In Italia le notizie su di lei sono piuttosto scarne, ci può dare pertanto maggiori informazioni, cominciando da... nome e cognome.

Il mio nome è Ayerdhal, e non ne voglio altri. Solo lo stato francese è convinto che ne abbia altri.

Sono autodidatta, anche se ho fatto degli studi in marketing che mi hanno aiutato a capire alcuni meccanismi psicologici e sociali.

Leggo di tutto: riviste scientifiche, romanzi polizieschi, fantascienza, letteratura alta e di consumo, documenti e saggi. Leggo molto anche per documentarmi per scrivere i miei libri: i libri sono più affidabili, ma anche la rete è uno strumento che utilizzo.

I miei hobby: amo il cinema, tiro con l’arco, ping pong, sci, e poi amici, amici, amici…

Il mestiere dello scrittore è estremamente solitario. Ho perciò un grande bisogno di vita sociale. Ho molti veri amici, provenienti dagli ambienti più diversi: quanta ricchezza che ti portano gli altri.

Quando ha deciso di diventare scrittore? E per dare seguito a questa decisione si è iscritto a  corsi di scrittura oppure il saper scrivere, il saper raccontare è un suo dono di natura.

Ho deciso di divenire scrittore verso i 27-28 anni, anche se non lo sapevo esattamente. Scrivevo da sempre: la scrittura è il mio mezzo d’espressione preferito. Lo uso per parlare con gli amici, agganciare le ragazze, comunicare con i miei genitori. Ho sempre scritto senza avere l’intenzione di scrivere, per dire delle cose. Poi sono diventato scrittore, ma sarei voluto diventare un regista: un fallimento, insomma.Il miglior modo d’imparare a scrivere non esiste. Non si può imparare. Le uniche cose che si possono fare sono leggere e vivere, e provare a interpretare le proprie emozioni. Non credo alle scuole di scrittura, tipiche del mondo anglofono, perché tendono a produrre scritture troppo uniformi. La cosa peggiore è l’omologazione della scrittura: tutti che scrivono come Stephen King.

Quale è stata la molla che lo ha spinto a scrivere fantascienza?

Perché ci sono caduto quando ero piccolo, come Obelix nel calderone. Mio padre aveva una collezione di libri enorme, circa 12000, di cui 8000 di fantascienza. Dunque, quando ho iniziato a scrivere, è stato naturale scrivere in un genere che conoscevo e amavo. La fantascienza è un genere che ti permette di scoprire nuove cose, di assaporare il fascino della scienza, di esprimere delle idee, di riflettere sul presente attraverso l’immaginazione del futuro. Ha dunque una valenza pedagogica e anche una potenzialità politica.

Quale percorso ha fatto affinchè il suo primo romanzo fosse accettato? Ha ricevuto rifiuti?

Scritto nel 1988, l’ho inviato a sei editori nel 1989, ricevendo sei rifiuti. Uno di questi editori ha passato il libro a un editore più adatto, e così è cominciato tutto. Il fatto che il libro era di 800 pagine si rivelò un problema. Nessuno voleva rischiare per pubblicare un libro enorme di un esordiente.

Quale è il genere di romanzo che preferisce scrivere (fantascienza avventurosa, tecnologica,  space opera, fantasy)?

Il genere che non ho ancora scritto. Ho iniziato con la fantascienza, che conoscevo meglio. Ma ho frequentato diversi generi. Mi piace sperimentare, e voglio scoprirne di nuovi.

In Italia è cosa nota che uno scrittore di fantascienza o fantasy non può vivere di sola “scrittura”, in Francia?

In Francia solo due scrittori di fantascienza campano solo del proprio lavoro. Uno sono io. Altri abbinano magari l’attività di scrittore a quella di traduttore. C’è un mercato abbastanza vivace del genere in Francia, più che in Italia.

Ha letto qualche libro di fantascienza scritto da autori italiani, ovvero conosce qualche autore del nostro paese.

Sì. Diversi autori italiani sono tradotti in francesi. Ad esempio Valerio Evangelisti, che è un amico, Ugo Malaguti, ma anche altri…

Quale è il suo stato d’animo quando manda all’editore un suo nuovo romanzo? Ha paura di una cattiva o tiepida accoglienza da parte dei lettori?

Paura mai. L’unica paura è che venga pubblicato un mio libro non buono, solo per il fatto che sono conosciuto. Faccio leggere i miei libri a molte persone diverse, non perché non mi fidi dell’editore, ma a volte sono proprio gli editori che lasciano pubblicare dei libri che non meriterebbero.

Se non avesse avuto successo come scrittore, cosa avrebbe fatto nella vita?

Non saprei. Non ho la formazione per fare il regista, che è un mestiere che mi ha sempre attratto. Nel 1997 ero stufo di scrivere, ma l’unica alternativa per la quale avevo qualche competenza era la fotografia. Avrei potuto anche fare il politico o il terrorista, o forse il prete… No, il prete no! Vivo di scrittura. Certo ho fatto vari mestieri in passato, ma niente che sentissi mai davvero mio come la scrittura.

Come è organizzata la sua giornata di lavoro? E per scrivere usa il pc?

Ho un’organizzazione molto semplice. Mi sono dato una regola: lavoro quando sono da solo in casa e, per il resto, voglio essere presente per mia moglie, mia figli, gli amici. Bisogna imparare a lavorare da soli e a staccare quando si è con gli altri: non lavoro i fine settimana, la notte e durante le vacanze.

Come passa le giornate quando non lavora? Legge molto? Cosa?

Letture e giornate son cose molto diverse. Di sera, sono un po’ insonne, quando mia moglie dorme, vedo un paio di film e leggo un libro. Quando non lavoro sto con gli amici.

Abbiamo letto che ha scritto molti romanzi, vari cicli (ciclo di Daym, quello di Mytale), tutti di ottima qualità, vincendo anche importanti premi. Purtroppo in Italia è stato pubblicato un suo solo romanzo Etoiles Mourantes, scritto in collaborazione con Jean-Claude Dunyach (romanzo vincitore del Premio Tour Eiffel 1999) ed il racconto Notre Terre. Domandiamo se ha avuto contatti per altre traduzioni.

Un romanzo tradotto in inglese, uno in tedesco, uno in cinese, uno in rumeno, altri in spagnolo e in inglese... 2 sono in corso di traduzione in russo.

Sempre in merito al romanzo Etoiles Mourantes, come è nata l’idea di scrivere un romanzo con Dunyach e come si è svolto in pratica il lavoro?

Ci leggevamo senza conoscerci. Poi ci siamo conosciuti e piaciuti. Abbiamo scritto un po’ per uno con la regola che ognuno scriveva di ciò che non sapeva e ognuno aveva il diritto di correggere l’altro. La editor ha uniformato lo stile e ora le parti non sono distinguibili.

Lei è uno scrittore di romanzi di fantascienza e di fantasy, perché questo passaggio alla spy-story? Vuole essere una denuncia verso quel mondo occulto di spie, di sorveglianza planetaria che è Echelon o cosa?

La centralità della fantascienza deriva dalla mia cultura, come ho detto. La fantascienza può utilizzare con grande efficacia le metafore. Può dunque parlare di tutto: può parlare del conflitto israelo-palestine descrivendo gli attriti fra marziani e venusiani. Ma le metafore non bastano. Ecco perché ho sentito la necessità di utilizzare il polar e la spy story per raccontare la complessità del presente.