aneddoti di

Vittorio Curtoni

Memories of green Quella fulgida notte


Non sappiamo se Delos sia entrato nella storia della fantascienza italiana, ma sicuramente la storia della fantascienza italiana è entrata in Delos. Vittorio Curtoni, già direttore delle mitiche riviste Robot e Aliens - e comunque un bel po' mitico già di suo - ha accettato di portare sulle nostre pagine una collezione di gustosi aneddoti del fandom e dell'editoria italiana. Ah, per sua volontà, il sottotitolo di questa rubrica è "i farneticanti ricordi del vecchio vic". Almeno sapete cosa aspettarvi...

Sera del 20 luglio 1969. A Chiavari, Liguria. Dove il sottoscritto era in vacanza, ventenne reduce dagli esami universitari, in compagnia di Gianni Montanari e di un altro carissimo amico, Pier Giuseppe Ranza, alias Pigì, immane fratello spirituale, il Rabbino del mio racconto. Eravamo alloggiati, noi tre, nella suggestiva "Trattoria italo-cilena", un posto che di cileno aveva proprio niente: i proprietari, scoprimmo con un certo stupore, erano originari delle colline piacentine (i casi della vita), e la loro massima specialità culinaria era la cotoletta alla milanese. Che non mi risulta sia molto in auge in Cile.

Però la facevano benissimo, la cotoletta. E a me è sempre piaciuta tanto ma tanto. Era un alloggio molto economico e confortevole, se vogliamo prescindere da una certa precarietà dei servizi igienici e da una spiccata tendenza alla riduzione al minimo degli spazi vitali nelle stanze. Ma son tutti particolari che in questa sede non interessano.

Quella sera era con noi un altro cumpariello di Piacenza, Luigi Solari, uno che con la fantascienza c'entra men che niente, però aveva fatto il liceo con Pigì e con me, e quella sera era con noi. E quella era LA sera, o meglio la NOTTE: l'uomo stava per allunare! Per porre per la prima volta piede non su un altro pianeta, bensì più modestamente sul satellite della Terra, Luna; ma chi poteva desiderare qualcosa di più? A dire il vero, noialtri qualcosa di più lo desideravamo: un televisore sul quale poter seguire il fatidico avvenimento.

Eravamo in giro per la città, frizzanti all'idea dello sbarco, elettrizzati dalla prospettiva, suppongo a corto di soldi com'era nostro costume, ma non privi di risorse di diabolica astuzia. Andò a finire che, sul tardi (mezzanotte e dintorni, come direbbe uno dei massimi poeti dei palinsesti televisivi contemporanei), ci infilammo nel bar di un hotel col preciso disegno di impedirne la chiusura prima che il momento fatale e delizioso (questo lo ha detto un altro poeta) si consumasse. E ci riuscimmo. Ordinando a turno, una gassosa qui, una birretta là; esasperando il barista, che probabilmente crollava dal sonno e non arrivava a capire la tenacia indemoniata di quel trio di baldi giovani. Anche perché tutti gli ospiti dell'hotel, indifferenti all'importanza storica del momento, se n'erano andati a letto, e noi non eravamo nemmeno alloggiati lì...

Le cose andarono per le lunghe. Ci furono slittamenti sui tempi previsti, ritardi di ore. Tito Stagno, che faceva la telecronaca in diretta per la televisione italiana (la tivù di stato; i canali privati erano ancora di là da venire), dovette inventarne una più del diavolo. Come l'ho ammirato. Vennero trasmessi film di sf, anche se a dire il vero l'unico che ricordi è Il pianeta proibito. Su certi particolari, compresi i tempi esatti, la mia memoria è molto sfuocata. Quel che rammento con nitida precisione è che, nel cuore della notte (o alle prime ore del mattino, come preferite), Neil Armstrong sbarcò finalmente sul nostro satellite, ci regalò la sua famosa frase ("E' un piccolo passo per un uomo, un grande passo per l'umanità"), venne seguito a ruota da "Buzz" Aldrin, dopo di che ebbe inizio la passeggiata lunare. L'etereo balletto condotto a un sesto della gravità terrestre: l'avverarsi del sogno, il concretizzarsi, per la prima volta, di una realtà che sino a quel giorno io e tantissimi altri avevamo solo immaginato, letto, preconizzato. Mi rigiravo nella mente i testi sacri dedicati alla Luna, dal sommo profeta Robert Heinlein (L'uomo che vendette la Luna, La Luna è una severa maestra) ad Arthur Clarke (Ombre sulla Luna) a Clifford Simak (All'ombra di Tycho) a tutto quello che volete. E pensavo: "Ma è straordinario, nessuno aveva previsto una diretta televisiva per questo primo sbarco, è incredibile, la realtà ha abbondantemente superato la fantascienza!" La mia anima era ammutolita, e riconoscente; grata al fato che mi aveva fatto nascere in tempo per essere testimone di quell'evento. Che non scorderò mai. Che resta inciso a fuoco nell'arco della mia esistenza.

Restammo lì a guardare per chissà quanto tempo. Persino il barista, finalmente conquistato, aveva smesso di mugugnare. E, sotto l'alba, gli ospiti dell'hotel cominciarono a scendere dai loro prosaici letti e si incollarono a loro volta davanti a quelle immagini, e il nostro bar lunare si rianimò, prese nuova vita.

