William Gibson
William Gibson

2. William Gibson

Anche Neuromante non nasce dal nulla. Gibson aveva già scritto alcuni racconti fondamentali, poi riuniti nell’antologia Burning Chrome (1986; La notte che bruciammo Chrome, Mondadori). In The Gernsback Continuum (1981), c’era la storia surreale dell’antieroe investito dai “fantasmi semiotici” della fantascienza di serie B, quella dei pulp e delle copertine di Frank R. Paul per Amazing; questa è una storia con una morale: la cultura di massa non è più uno spettro da esorcizzare nel nome dei valori del passato, ma qualcosa da affrontare con un atteggiamento critico, ironico e autoironico. Molto meno leggeri sono i toni nei racconti ambientati nel mondo futuro in cui si svolgeranno i primi tre romanzi, come Johnny Mnemonic (1981), Burning Chrome (1982) e The Winter Market (1986), in un futuro ipertecnologico globalizzato e privatizzato, dove la tecnologia del computer è diventata il fulcro della vita collettiva e della sensibilità individuale. Al centro, c’è la vertigine esaltante dell’immersione nello spazio informatico, in cui la personalità e le capacità dell’operatore si espandono fin quasi all’infinito, ma con la consapevolezza tragica di una impotenza di fondo. Quei “muri fatti d’ombra” di cui si parla in Burning Chrome sono la scoperta dei limiti nell’illusione dell’illimitato, la scoperta che anche nell’infinita frontiera dello spazio virtuale (la cui controparte terrena è la pervasività dei rifiuti) esistono conflitti di potere che lasciano l’individuo nella quasi impossibilità di controllare il proprio destino. Proprio Johnny Mnemonico, che si è fatto impiantare nel corpo un chip per espandere la capacità di memoria del suo cervello, non può che auspicare, un giorno, il ritorno a una condizione come quella di “tutti gli altri”. Pur nella densità di una straordinaria technobabble (il tentativo di riprodurre linguisticamente la nuova sensibilità del futuro), la matrice di Gibson rimane classicamente umanistica, aperta al nuovo ma piena di critica e dubbi. Ed è questa abilità di virtuoso della scrittura che guadagna a Gibson l’attenzione di Terry Carr, che sta lanciando una nuova serie degli Ace Specials, la collana di paperback originals di qualità che alla fine anni 60 aveva promosso molti importanti autori di quella generazione. La stessa collana (insieme ai Bantam Spectra di Lou Aronica) ospiterà molti autori più o meno esordienti della generazione cyberpunk: un ennesimo segno della vitalità dell’editoria di fantascienza. Negli Ace Specials esce Neuromante, che finisce con l’essere il catalizzatore di tutto il movimento, riprendendo sfondi di autori come Delany, Russ, Ballard e Bester (e, più nascosto, Dick) nella SF, e di figure come Dashiell Hammett, Raymond Chandler, William Burroughs, Thomas Pynchon (e, in molti aspetti stilistici, William Faulkner) - fondendoli in uno stile del tutto originale. La trama è in fondo semplice, la storia di Case, protagonista jellato, antieroe sfruttato fin nel profondo, hacker al servizio di un’industria privata sempre sul confine dell’illegalità, privato all’inizio del romanzo della capacità di collegarsi nello spazio virtuale. Appunto c’è una parola coniata da Gibson, cyberspace, il ciberspazio, la “allucinazione consensuale” formata dalla rete di collegamento fra i computer del mondo, in cui tutti si trovano ad agire. Per lui, perdere la possibilità di entrare nel ciberspazio vuol dire perdere l’accesso a un’esperienza estatica, quasi mistica. Il contraltare della sua storia è quella della guardia del corpo ex-prostituta Molly, a cui l’impianto dei chip serviva per trasformarsi in meat puppet (marionetta di carne) capace di soddisfare ogni cliente - ma il meccanismo si rompe, e anche lei non può più nascondere a sé stessa la violenza che sottende quel mondo. L’intreccio si scatena con l’incontro fra i due cyborg, Case che si è fatto installare nel corpo delle prese per accedere alla Matrice e Molly che si è fatta impiantare occhiali a specchio e artigli retrattili. Intorno a loro si svolgono storie d’amore di ogni tipo (fra umani, fra umani e creature virtuali, fra Intelligenze Artificiali). E anche storie di asocialità come quelle della terrificante famiglia clonata, isolatasi in tenute terrestri e stazioni spaziali in orbita, che controllano una delle “zaibatsu” (a metà fra il clan feudale e la multinazionale) che dominano il mondo. E poi, personaggi come Dixie Flatline, hacker morto sul lavoro la cui consapevolezza è stata downloaded e conservata elettronicamente. E poi lo ICE, il sistema di protezione con cui tutti si scontrano nel ciberspazio, e le due Intelligenze Artificiali, Neuromante e Invernomuto, che manipolano tutto e tutti ma che forse, a modo loro, stanno sviluppando una sensibilità che molti presunti esseri umani hanno dimenticato. Se nessuno (neanche per ipotesi) può immaginare una vita senza la tecnologia (e perché mai dovrebbe?), Gibson non nasconde al suo lettore la presenza dei conflitti legati al potere economico (the dance of biz, la danza degli affari), quelli nel mondo virtuale e quelli nella sterminata megalopoli globale (lo Sprawl, in cui l’influsso del giallo hard-boiled è inconfondibile). Nelle descrizioni, c’è un misto di misticismo e pragmatismo: “dati fatti carne nei labirinti del mercato nero”, col rischio che i dati prendano possesso della carne.