Della serie di aggettivi con cui lo abbiamo introdotto, forse è proprio "onnipresente" a tratteggiare meglio lo straordinario autore del New England. Stephen King non è solo uno scrittore horror: oltre a essere, insieme a Michael Crichton, l'autore più saccheggiato dai produttori di Hollywood, egli ha pubblicato romanzi e racconti praticamente ovunque, da Playboy a (accostamento più bizzarro che singolare) Urania. Non lo si può definire uno scrittore di fantascienza, certo, ma nella sua sterminata produzione (la cui mole industriale comincia a destare sospetti di usi massicci di "negri", o almeno di clonazioni multiple) figurano opere di SF talmente pura da battere ai punti romanzi dei più blasonati rappresentanti del nostro genere letterario preferito.

Eppure, nonostante questa portentosa ecletticità narrativa, Stephen King mantiene nelle sue opere una coerenza di stile e di tematiche che impressiona (e che tentiamo di riprodurre, scherzandoci su, nel "falso King" che presentiamo). Il risultato è uno scrivere fortemente caratterizzato, personale, ed estremamente piacevole da ritrovare, quasi fosse un vecchio amico, divorando le opere di King l'una dopo l'altra come ciliegie mature.

Ops... ci siamo cascati di nuovo. Ancora una volta, causa l'ammirazione per il nostro "scrittore-bersaglio" del mese, ci troviamo veramente in difficoltà nell'imbastire un dileggio sufficientemente graffiante. La parte dell'allegro iconoclasta, quando ci si confronta con idoli simili, è indicibilmente dura... Per fortuna, la perfidia (come sa chi ci conosce) davvero non ci manca. E poi, essendo stati accusati, più di una volta, di prendere biecamente a modello King nella nostra produzione (ad esempio, per il racconto Lacio Drom, tacciato di essere copia Xerografica del kinghiano Carrie), il gusto di poter imitare apertamente, liberamente e dichiaratamente il grande Stephen d'oltreoceano appare più irresistibile di una Monica Bellucci distesa su lenzuola di seta e coperta solo da due gocce di Chanel numero cinque (oh, be', si fa per dire...).

Insomma, cari lettori di Delos, che siate estimatori di King, suoi detrattori o semplici passanti, avvicinatevi allo schermo del vostro computer, spegnete le luci e chiedete il silenzio: state per immergervi nelle atmosfere angoscianti di Shining, negli orrori ferini di Cujo, nelle paure schizoidi di Misery, negli incubi neri de La zona morta... Tirate il fiato e avanzate nella pagina, miseri mortali.

Non ve ne pentirete.

Eat

(di Stephen King?)

Timothy Bradshaw aveva otto anni quando vide per la prima volta il pagliaccio. Il tacchino per la Festa del Ringraziamento cuoceva nel forno Tippendale emanando effluvi che si spargevano per la cucina e giù nel tinello, dove la madre di Timothy, insieme alla zia Pheila, guardava la novantacinquesima puntata di "Aspettando il domani" sprofondata nel divano Marston a strisce bianche e viola, con una schiera di bigodini in testa che la faceva assomigliare a una radio AM-FM. Il padre, lo zio e i fratelli di Timothy erano nel salotto buono di fronte all'altro televisore, intenti a seguire le azioni dei Dodgers e a svuotare al contempo una poderosa cassa di birra Duff. I loro rutti risuonavano per la casa come colpi di fucile.

Timothy bighellonava per la cucina, tentando di non cedere alla curiosità di sbirciare il tacchino che rosolava dietro il vetro rigato dal vapore. Quando vide che qualcosa si muoveva, dietro la superficie traslucida, per un attimo non credette ai suoi occhi. Si inginocchiò di fronte al forno, asciugando la condensa con la manica della sua camicia a quadri comprata al K-Mart di Castle Rock, sedici dollari e cinquanta, quindici se promettete al proprietario, il signor Buckland, di fargli un po' di pubblicità nei vostri racconti.

Il pagliaccio era lì. Era altro una trentina di centimetri, e quasi altrettanto largo. Aveva il viso bianco di vernice, una parrucca color vinaccia e un vestito a pois con il tagliando "Lavanderia Mackenzie, Haven". Era seduto sul tacchino come su di un trono, e affondava le mani dalle dita unghiute nella pietanza fumante, lacerando la pelle e portando grandi brani di carne sugosa alla bocca con espressione soddisfatta.

Timothy, inebetito, troppo sorpreso per provare paura, aprì lentamente lo sportello del forno.

- Cosa... cosa fai? - fu l'unica frase sensata che riuscì a mettere assieme.

- Tu cosa credi? - sghignazzò il pagliaccio - Mangio!

- Ma... ma chi...? - balbettò Timothy.

- Ecco, prendi anche tu! - fece il pagliaccio, lanciandogli una patata arrosto. Mentre il bambino, d'istinto, afferrava l'ortaggio bollente ustionandosi le piccole dita, il pagliaccio saltò fuori dal forno con una capriola, esclamò - ...e prendi anche il rimorso... - si esibì in un'ultima sghignazzata e scomparve nell'aria.

- Ti ho beccato, piccolo deliquente!

Timothy si voltò. Lo zio Otis, sulla soglia della cucina, lo squadrava con fare tra l'accusatorio e lo sbronzesco. Il bambino si rese conto di essere ancora in ginocchio di fronte al forno aperto con una patata arrosto in mano, proprio come se avesse appena violato uno dei più sacri tabù del verbo materno.

- Non sono stato io. - balbettò. - C'era... c'era un pagliaccio...

- Vergogna, piccolo Timmie. - lo bacchettò l'adulto, scivolando sulle sillabe rese sdrucciolevoli dall'alcool - Un vero Bradshaw non commette nulla di così disdicevole come mentire.

Lo zio Otis sottolineò la sua sentenza con un peto tonante che fece tremare le imposte Longstead della cucina e sollevare i lembi della bandiera stelle e strisce doverosamente sistemata nell'angolo buono del salotto. Poi, soddisfatto, tornò barcollando alla sua provvista di birra.

Più tardi, verso le tre del mattino, Otis strangolò la moglie Pheila e la cognata Leila con un pacchetto di Tuttifrutti al mentolo, e poi bruciò la casa perché sembrasse un incidente. Tra poliziotti, infermieri e assistenti sociali, trascorsero parecchi anni prima che Timothy potesse pensare ancora a quel grottesco incontro.

I genitori adottivi portarono via Timothy da Castle Rock e si stabilirono a Derry. Un tiepido giorno d'autunno dell'83 Timothy percorreva Acorn Street in direzione di Jay Hill, ove aveva appuntamento con i compagni della squadra All SABDEM