Non accade spesso che un libro di narrativa ti rimanga attaccato addosso durante la sua lettura. Per lo più le storie abitano la nostra mente in una sorta di Stanza dell'Immaginario nella quale le ritroviamo puntualmente a ogni sessione di lettura, ma nella quale se ne stanno buone, separate dal resto dei nostri pensieri e della nostra vita. Ma ogni tanto succede che una storia riesca a evadere. Scardina la porta e inizia a girare per il nostro cervello anche quando non vogliamo. Ed è sempre una bella sorpresa, perché significa che quella storia ci ha colpito in modo non comune. E' il caso della caccia al serial killer efferato e perverso che ammorba le pagine dell'ultimo romanzo di Franco Forte, La stretta del Pitone (Mursia), un assassino la cui personalità disturbata e disturbante si insinua nelle pieghe della mente del lettore e finisce per tenerlo in ostaggio a oltranza. La trama è costruita secondo i canoni classici del thriller. In un'Italia bollente d'estate, un serial killer uccide una serie di donne dai piedi bellissimi, ciascuna con un bambino. Ma quello che colpisce non è solo il modo in cui ammazza, ovvero stritolando le vittime/prede come un pitone, ma anche quello che fa loro dopo. Sulle tracce dell'assassino viene messa una squadra di investigatori guidati dal brillante commissario Durante, anche se costretto su una sedia a rotelle e ossessionato da incubi striscianti. La storia è quindi scandita da Forte secondo il doppio punto di vista del Pitone e dei suoi cacciatori. Ma se da un lato la parte dedicata alle forze dell'ordine è quella che, per molti versi, risente maggiormente dei meccanismi e delle situazioni di maniera del genere narrativo, cui spesso anche la cinematografia americana ci ha abituato, ed è forse un po' in debito con il Lincoln Rhyme investigatore paraplegico di Jeffrey Deaver, è la parte dedicata al Pitone quella che imprime la svolta decisiva al libro e lo fa decollare. E' infatti nei capitoli riservati alla narrazione della psicologia del serial killer e della sua logica maligna, che Forte dà il meglio di sé, in un mosaico di abusi, mutilazioni, perversioni e feticismo che cresce e si costruisce con tagliente esattezza, fino a lastricare in maniera limpida la strada seguita dal Pitone nella sua orrenda visione di morte e autopurificazione. Forte non lascia nulla al caso e nemmeno risparmia al lettore immagini sessuali forti e pugni allo stomaco, ma lungi dall'essere espedienti fini a se stessi volti ad alzare pedissequamente la temperatura del libro, diventano tutte rotelle di un meccanismo a orolgeria necessario a dare credibilità a una storia quasi surrealmente cruda, e spessore alla personalità maniacale dell'assassino, vero protagonista del libro. Se poi si fosse indotti nella presuntuosa tentazione di credere dove la storia andrà a parare, Forte sorprende il lettore congegnando una notevole sequenza finale in cui la sua scrittura agile e incisiva riesce a redimere il prevedibile confronto tra il Pitone e l'avvenente assistente del commissario dai cliché di un genere spremuto fino all'osso, ma dal quale Forte riesce a tirare fuori ancora qualche goccia degna di essere gustata fino in fondo.