Entropia: cronache dal luogo del disastro

 

L’esordio di Pynchon si compie nella dimensione ridotta del racconto. Le sue short stories risalgono tutte al periodo 1958-64 e sono sei. Tranne Mortality and Mercy in Vienna (risalente al 1959 e da noi tuttora inedito…), sono state raccolte nel 1984 nell’antologia Slow Learner, da noi giunta prima come Un lento apprendistato, e poi reintitolata Entropia .I racconti sono piccoli capolavori di precisione in cui l’autore riesce a collaudare in una manciata di pagine un meccanismo narrativo perfetto. La decisione di Pynchon di sospendere la sua dedizione alla narrativa breve è stata forse motivata anche dallo sforzo immaginifico e creativo sotteso al respiro cosmico cui ambiscono le sue opere lunghe. I romanzi, dopotutto, sono concepiti come pretesto per tutta una serie di digressioni, divagazioni e flashback che da soli potrebbero reggere il peso di un racconto autonomo: a voler tentare un azzardo, sono un po’ come il Decamerone di Boccaccio, una cornice storica farcita di racconti.I cinque brani di Entropia possono prestarsi facilmente ad una lettura critica, volta a portare allo scoperto il funzionamento segreto della narrazione, la potenza intrigante dell’affabulazione, il controllo totale sulla materia raccontata. E, al contempo, rappresentano un’ottima occasione per seguire il percorso di crescita dello scrittore che, a partire da un’opera già ampiamente riuscita come Pioggerella, racconto dai toni lirici e struggenti di una prova tecnica dell’Apocalisse, non si fossilizza nello stile e nei temi ma si rinnova ad ogni successivo tentativo, portando avanti una crescita esponenziale fino all’ultima Integrazione segreta, che chiude il sipario sullo spettacolo con una nota d’impegno e critica sociale. Nel mezzo vi sono il citato Terre basse, esperienza onirica di un mondo fantastico (forse addirittura l’immaginario collettivo) sepolto in una discarica; il racconto che dà il titolo a quest’ultima edizione della raccolta e che offre un duplice punto di vista su un tema tanto attuale quanto poco esplorato come l’entropia (concetto cruciale sia in termodinamica che nella teoria dell’informazione, successivamente ripreso sia in V. che nel Lotto 49), dove la contrapposizione di due spinte che potremmo dire archetipiche (rispettivamente alla mitizzazione della catastrofe e alla banalizzazione del disordine) si riflette nel tono della narrazione, che oscilla tra il fatalistico e l’esilarante; e, per finire, il già citato Sotto la rosa, in cui gli avvenimenti che fecero da sfondo alla crisi di Fashoda del 1898 offrono lo spunto per una rappresentazione del mondo soggetta alle leggi della statistica (cos’è la gaussiana che
si affaccia agli occhi di Porpentine nella scena finale se non l’evidenza simbolica dello scontro di Forze superiori che si sono sostituite al gioco degli uomini?).I racconti di Pynchon esplorano il senso di una catastrofe imminente, il rapporto con il serbatoio della cultura popolare, il degrado dell’informazione, la concezione statistica della storia e lo scontro di prospettive. Manipolazione delle fonti, uso di citazioni e pastiche, come sottolineato nell’illuminante postfazione all’edizione italiana di Roberto Cagliero, sono invece i più marcati tratti stilistici che emergono da queste prove, per altro passate in rassegna nella preziosa Introduzione scritta dallo stesso maestro americano, in cui conduce con tono brillante un’attenta disamina critica e ontogenetica dei racconti, soffermandosi oltre che sui presunti difetti ed errori di gioventù anche sulle fonti d’ispirazione.

Oltre lo Zero: una conclusione, forse

 

Si tramanda che in America, durante gli anni della Depressione, folle di miserabili sopravvivessero ai margini delle discariche, grazie agli scarti del resto della società. Di sicuro, è quello che oggi accade un po’ ovunque, dalle città del Terzo Mondo (Rio de Janeiro, San Paolo, Manila, dove interi quartieri sorgono sul suolo stesso delle discariche) alle periferie urbane dell’Occidente. In senso più lato, potremmo anche sostenere senza timore di smentite che le periferie dell’Occidente stanno diventando delle discariche, sia nell’accezione pratica che in quella metaforica del termine: il sistema riversa sugli strati più deboli della popolazione i residui e gli scarti del benessere. È la società dei consumi ad aver imposto questo ordine di cose: c’è chi trasforma petrolio in denaro e con quel denaro sopravvive, chi ricorre agli scarti del petrolio per sopravvivere producendo altri scarti meno pregiati e giù, giù, fino all’ultimo anello della catena, occupato da chi prende gli scarti finali e con quelli sopravvive.Il processo si adatta perfettamente alla descrizione dell’opera di Pynchon. Come un moderno diseredato, dopo aver perso tutto (la certezza del romanzo, la solidità della storia, la sicurezza dell’innocenza), il Nostro si aggira per le discariche letterarie del mondo, collezionando articoli di riviste scientifiche, bollettini militari, corrispondenza inevasa, ricette mediche, sceneggiature rifiutate da Hollywood, copioni teatrali dimenticati, rimasugli di antiche leggende e vecchi stralci di giornale. È di questo materiale che si ciba la sua mente, assimilando attraverso di esso la carne della realtà, metabolizzandone la forma poliedrica e la sostanza mutevole e restituendocele nella grandiosità delle sue pagine, dove non a caso convivono speculazioni escatologiche e deviazioni coprofaghe.L’influenza di Pynchon negli ultimi quarant’anni è stata enorme.