La lettera era pervenuta all’indirizzo e-mail dell’assistenza. Era in caratteri di formato standard e riempiva gli spazi del modulo di una richiesta normale. Ma nello spazio riservato al “nome del precedente operatore intervenuto” non c’era una delle firme usate dal reparto Assistenza Clienti. Invece vi si leggeva:

Dixie Noncisto Mai
– Aah, Victor, cresci!

Lui alzò le mani in un gesto teatrale di difesa, ma aveva visto la sua espressione e un po’ del divertimento lasciò la sua faccia.

– Ehi, Dixie Mae, non prendertela con me. Questa roba è arrivata così come la vedi.

– Non la bevo. Il server dell’accettazione l’avrebbe rifiutata per “nome del precedente operatore non valido”. L’hai falsificata tu.

Per alcuni secondi Victor parve incerto.

Ha! pensò Dixie Mae. Lei era stata attenta durante le lezioni di Mr. Johnson. Sul funzionamento del loro reparto ne sapeva più di Victor-mente-creativa. E così il suo scherzetto idiota sbatteva il culo per terra. Ma Victor si riprese e tirò fuori un debole sorriso. – Non sono stato io. Come avrei potuto conoscere il tuo soprannome?

– Quello non è il mio soprannome – disse Dixie Mae. – È proprio lo stupido gioco di parole che un genio come te riesce a tirare fuori.

– Onestamente, Dixie Mae, non sono stato io. Diavolo, non so neppure come si fa a rieditare un modulo di domanda in arrivo.

In effetti, questa obiezione aveva un sapore di verità.

– Che sta succedendo?

Si voltarono e videro che all’ingresso del cubicolo c’era Ulyssa.

Victor le indirizzò un’alzata di spalle. – È la nostra Dixie Mae. Qualcuno, qui alla Lotsa Tech, la sta prendendo in giro.

Ulyssa venne fra loro e si chinò a guardare lo schermo. – Vedo. E qual è il testo del messaggio?

Dixie Mae allungò una mano sulla tastiera e fece scorrere le pagine a schermo verso il basso, fino al testo. L’indirizzo del mittente era “libidinoso925freemail.Sg”. La scelta di lettura era “Formattazione a voce”, e ciò significava che il cliente aveva usato il Voxalot per dettare il testo. Ma era una scelta a cui nessuno dell’Assistenza Clienti ricorreva spesso. Il Voxalot per la lettura e scrittura del testo non era affatto intuitivo come si vantava la pubblicità.

Lì però c’era una e-mail diversa da tutte quelle a cui Dixie Mae doveva rispondere.

Attivò la formattazione a voce. Il Voxalot aveva riconosciuto una voce mascolina – caucasica – e un accento californiano, ma la ricostruzione vocale del programma non andava oltre la tonalità e l’inflessione dialettale:

«Ehilà, dolcezza... uh, sarei felice se questo dannato programma mi spiegasse come si fa mettere il testo in corsivo... OK ricominciamo...

Ehilà, dolcezza. Ricordi la casa sull’albero a Tarzanarama? Quella a cui tu hai dato fuoco? Be’, se vuoi appiccare un incendio molto più grosso, cerca d’immaginare come faccio a sapere questo di te. Il solo indizio che posso darti è il Numero della Bestia letto a testa in giù.

Diavolo, le ho tentate tutte e ancora non riesco a mettere in corsivo il paragrafo del testo... senza usare la tastiera, ovviamente. Per favore, spiegami come si fa.

In attesa di poterti offrire la mia generosa ospitalità... (nel mio letto) resto il tuo affezionato amico

Libidinoso... (per te molto)».

Il commento di Ulyssa fu secco: – E così, Victor, sei riuscito a rieditare i messaggi in arrivo, eh?

– Dannazione, io non c’entro niente!

– Sicuro, certo. – I denti bianchi di Ulyssa lampeggiarono sulla sua faccia nera.

Da quelle due parole grondavano litri di sarcasmo.

Dixie Mae alzò una mano per farli tacere entrambi.

Io... non lo so. C’è qualcosa di strano in questa e-mail. – Guardò il testo del messaggio per alcuni secondi. Un brivido spiacevole le corse lungo la schiena. Sua madre e suo padre le avevano costruito una casetta sull’albero, quando lei aveva sette anni. Dixie Mae aveva amato quel posto intimo a isolato. Per due anni lei era stata Tarzanella di Tarzana. Ma il nome della casa sull’albero, Tarzanarama, era sempre rimasto un segreto per tutti. All’età di nove anni Dixie Mae aveva mandato a fuoco la casa di frasche. Era stato un terribile incidente. Be’, un’arrabbiatura di quelle brutte, in realtà. Ma lei non avrebbe mai voluto che il fuoco sfuggisse in quel modo al suo controllo. C’era mancato poco che quel dannato albero appiccasse il fuoco anche alla sua vera casa. Lei era stata una ragazzina spaventata e molto ben educata per quasi due anni, dopo quella faccenda.