidenziare la necessità di una riflessione sulla sopraffazione che l'uomo può imporre alla Natura. Il problema è che tutti questi ottimi intenti restano un po' appesi' in una pellicola che ha più la vocazione del giocattolone hollywoodiano che della rilettura d'autore di una grande pellicola del passato. Lo sguardo 'umano' di Kong sembra svilire un po' il mistero del legame tra la bella e la bestia, avvicinando troppo esseri differenti che proprio in virtù delle  loro differenze rendevano la storia esemplare. Un Ann troppo 'perspicace' e lungimirante per la sua epoca e un Kong, forse, un po' troppo sensibile, sembrano semplificare e svilire l'enigma di una storia diventata un archetipo.

Alla fine dei conti, rifare King Kong non sembra essere stata una grande idea per Peter Jackson. Al di là della bellezza di Naomi Watts, della simpatia degli attori, dell'intensità lirica di alcune scene, il grande limite di questo film sta tutto nel suo avere voluto mantenere a tutti i costi l'ingenuità di una pellicola di settanta anni fa, esplicitando e aggiornando in maniera selettiva alcuni suoi elementi. Il risultato finale ha qualcosa che non funziona e non convince del tutto arrivando perfino a deludere lo spettatore più smaliziato, con molti momenti che - alla fine - potrebbero sembrare addirittura ridondanti. La scena di Kong e Anna che scivolano sul ghiaccio a Central Park come due vecchi amici, la sequenza della caduta nel burrone, la battuta finale pronunciata da Jack Black hanno qualcosa di profondamente irritante che sembra non avere con lo spirito ultimo di questo film.

Ovviamente qui non ci troviamo di fronte ad un brutto film. Anzi, il King Kong di Peter Jackson è una pellicola interessante e di grande qualità. Peccato che nel suo volere sviluppare al massimo l'intera storia e i personaggi, Jackson abbia perso di vista alcune linee guida dando vita ad un film in molti momenti artificioso, ma soprattutto deludente e senza senso dell'umorismo se non in alcune rare e frammentarie sequenze.

King Kong è un film che in molti momenti stenta a trovare il suo tono: l'alternanza di avventura e poesia, il volere dare spazio a dettagli su dettagli, a creature mostruose e a emozioni forti lo rendono in qualche maniera eccessivamente denso e - forse - più orientato al merchandising che ad una vera e propria creatività. Forse la dura realtà dei fatti è che Jackson sia diventato vittima del suo amore e della sua nostalgia nei confronti dell'originale da cui non ha saputo o voluto distaccarsi se non quando gli ha fatto 'comodo'.

King Kong è una pellicola interessante e affascinante, limitata dall'essere il remake di uno dei film più famosi della storia del cinema e dal fatto che le parti sviluppate nella sceneggiatura (peraltro non eccelsa…) sembrano non legarsi in maniera omogenea con il tono complessivo della narrazione. Come dire: alle volte le misure contano davvero. Non basta un gorilla gigante e un'ambientazione straordinaria dal punto di vista visivo. Bisogna non perdere d'occhio i dettagli, ovvero quelli che legano insieme una saga epica di cui è protagonista una delle più grandi icone della storia del cinema. Forse, la realtà è che non c'è uno schermo sufficientemente grande per ospitare al meglio una figura come quella di King Kong. Un personaggio che, forse, così non ha più nulla davvero da dire o da dimostrare…