Una vita onirica a bassa gravità. A un certo punto, noi ce ne andammo. Ci trasferimmo in un altro bar di Chiavari, poco distante, che produceva i migliori toast dell'universo noto e ignoto; e con quei toast si fece colazione, continuando a rimirare le evoluzioni degli astronauti americani sul suolo lunare, perché ovviamente anche lì il televisore era collegato in diretta con Selene. Non chiudemmo occhio, quella notte. E chi poteva dormire? Poi, per giorni, io corsi tra le edicole, a fare incetta di quotidiani e settimanali stracolmi di supplementi d'ogni genere che celebravano la fulgida notte. Che io ho vissuto, sissignori, l'ho vissuta! E quanto ne sono felice.

A trent'anni di distanza, sembra tutto vagamente sbiadito. Vacuo: un sogno che è iniziato ma si è interrotto molto in fretta. Non per noi che leggevamo all'epoca e continuiamo a leggere fantascienza, ma per il mondo reale (ammesso che esista, certo). E' vero, ci sono state altre incursioni umane sulla Luna, esplorazioni più avanzate all'interno del sistema solare, sonde su Marte. Però la mia modesta opinione è che se la corsa allo spazio fosse proseguita, dal luglio 1969 in poi, con la stessa foga di quei giorni, oggi l'uomo sarebbe arrivato (in prima persona, non con il tramite di macchine) su Marte, e magari si potrebbe ipotizzare anche una base lunare. Cos'è successo? Rubo un aneddoto al maestro dell'horror contemporaneo, Stephen King. Nel suo volume di saggistica Danse Macabre, King narra un episodio che gli è occorso nell'ottobre del 1957, quando era un ragazzino (per la precisione aveva appena compiuto dieci anni). Dunque, era andato al cinema, a vedere un film di fantascienza (La Terra contro i dischi volanti); e a un certo punto la proiezione venne interrotta, e il proprietario del cinematografo si portò al centro della sala e annunciò che era accaduta una cosa terribile, tremenda, inconcepibile: i russi erano riusciti a mettere in orbita un satellite attorno alla Terra! Per la prima volta nella storia del genere umano, e battendo in velocità gli americani! Com'è ovvio, si trattava dello Sputknik, il padre di tutti i satelliti, se mi si passa l'espressione. King riferisce che quello fu uno dei momenti più terrorizzanti della sua esistenza, e lo fu per un'intera nazione, non soltanto per lui. I russi sopra la testa? I russi nello spazio? Sulla Luna, magari? Inconcepibile! E quindi, via a tutta birra con i missili, via con l'ideologia della nuova frontiera, via col LEM...

Intendiamoci, non voglio fare dell'ironia, né sminuire l'evento in sé, che ha per me dimensioni epiche. E' solo che l'epica dello spazio ha subito una brusca battuta d'arresto negli ultimi decenni: una volta stabilito il primato, il trionfo tecnologico americano, la corsa allo spazio ha perso tanta della sua accelerazione. Del suo impeto. Le successive evoluzioni della situazione mondiale, fino allo smantellamento del sistema del socialismo reale, sono ben servite a contribuire a questo. E oggi si va coi piedi di piombo, a passo di lumaca rispetto alle frenetiche contorsioni dei Sessanta. Non c'è più molta fretta. Perché il primo allunaggio umano è stato anche, enfaticamente anche, l'espressione di tensioni politiche che avevano portato almeno una volta sull'orlo del disastro globale (la "crisi dei missili" del 1962, con Cuba come epicentro) e che percorrono come pauroso fil rouge tutto il sottogenere della cosiddetta "fantapolitica": provate a rivedere oggi quel capolavoro di Stanley Kubrick che è Il dottor Stranamore (1963) e ditemi che effetto vi faccia quel clima. Soprattutto se non lo avete vissuto in prima persona. Se ne avete soltanto letto. Non sembra quasi un film ambientato su un altro pianeta? O in una realtà parallela? Ma ahimè no, quegli anni erano davvero così.

Per cui, la Luna è rimasta lassù, e noi siamo rimasti quaggiù. A rimpiangere, almeno per quel che mi concerne, la grandissima notte di trent'anni fa.

Nonostante le molteplici ricadute tecnologiche che le imprese spaziali hanno avuto sulla vita di tutti i giorni della specie umana; nonostante gli sfolgoranti sogni che sono stati tessuti; nonostante l'ovvia constatazione che lo spazio è sul serio la nuova frontiera, l'unica che possa offrire speranze e panorami diversi a un mondo in assai precario stato di salute: nonostante questo, rieccoci come sempre qui. Mette molta tristezza, a pensarci su. Di nuovo, a mio modesto giudizio.

Ma celebriamo comunque. L'occasione lo merita al di là di ogni dubbio. Cin cin, vecchia Luna. Tu eri e resti un bellissimo sogno. Grazie ancora, Armstrong e Aldrin e Collins. Non è colpa vostra. E' colpa nostra.



Foto di Elena Pittofrati. I diritti su testi e immagini sono riservati. E' vietata la riproduzione senza l'autorizzazione degli autori.